Intervista a Patrizia Politelli - La scuola e l'apprendimento, un binomio da ri-costruire
Bartolini Tiziana Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2007
Se il mondo - le persone, le relazioni, gli equilibri, le culture, l'economia, le tecnologie - è in un continuo e sempre più rapido divenire, l'apprendimento deve trovare/provare nuove strade, adeguate a rendere comprensibile ciò che accade. "L'aumento della diversità comporta l'aumento della complessità" scrive Patrizia Politelli nel suo ultimo libro "Accade che impariamo" (ed Anicia, pagg 117, Euro 16,00) osservando che occorre una "re-visione ed una ricollocazione di tutto il nostro impianto conoscitivo". Se la prospettiva è quella di una 'auto-educazione permanente', allora è "indispensabile rendere permeabili i propri confini ed educarsi all'inatteso". Il percorso che la Politelli propone dentro ai significati e ai problemi dell'apprendimento è affascinante nello stile e nelle modalità: attraverso l'esame di parole/concetti (ostacoli, condizioni, esperienza, dialogo, precarietà, soggetti) sono analizzati i passaggi, complessi, che l'apprendere richiede. L'autrice scandaglia anche il rapporto maestro/allievo, partendo dal presupposto che "maestro è colui che sa creare la capacità di desiderare un apprendimento" suscitando "non stupore o ammirazione per sé" ma guidando "verso la meraviglia". Il libro è spunto per mettere a fuoco con Patrizia Politelli, insegnante di filosofia, alcuni problemi che attraversano la scuola italiana. Una crisi che sempre più appare 'esistenziale' e sempre meno legata alla dimensione normativa.
Lei osserva che la precarietà (dei saperi, del lavoro, sociale, della comunicazione) produce "un mondo di precari, inesperti, irresponsabili" e una frammentazione che alleva generazioni "analfabetizzate solo in grado di eseguire operazioni semplici". Un superficialità destinata a fare molti danni perché produce "un mutamento instabile al posto di una solidità nel mutamento". Quali strumenti ha la scuola per intervenire?
Deve smetterla di pretendere di riempire il tempo dei giovani (con l’idea sottesa che debbano sempre essere sotto tutela e tenere occupati con le più varie nozioni ed una miriade di attività) come se si temesse che non possano più fare nulla da soli. Recuperare il tempo della riflessione e della sedimentazione dello studio e ridefinire di nuovo quello che è proprio della scuola e quello che è proprio del mondo, dei familiari, etc.. La scuola è diventato un Moloch che tutto comprende e di tutto è responsabile: dalla matematica, al latino, alle lezioni di bridge, al volontariato. Che senso ha rendere economiche (attribuire cioè crediti a) esperienze libere, che si fanno per propria scelta, responsabilità e piacere. Se ne snatura il senso e si spinge ad una frenesia fogliettistica (attestati di tutti i tipi) che favorisce conoscenze momentanee e disaggregate ed allontana dalla cultura (che è stare sugli argomenti, approfondirli, farli propri).
Lei scrive: "Per imparare dobbiamo essere spinti dal desiderio e dalla speranza" muovendoci con "umiltà, serietà e moderazione". I modelli che i giovani inseguono - 'belli e dannati' quando li vediamo vittime di droghe e alcol, oppure impegnati in progetti di affermazione individuale – sono lontanissimi da quello che lei sostiene. Sembrano dimensioni estranee alla scuola. Che ne pensa?
Che le ragazze ed i ragazzi hanno fame di senso, e che, se trovano interlocutori all’altezza delle loro domande, non si perdono. Alcuni cercano di riempire il vuoto seguendo idioti modelli lanciati ormai dovunque: successo e denaro facili sono le proposte che trovano con maggiore facilità. Ma essere consapevoli della propria crescita e della propria conoscenza, partecipare alla propria formazione e sapere che costa fatica è il compito che ciascuno deve assumere su di sé e che la scuola deve insegnare. Molti provano ancora a farlo anche se non se ne hanno tracce nei media.
"L'esser maestri è un dono, non è insegnabile". Allora i buoni maestri sono pochi?
Per fortuna ci sono ancora in giro delle magnifiche maestre ed eccellenti maestri (mi riferisco a diversi piani di insegnamento ed a differenti epoche della vita di ciascuno). Solo che spesso non li sappiamo riconoscere, magari ci accorgiamo molto dopo dell’importanza che hanno avuto per noi. Tornando alla scuola, la svalutazione sociale (misurabile nel disconoscimento della funzione e nella non adeguata retribuzione) degli insegnanti, porta, talvolta, loro stessi ad introiettare questo disvalore. Credo davvero che la cosa più importante che i docenti possono fare in questo momento sia quella di riappropriarsi soggettivamente della consapevolezza della portata del loro compito e del ruolo insostituibile che interpretano: educare e formare nuove generazioni.
Certo in questo campo le parti in causa ormai sono molte, ma i buoni maestri possono contribuire a costruire l’ossatura di persone libere e creative: capaci di vedere con i propri occhi e camminare con le loro gambe.
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