Parliamo di Bioetica - Quando la scuola si fa ponte: l'esempio di Alessandria. Gli insuccessi scolastici dei figli degli immigrati spesso sono causati della precaria conoscenza della lingua ....
Fara Rita Anna Mercoledi, 02/12/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2015
La società è in rapida trasformazione: la complessità che stiamo vivendo richiede alla scuola un rinnovamento continuo sul piano strutturale e qualitativo. Le classi, sempre più eterogenee, accolgono minori profondamente differenti per cultura, lingua, credo religioso, vissuti, interessi, stili cognitivi e modalità di apprendimento. Sono realtà culturalmente molto stimolanti e feconde, ma anche impegnative, per la presenza di molteplici disagi che gli alunni sperimentano nell’apprendimento, nei comportamenti, nelle relazioni, nella sfera emozionale, nell’ambito familiare, con pesanti ricadute sul percorso scolastico.
Dopo aver adottato l’educazione interculturale per favorire il dialogo e lo scambio tra culture diverse, recentemente il nostro sistema educativo, prendendo atto dei mutamenti in corso, ha individuato nei Bisogni Educativi Speciali il contesto idoneo alla presa in carico delle difficoltà permanenti e transitorie degli allievi. Accogliendo i principi della centralità dell’alunno come persona da valorizzare a livello cognitivo e affettivo, e richiamandosi al modello ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, disabilità e Salute) emesso dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità, mutuato dagli studi di Amartya Sen e Martha Nussbaum - secondo cui il soggetto con difficoltà va messo in condizione di sviluppare le proprie potenzialità, capacità e aspirazioni - la scuola potrà perseguire l’effettiva uguaglianza e l’inclusione di tutti gli alunni attraverso percorsi pedagogico-didattici individualizzati e personalizzati, nonché stringendo alleanze con le altre agenzie educative presenti sul territorio.
I minori, figli degli immigrati, spesso manifestano insuccessi scolastici a causa della precaria conoscenza della lingua formale impiegata nello studio delle discipline, nonché per le sofferenze legate al progetto migratorio. Una consistente percentuale di questi è in ritardo nel percorso scolastico, che spesso non giunge a compimento, pregiudicando così l’inserimento nel mondo del lavoro regolare.
Avviene di frequente, nei piccoli, che di fronte alle persistenti difficoltà nell’apprendimento della nuova lingua, questi siano inviati ai servizi di Neuropsichiatria per sospetta dislessia, con smarrimento e apprensione dei genitori, che avvertono un ostacolo alla carriera scolastica dei figli, nella quale ripongono le speranze di un futuro migliore.
Imparare a leggere e scrivere equivale a imparare a leggere il mondo, non solo con i nostri occhi, ma anche con quelli dei nostri simili. La lettura e la scrittura hanno in sé una forte valenza sociale e formativa; si apprendono con l’ingresso nella scuola primaria attraverso un percorso scandito da regole, richiedono specifici comportamenti, che coinvolgono i piccoli nella loro globalità fisica e intellettiva, ed esigono applicazione costante; nonostante ciò, rappresentano, per la maggior parte dei bambini e delle bambine, un’esperienza serena e fonte di gratificazione. Se, per la quasi totalità degli alunni, il percorso è privo di intoppi, per alcuni si presenta irto di difficoltà, motivo di frustrazione per se stessi e per la famiglia e ragione di ansia per l’insegnante. Sono i bambini che all’inizio dell’iter scolastico incontrano un disturbo specifico di apprendimento, in particolare la dislessia, cioè la difficoltà a identificare i segni scritti e a tradurli in fonemi, in presenza di un normale sviluppo intellettivo. Non è semplice, per un lettore normodotato, rendersi conto dello sforzo a cui è sottoposto un bambino dislessico durante l’esercizio di lettura e di scrittura; per questo motivo, sia a scuola che a casa, può dare l’impressione di essere un allievo svogliato, poco interessato e che non si applica a sufficienza.
Gli studi evidenziano che nei soggetti dislessici, a seguito di ripetuti insuccessi, possono manifestarsi ansia, instabilità emotiva, bassa autostima, fino al coinvolgimento in episodi di bullismo. Come scritto poc’anzi, questi problemi, rischiano di amplificarsi negli allievi provenienti da Paesi poveri, ritenuti doppiamente vulnerabili perché provati dagli effetti del progetto migratorio e dalla eventuale presenza della dislessia; condizioni che mettono a dura prova il percorso di integrazione e il successo scolastico. Rammentano gli esperti che, in questi casi, l’iter per giungere a una diagnosi di dislessia è complesso, in quanto sussiste il rischio di diagnosticare la dislessia in luogo di una temporanea difficoltà con la nuova lingua, come può accadere il contrario, dando vita a falsi positivi e falsi negativi. Le ricerche in questo campo sono solo agli inizi; il capitolo dei minori di cittadinanza non italiana con dislessia, non è ancora stato scritto.
Nel frattempo, per andare incontro ai bisogni speciali di questi allievi, la scuola, i sevizi alla persona, il terzo settore, hanno stretto preziose alleanze, creando una fitta rete di interventi a sostegno dei minori e delle loro famiglie.
Un esempio, fra i tanti, è rappresentato da Alessandria, città con un significativo numero di immigrati, dove doposcuola religiosi e laici danno vita a molteplici iniziative per i figli delle famiglie immigrate, soprattutto per quelli della delicata fascia preadolescienziale, i più esposti a possibili comportamenti devianti. In questi luoghi educativi, i minori, a fianco dei coetanei autoctoni e alla presenza degli educatori, in un clima sereno e improntato alla collaborazione e alla condivisione, trovano aiuto nelle difficoltà scolastiche, praticano sport, attività ludiche e artistiche, dialogano, imparano ad organizzarsi e acquistano più autonomia. È l’educatore che, in sinergia con le altre figure del progetto, genitori inclusi, si prende cura di questi giovani, ne condivide i disagi, le gioie e le aspirazioni, all’interno di una relazione educativa a valenza sociale e pedagogica. Nell’educatore, le ragazze e i ragazzi, trovano una persona pronta ad ascoltare e ad accogliere il disagio che nasce dal confronto con i compagni più bravi, l’ansia e il sentimento di impotenza di fronte agli impegni scolastici e la difficoltà nel far dialogare due culture diverse, con gli inevitabili conflitti che ne conseguono sul piano personale e interpersonale.
Quello dell’educatore è un lavoro paziente e silenzioso: richiede disponibilità, autenticità, autorevolezza, forti doti di empatia e, non ultimo, capacità di mediazione con tutti gli attori del progetto. Un compito poco conosciuto, tuttavia prezioso, dal momento che grazie alla frequenza assidua, molti di questi ragazzi riescono a rimettere in moto energie che sembravano sopite, trovano la forza di reagire e di inserirsi con fiducia nel tessuto sociale. Lo dimostra il fatto che spesso tornano al Centro come volontari, ad aiutare i nuovi arrivati. La strada dell’accoglienza e dell’impegno civile contribuiscono ad abbattere il muro dell’indifferenza e della diffidenza tra autoctoni e immigrati e conducono alla creazione di una cittadinanza attiva e responsabile, che lascia prevedere, per questi minori, un promettente futuro.
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