Società/ L'indagine di Pescara - La ricerca sulle condizioni di vita delle immigrate nelle città della provincia di Pescara, è stata promossa dalla Consigliera di parità. Le interviste sono state realizzate da Brigitte Kaneza
Marianna Di Vito e Silvia Paladini Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2005
Introduzione - Le incontriamo per strada, o alla fermata dell’autobus, sempre più numerose, da sole o a piccoli gruppi; parlano tra loro in lingue dai suoni misteriosi, che non capiamo; a volte le vediamo sedute insieme, in tante, sulle panchine di un giardino pubblico, assorte, in attesa di chissà cosa; vivono nelle nostre case, allevano i nostri figli e li accompagnano a scuola; preparano il nostro cibo e accudiscono i nostri anziani. Senza di loro, per molte di noi quella che abbiamo definito con un eufemismo “la doppia presenza”, il doverci occupare di molti lavori fuori e dentro casa, non sarebbe possibile, o comunque sarebbe molto più faticosa da gestire.
Non ci sono narrazioni che le raccontino, solo la cronaca, quando si colora di nero. Il resto è silenzio. Abbiamo voluto definirle protagoniste invisibili: che siano protagoniste non c’è dubbio, e lo confermano i dati della ricerca qui presentata. La loro invisibilità è testimoniata dal fatto che sappiamo ancora così poco di loro, e che troppo poco ci preoccupiamo di guardarle e conoscerle davvero.
Da qualche tempo in Italia la narrazione dell’emigrazione sta iniziando ad emergere. Mentre il cinema, con la capacità che gli è propria di leggere in anticipo una realtà ancora sotto traccia, appena visibile, si sta occupando da più tempo del tema dell’immigrazione, la scrittura invece, che ha bisogno di una maggiore o comunque diversa sedimentazione, affronta prevalentemente, almeno qui in Italia, l’esperienza migratoria maturata dalle generazioni che ci hanno preceduto, nella prima metà del Novecento; e raccontare significa portare alla luce, dare oggettività ad esperienze singole e farle diventare storia collettiva. E’ molto importante che ciò avvenga, perché la nostra ancora recente memoria di emigrazione tende perlopiù a venire rimossa senza lasciarci insegnamenti su quello che ha rappresentato e sulla sua valenza universale nell’esperienza umana. Ancora poco tempo, e anche qui, come nel resto dell’Europa e negli Stati Uniti, gli immigrati e le immigrate romperanno il silenzio e inizieranno a raccontarsi in prima persona. Ma per ora non abbiamo che l’indagine.
Questa ricerca nasce prima di tutto dalla curiosità e dal desiderio di interrogare le differenze. Quando parliamo di politiche migratorie non possiamo non mettere a fuoco i soggetti a cui queste sono indirizzate, e la conoscenza ne rappresenta il presupposto indispensabile. Pur nell’impossibilità di considerare le donne migranti come un gruppo omogeneo, va sottolineato come esse, al di là delle innumerevoli diversità ascrivibili ai luoghi di provenienza, all’appartenenza a diverse generazioni, alle esperienze maturate nei paesi di origine, al livello di istruzione e alle competenze possedute, condividono una serie di specificità che appaiono più comprensibili attraverso una lettura di genere. Solo così sarà possibile mettere a punto progetti e interventi che aiutino le differenze a staccarsi dal fondale indistinto, in cui sono appiattite e sfuocate, e ad emergere, con i colori che sono loro propri, e i diversi destini che ogni protagonista vorrà costruire per se e per la propria famiglia. E si tratta di specificità che se pure si manifestano con i caratteri della problematicità, spesso rappresentano anche risorse impensate, come evidenzia bene la ricerca che appare ricca di spunti nuovi e sorprese, capaci di ribaltare i consueti stereotipi e la superficialità con cui troppo spesso guardiamo al mondo dell’immigrazione. Sebbene, infatti, le donne vivano come tutti i soggetti migranti, le contraddizioni ed i conflitti dell’esodo dai propri paesi di origine e dell’adattamento ad una nuova realtà, elaborano progetti migratori e percorsi di cambiamento e di gestione dei conflitti in maniera differente rispetto agli uomini. E’ evidente, quindi, come la diversa composizione per genere comporti una differenziazione dei progetti migratori, delle aspirazioni e delle esigenze personali e familiari.
Conoscere la realtà delle donne immigrate significa entrare nel cuore di progetti migratori che sono cambiati nel tempo, e si sono ridefiniti seguendo rotte nuove. E’ di grande rilevanza, ad esempio, scoprire che sono tante nella nostra provincia le donne che hanno un proprio nucleo familiare, perché questo testimonia un progetto migratorio che da temporaneo tende a diventare di lunga durata. In questo caso cambia notevolmente l’interazione tra l’immigrato e il contesto sociale in cui è inserito, e cambiano le politiche che occorre dispiegare: infatti, quando si tratta, non più solo di immigrazione temporanea e solo legata al lavoro, che è quasi sempre a prevalenza maschile, ma di famiglie, entrano in scena nuovi soggetti sociali che condivideranno con noi non soltanto l’ambiente di lavoro, ma anche quello di vita, la scuola dei figli, l’utilizzo dei servizi sociali e delle strutture sanitarie. Emergono quindi nuovi bisogni e nuove richieste, e si crea una maggiore interazione con il contesto, con il sistema delle risorse e dei servizi. Ma è innegabile che con l’arrivo delle donne e con loro l’aumento delle forme di immigrazione stabile o definitiva, si producono i primi conflitti di identità, le prime reazioni da parte della società ospitante, i primi veri problemi di stabilità e di mutamento, di integrazione e dialogo tra culture diverse. E non è un fatto positivo che a renderci consapevoli di ciò troppo spesso debba essere la cronaca e le notizie urlate in prima pagina con toni da guerra di religione, piuttosto che il ragionare insieme cercando di capirsi e di andare oltre i gesti emblematici ed eclatanti che accendono gli animi ma lasciano in ombra le ragioni degli uni e degli altri.
Un aspetto particolarmente ricco di potenzialità è rappresentato proprio dal ruolo molto delicato che le donne ricoprono, un ruolo di mediazione sapiente, istintiva, non appresa con lo studio ma maturata sulla propria esperienza: “mediatrici” tra tradizione e modernità, tra chiusura e apertura, tra ripiegamento identitario ed integrazione sociale; ruolo che andrebbe valorizzato e potenziato, creando le condizioni per la sua emersione, anche contro i pregiudizi esistenti nella comunità di appartenenza e nell’ambiente esterno. Anche nel mondo dell’emigrazione infatti le donne ricoprono ruoli diversi e molteplici: sono loro a fare il più delle volte da elemento regolatore del processo di integrazione, restituendo senso a gesti e riti (si pensi all’importanza del cibo, che insieme ai ritmi di vita diversi, rappresenta la mancanza più grande rispetto al proprio paese di origine, più ancora della lingua ), e reinterpretando tradizioni e norme alla luce dei valori e dei comportamenti del presente; le donne diventano così custodi della tradizione e della continuità da una parte e protagoniste del cambiamento dall’altra, ponte e cerniera, una faticosa “doppia presenza”, particolarmente delicata e fragile, che dovrebbe essere sostenuta da politiche attente; si veda ad esempio nelle loro risposte alla domanda su cosa potrebbero far le amministrazioni locali per migliorar le loro condizioni di vita, l’importanza data alla mediazione tra culture diverse, al dialogo, al confronto senza pregiudizi.
Anche e soprattutto attraverso le donne, quindi, si giocherà la riuscita di una integrazione tra culture, in cui ognuno cresca e si arricchisca attraverso le differenze dell’altro: una scommessa per un futuro che è già il nostro necessario presente.
Maristella Lippolis
Consigliera di parità della Provincia di Pescara.
Struttura della ricerca
Questo testo si propone di dare una lettura dell’immigrazione vista dalla parte delle protagoniste femminili, che pur rappresentando una percentuale sempre più consistente degli immigrati presenti in Italia, e nella nostra provincia in particolare, sono spesso trascurate dai documenti e dai progetti in materia, che il più delle volte ignorano il fenomeno o ne danno una lettura prevalentemente maschile.
Questa situazione porta di fatto le donne immigrate a vivere nell’”invisibilità sociale”, senza che esse abbiano modo di dar voce al loro vissuto, alle loro aspirazioni e alla loro memoria, privando così di un punto di vista importante le analisi sul fenomeno immigrazione.
Il volume è diviso sostanzialmente in due parti: in una si analizzano il contesto, le varie tipologie e le dinamiche sociali dell’immigrazione femminile, nell’altra la soggettività, la memoria e la narrazione di sé.
Più in particolare nella prima parte si presenta quantitativamente e qualitativamente l’immigrazione femminile in Italia e la sua evoluzione storica, tentando di non darne un’immagine univoca, ma di coglierne i molteplici elementi di differenza, e si ricostruisce, sulla base dei dati statistici a disposizione, il quadro dell’immigrazione al femminile nella provincia di Pescara.
Nella seconda parte, invece, si riportano i dati di una ricerca sul campo: individuato un campione attendibile di riferimento e ideato un questionario mirato, attraverso la collaborazione di associazioni culturali ed etniche, sindacati e gruppi di immigrati, una mediatrice culturale ha condotto le interviste e ha raccolto delle storie narrate in forma libera, ma basate su una traccia di riferimento che permettesse di avere dalle intervistate una serie di informazioni di base omogenee.
Il tentativo è stato quello di portare le donne a divenire “soggetti” attraverso una narrazione di sé e del proprio quotidiano e ad affermare il proprio diritto ad esserci e ad avere una propria storia.
Nella parte conclusiva del testo vengono suggeriti spunti operativi per l’individuazione di percorsi di promozione umana e sociale, di formazione, orientamento e valorizzazione delle donne che arrivano nella nostra provincia.
Si è scelto di non affrontare il tema delle donne immigrate coinvolte in attività illecite e/o incappate nelle maglie della giustizia, considerandolo un argomento che merita una trattazione approfondita a parte onde evitare facili semplificazioni. Andrebbero infatti individuati percorsi di recupero sociale ed interventi formativi e lavorativi ad hoc che favoriscano il recupero della dignità e dell’autonomia economica ed esistenziale dell’individuo.
L’Immigrazione femminile in Italia
Donne soggiornanti in Italia al 31.12.2002: primi dieci paesi di provenienza
Paesi Valore ass.
Albania 69.022
Marocco 57.200
Romania 51.282
Filippine 42.215
U.S.A 31.014
Cina Popolare 29.685
Sri Lanka 25.048
Jugoslavia 22.234
Perù 20.555
Francia 16.317
Fonte: Dossier statistico immigrazione Caritas
L’incidenza percentuale varia all’interno di ogni nazionalità, infatti se all’interno di alcuni gruppi le donne costituiscono una minoranza, è il caso ad esempio delle popolazioni provenienti dal Pakistan, dall’Egitto, dal Bangladesh, dalla Tunisia, in altri raggiungono percentuali del 70-80% (Ecuador, Ucraina, Brasile, Sri Lanka).
Donne soggiornanti in Italia al 31.12.2002: comunità a maggioranza femminile tra le prime trenta maggiormente presenti
Paesi Valore %
Ecuador 80,0%
Ucraina 79,7%
Brasile 73,7%
Sri Lanka 69,9%
Spagna 68,0%
Perù 66,1%
Russia 65,8%
U.S.A. 65,1%
Filippine 64,7%
Francia 60,8%
Nigeria 59,2%
Regno Unito 57,0%
Svizzera 56,5%
Jugoslavia 55,9%
Romania 53,5%
L’Immigrazione femminile nel contesto provinciale
Chi sono le donne che sono immigrate nella provincia di Pescara? Avere dei dati attendibili e studiarne le caratteristiche permette di individuare gli interventi da mettere in atto per facilitarne l’inserimento sociale e lavorativo nel contesto locale.
Le osservazioni che seguono non hanno le caratteristiche di uno studio demografico ma rispondono all’esigenza di fare un’analisi basata su elementi reali. Le informazioni di cui disponiamo provengono da fonti ufficiali (Uffici Anagrafe dei Comuni della Provincia, Ufficio Stranieri della Questura, Centri per l’Impiego, Università, C.S.A.) e naturalmente si riferiscono alla sola componente regolare dell’immigrazione, oggetto del nostro studio.
Nel corso degli ultimi anni la provincia ha assistito ad una rapida crescita delle presenze femminili, come dimostra l’incidenza percentuale che è passata dal 48% del 2000 al 49,8% del 2001, fino ad arrivare al 52,4% nel 2002.
La nazionalità albanese è quella con maggiori presenze femminili, seguita dalla nazionalità cinese, da quella rumena e da quella ucraina, come risulta dalla tabella che segue.
Donne soggiornanti in provincia di Pescara al 31.12.2002: primi dieci paesi di provenienza
Paesi Valore ass.
Albania 409
Cina Popolare 160
Romania 157
Ucraina 140
Jugoslavia 125
Macedonia 123
Polonia 92
Brasile 80
Russia 68
Germania 66
Fonte: Rapporto sull’immigrazione nella provincia di Pescara 2003 – Osservatorio Provinciale Immigrazione
Se però andiamo a vedere l’incidenza percentuale all’interno delle varie comunità, constatiamo come all’interno di alcune il rapporto tra i sessi risulta fortemente sbilanciato, è il caso ad esempio dei senegalesi (355 maschi, 13 femmine), degli iraniani (54 maschi, 13 femmine) o dei tunisini (57 maschi, 37 femmine) che vedono un forte squilibrio a favore dei maschi o al contrario dei rumeni (70 maschi, 157 femmine), degli ucraini (27 maschi, 140 femmine) o dei domenicani (3 maschi, 22 femmine) le cui caratteristiche migratorie vedono uno squilibrio nettamente a favore delle donne.
Donne soggiornanti in provincia di Pescara al 31.12.2002: comunità a maggioranza femminile
Paesi Valore %
Rep. Ceca 100%
Ungheria 92%
Rep. Dominicana 90%
Somalia 90%
Uzbekistan 90%
Portogallo 89%
Svezia 88%
Peru' 85%
Ucraina 84%
Cuba 83%
India 82%
Russia 82%
Spagna 81%
Estonia 80%
Slovenia 80%
Polonia 78%
Brasile 77%
Fonte: Rapporto sull’immigrazione nella provincia di Pescara 2003 – Osservatorio Provinciale Immigrazione
Donne soggiornanti in provincia di Pescara al 31.12.2002: principali comunità con presenza femminile minoritaria
Paesi Valore %
Pakistan 0%
Senegal 4%
Bangladesh 22%
Iran 32%
Libia 33%
Sri Lanka 33%
Grecia 35%
Algeria 36%
Marocco 39%
Tunisia 39%
Fonte: Rapporto sull’immigrazione nella provincia di Pescara 2003– Osservatorio Provinciale Immigrazione
Donne soggiornanti in provincia di Pescara al 31.12.2002: comuni a più alta presenza femminile
Paesi Val. Ass.
Pescara 1004
Montesilvano 516
Città S.Angelo 103
Popoli 70
Spoltore 67
Pianella 52
Cepagatti 45
Cappelle 44
Tocco Da Casauria 37
Collecorvino 35
Fonte: Rapporto sull’immigrazione nella provincia di Pescara 2003– Osservatorio Provinciale Immigrazione
Dall’analisi sulle aree territoriali di insediamento, come si vede dalla tabella che precede, emerge una concentrazione delle donne straniere nei principali comuni della provincia.
Per quello che riguarda i comuni minori è interessante vedere come ci sia una presenza femminile con un’alta incidenza percentuale rispetto alla presenza maschile in comuni quali Elice, Rosciano, Montebello, Farindola, Cugnoli, etc.
I comuni a più alta concentrazione di donne straniere (Pescara, Montesilvano e Città S. Angelo), si caratterizzano per una presenza di immigrate provenienti dall’Albania, dalla Cina, dalla Romania, dall’Ucraina e dalla Jugoslavia.
Per quanto riguarda la struttura dell’occupazione regolare, a causa di sistemi di registrazione alla fonte che spesso non permettono di distinguere tra cittadini italiani e cittadini stranieri, possiamo servirci solo delle informazioni forniteci dai Centri per l’Impiego della Provincia di Pescara. Da questi dati emerge come la differenza tra maschi e femmine non molto rilevante all’interno degli iscritti al collocamento, lo diventa tra gli avviati (631 maschi, 398 femmine), indice quindi di una maggiore difficoltà a trovare lavoro da parte delle donne. Se andiamo ad analizzare il titolo di studio degli iscritti troviamo una scolarizzazione maggiormente alta delle donne che costituiscono il 61% del totale dei diplomati ed il 57% del totale dei laureati.
Per quello che riguarda i settori di attività in cui vengono avviate le donne potrebbe sorprendere la bassissima percentuale di immigrate avviate nel settore domestico (solo lo 0,8% in tutta la provincia) se non si riflettesse sul fatto che le assunzioni in questo settore passano assai poco attraverso gli uffici dei Centri per l’Impiego.
Un’altra interessante annotazione riguarda l’alta percentuale di donne avviate con la qualifica di impiegate rispetto ai maschi (esse costituiscono ben l’83% del totale degli avviati come impiegati).
Un’ultima considerazione riguarda la presenza delle donne immigrate nell’Università di Pescara, da sempre un polo di attrazione per gli studenti stranieri:
in tutte le facoltà dell’Ateneo pescarese, ad eccezione della Facoltà di Architettura l’incidenza percentuale delle studentesse straniere è nettamente superiore rispetto a quella degli studenti stranieri, in particolare nella Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, dove costituiscono ben l’86% del totale degli iscritti.
Presentazione dell’indagine
I principali nodi tematici affrontati dalla ricerca sul campo di seguito presentata sono stati indagati attraverso la metodologia del questionario strutturato e della libera narrazione. L’utilizzo di due diverse metodologie di indagine è finalizzato ad una lettura non semplicistica rispetto ad una realtà articolata e complessa come quella dell’immigrazione femminile.
Il primo passo è stato quello di definire il target da includere nella rilevazione; poiché la bontà dei risultati di un’indagine statistica dipende prevalentemente dalla rappresentatività del campione in esame: per aumentare la significatività dei risultati abbiamo individuato dei sottogruppi in base alla nazionalità di provenienza e all’età, in misura proporzionale alla presenza sul territorio provinciale. Attraverso l’impiego di questa metodologia si è riusciti ad evitare di non rappresentare o di sovrarappresentare alcuni strati della popolazione indagata, anche se questo ha comportato una maggiore di impegno di risorse, non solo economiche, ma anche di tempo ed energie.
La fase delle interviste è stato un momento molto delicato dell’indagine, è stato infatti necessario, con tutte le inevitabili difficoltà, predisporre situazioni idonee alle interviste, stabilire un rapporto di fiducia con l’intervistato, coinvolgendolo in modo da ottenere la massima collaborazione e quindi risposte il più possibile sincere. La scelta di far sottoporre le interviste da una mediatrice culturale, protagonista femminile a sua volta di un percorso migratorio, è stata determinata dalla volontà di abbattere le inevitabili e comprensibili barriere di ritrosia, imbarazzo e diffidenza delle intervistate.
In effetti seppure la presenza di una mediatrice culturale ha facilitato i contatti con le intervistate, non è stato possibile raggiungere la dimensione quantitativa del campione prefissato (pari al 20% del totale di riferimento) proprio a causa di una diffusa difficoltà riscontrata sul territorio a “rendere pubblici”, seppure in forma anonima, i propri vissuti.
Può comunque essere considerato un campione rappresentativo quello raggiunto con le interviste che è pari al 10% delle presenze femminili tra i 21 ed i 65 anni di età.
L’indagine ha approfondito le cinque aree tematiche individuate come prioritarie, leggendole attraverso le diverse esperienze e percezioni femminili ed i differenti contesti di provenienza:
- motivi del migrare,
- attuali condizioni di vita,
- situazione lavorativa e bisogni formativi,
- timori e aspettative,
- identità e cambiamento.
Dall’indagine emerge un quadro della situazione familiare delle donne intervistate abbastanza eterogeneo: la percentuale risulta pari al 44% per le coniugate, al 29% per le nubili, al 16% per le separate e all’11% per le vedove.
Questa situazione a livello locale sembra confermare la realtà estremamente diversificata delle donne migranti a livello nazionale.
Per quanto riguarda le donne che hanno dichiarato di essere separate non hanno specificato se questo stato fosse precedente o meno all’emigrazione; non è da escludere la possibilità che alcune famiglie immigrate non siano state in grado di affrontare e superare disagi o difficoltà nella fase di stabilizzazione, di ricerca di un nuovo equilibrio nel paese di accoglienza.
La maggiore presenza, tra le intervistate, di donne coniugate, invece, è chiaramente indice di un processo di stabilizzazione del progetto migratorio: il nucleo familiare, sebbene sia sottoposto spesso ad inevitabili tensioni e squilibri, in bilico tra il passato ed il presente, tra comportamenti tradizionali e nuovi modelli, in ogni caso può dare un contributo importante all’inserimento positivo nella nuova società e favorire l’insediamento definitivo del migrante.
Sempre nell’ottica della trasformazione del progetto migratorio da temporaneo a permanente è significativo notare che il 62% delle intervistate dichiara di avere figli e che di queste il 66% attualmente vive con essi:
un figlio 42%
due figli 42%
tre figli 11%
più di tre figli 5 %
E’ soprattutto la presenza dei figli, infatti, a modificare il progetto migratorio degli adulti, le condizioni di inserimento ed il rapporto con il paese di accoglienza. La convivenza della donna immigrata con un figlio porta alla rottura dell’isolamento che normalmente si trova a vivere, la costringe ad incrementare gli scambi con gli autoctoni, l’accesso ai servizi sociali, sanitari, educativi, e a ricoprire nuovi ruoli sociali oltre a quello di moglie o lavoratrice straniera. La volontà di offrire ai figli le migliori condizioni di vita possibili induce, infatti, la donna immigrata a vivere finalmente il territorio, ad informarsi, a muoversi, a conoscere. La donna immigrata trasforma così le proprie aspettative, ridefinisce il progetto migratorio in funzione dei figli e, spinta dalla volontà di un inserimento non marginale dei figli nel contesto locale, allontana il desiderio di ritorno nel paese di origine, dilatando nel suo immaginario la parentesi migratoria.
Storie di vita
Entrare nella vita di queste donne, ascoltare le loro testimonianze è stato un momento importante dell’indagine. Le speranze, i timori, le emozioni e le aspettative narrate ci hanno aiutato a comprendere meglio il loro universo, a cogliere l’unicità della persona al di là di facili generalizzazioni.
Allo stesso tempo, la memoria autobiografica ha aiutato loro a prendere maggiore consapevolezza dei loro vissuti, delle loro scelte e dei processi inconsci che le hanno determinate.
Prendere la parola e raccontarsi, infatti, ha rappresentato un momento qualificante di questo lavoro perché ha permesso alle intervistate l’affermazione della propria soggettività, una riflessione sulla propria esperienza e nello stesso tempo è stata un’occasione di rottura di un isolamento, un momento di grande intensità emotiva.
E’ stato inoltre per noi un modo per leggere non solo la soggettività di queste donne ma anche aspetti della nostra società, delle sue strutture, del nostro tempo storico e della nostra cultura che si riescono a comprendere con maggiore chiarezza attraverso le loro parole.
Le donne immigrate sono state intervistate in forma libera per far sì che si esprimessero spontaneamente, anche se, per avere informazioni di base omogenee, l’intervistatrice, nel porre le domande, ha seguito una traccia precedentemente elaborata.
Per garantire la loro privacy si è scelto di non far comparire il loro cognome.
Molte donne, così come per i questionari, erano restie a rispondere ed è stata dura, da parte dell’intervistatrice, conquistarne man mano la fiducia, riuscire a comunicare la propria condivisione dell’esperienza narrata e a creare quel clima di sintonia emotiva che porta l’intervistata a lasciarsi andare.
Per quello che riguarda i testi, abbiamo preferito non ritoccare l’italiano con cui si sono raccontate, per fare in modo che fosse anche lo stile espressivo a raccontarci un po’ più di loro, a dare un valore aggiunto a queste testimonianze spontanee.
.Conclusioni
In seguito all’esame dei risultati di questo lavoro sono venute fuori delle possibili indicazioni da suggerire e su cui riflettere per programmare un percorso non solo di solidarietà, ma anche di promozione umana e sociale rivolto alle donne immigrate; andrebbero, infatti, individuate strategie ad hoc per permettere loro di sviluppare il proprio presente ed il proprio futuro nella valorizzazione delle loro risorse.
Indichiamo di seguito quelli che secondo noi sono i principali ambiti di intervento possibili nella realtà locale per una pianificazione attenta ai problemi di queste nuove “protagoniste invisibili”.
1. Migliorare le opportunità di accesso ai servizi
Una delle strade per offrire alle donne straniere concrete opportunità di inserimento sociale consiste nel garantire pari opportunità di accesso ai servizi. Infatti non è sufficiente che gli strumenti legislativi sanciscano l’uguaglianza dei diritti, occorre affiancarli da dispositivi di informazione e facilitazione che tengano conto delle differenze linguistico-culturali delle utenti.
Alcune buone iniziative sono state già intraprese dalla Provincia di Pescara, in collaborazione con i soggetti istituzionalmente competenti, come un servizio di mediazione linguistico - culturale per facilitare la comunicazione tra operatori sanitari e utenti stranieri, un opuscolo tradotto nelle lingue delle principali comunità di orientamento al territorio e conoscenza dei servizi, ma gli ambiti di intervento sono ancora tanti e le iniziative non devono fermarsi.
Opuscoli plurilingue che chiariscano nodi cruciali della legislazione o che informino sul sistema di tutela di maternità anche per le donne straniere o sui sistemi di contraccezione e di prevenzione delle malattie sono alcune delle iniziative intraprese con successo da alcune regioni italiane e che è possibile riproporre nel contesto locale.
Una strada importante, ma ancora poco seguita, consiste nel promuovere la conoscenza anche verso i potenziali erogatori delle informazioni: datori di lavoro, operatori dei servizi sociali, personale degli uffici pubblici etc. devono essere informati dal punto di vista legislativo, ma anche sensibilizzati verso un’utenza che necessità di un’attenzione particolare. Lavorare con le donne immigrate infatti presenta particolari difficoltà rispetto al rapporto con la consueta e tradizionale utenza e non sempre gli operatori sono formati adeguatamente per fronteggiare queste nuove situazioni che portano spesso a sperimentare nuovi percorsi operativi.
Diffusione delle informazioni e preparazione del personale sono le due strade da percorrere per facilitare l’accesso ai servizi, cercando di puntare sulla continuità dei progetti messi in atto; le informazioni, infatti, sono in continua evoluzione e necessitano di un costante aggiornamento per far sì che l’efficacia delle azioni non sia circoscritta e limitata nel tempo.
2. Promuovere la standardizzazione dei dati
L’immigrazione è ormai un fenomeno strutturale della nostra società e va affrontato attraverso la programmazione e la pianificazione di interventi mirati, che tengano conto delle reali esigenze dei soggetti di riferimento.
La Provincia di Pescara, attraverso l’istituzione quattro anni fa dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione, ha ottenuto risultati importanti nella conoscenza del fenomeno migratorio a livello locale, presupposto indispensabile per un impegno operativo efficace, e nel rendere accessibili le informazioni elaborate (attraverso la pubblicazione di un Rapporto annuale sulla presenza straniera in Provincia e attraverso il sito web dov’è disponibile la Banca Dati dell’Osservatorio). Tuttavia le informazioni raccolte dall’Osservatorio attraverso gli Uffici di competenza risentono di una non uniformità e precisione dovuta ad una mancanza di standardizzazione del sistema di registrazione dei dati alla fonte. Si dovrebbe lavorare all’istituzione di un tavolo interistituzionale, come è stato già fatto per esempio nella Provincia di Firenze, per rendere i dati più ricchi, omogenei ed affidabili.
3. Sostegno all’associazionismo
E’ emerso dall’indagine che numerose sono le donne che gradirebbero un maggiore rafforzamento delle associazioni nel nostro territorio. Sarebbe auspicabile sostenere queste forme di aggregazione anche con l’obiettivo di favorire la cittadinanza attiva delle donne migranti nella nostra provincia, facilitando il contatto di questi gruppi autorganizzati con le istituzioni e l’accesso agli strumenti necessari per il loro lavoro.
I momenti di aggregazione, infatti, siano essi etnici o interetnici, sono di vitale importanza per le donne che si trovano a vivere spesso situazioni passive e che necessiterebbero quindi di spazi e situazioni di “presa di parola” per acquisire sicurezza e consapevolezza dei propri diritti e doveri, per vivere in prima persona un’esperienza emancipatoria e di libera espressione.
L’associazionismo è inoltre funzionale al mantenimento della memoria individuale e collettiva capace di far ritrovare radici e valori a volte smarriti, punto di partenza necessario per la costruzione della nuova identità in Italia, per il riconoscimento del significato e del ruolo diverso della donna all’interno della cultura sia di origine, che italiana.
4. Promuovere e qualificare gli interventi formativi
La formazione professionale, la partecipazione a corsi e attività rappresentano per le donne immigrate da un lato la risposta a necessità di tipo primario, quali per esempio l’alfabetizzazione, la conoscenza del territorio e dei servizi, lo studio della realtà italiana etc., dall’altro un modo per qualificarsi in settori diversi da quello domestico e/o di cura della persona, attraverso il recupero dei titoli di studio, di quelli formativi e/o il recupero e lo sviluppo di competenze professionali.
La formazione assume quindi per le donne non solo un valore strumentale, ma anche simbolico, per questo tutti gli interventi formativi dovrebbero tendere a sviluppare la motivazione allo studio e alla partecipazione sociale, la capacità a gestire la propria vita progettando e ricercando la valorizzazione personale e la promozione professionale.
Dall’indagine svolta emerge chiaramente che questo si aspettano molte delle donne intervistate e, l’alto numero di persone disposte ad intraprendere un’attività in proprio, dimostra che non manca il coraggio e la volontà di riprogettare il proprio futuro e di porsi in maniera non passiva nei confronti del percorso migratorio.
La formazione non rappresenta quindi per queste donne solo una risposta alle urgenze strumentali e alle esigenze professionali, ma un’occasione per sostenere una ri-identificazione personale, un’uscita dall’isolamento, un rafforzamento dell’autostima nel rapporto con gli altri e, per coloro che non hanno avuto la possibilità di frequentare la scuola e di conseguire un titolo di studio, anche una forma di riscatto sociale.
Come è stato sottolineato dai programmi della Comunità Europea, è particolarmente importante l’opportunità offerta dai percorsi formativi ai soggetti svantaggiati come le donne immigrate, di imparare a fare affidamento su di sé, a prendersi consapevolmente cura di sé.
Si tratta insomma di un’occasione in cui mettersi alla prova, riprogettando sé stesse e la propria vita, ripensando ai propri interessi e alle proprie motivazioni, alimentando i propri valori e le proprie risorse.
Gli interventi formativi possono svolgere un ruolo centrale, inoltre, di confronto e comunicazione interetnica e costituire uno spazio di aggregazione alternativo. Sono quindi una possibile risposta alla esigenza espressa da molte delle donne intervistate di socializzazione e confronto.
Per poter attuare delle strategie formative di successo deve essere presa in considerazione la diversa tipologia di donne immigrate che troviamo nella provincia e che si può sommariamente sintetizzare come segue:
- donne immigrate casalinghe, che spesso si trovano a vivere in un stato di solitudine ed estraneamento e che andrebbero avvicinate e valorizzate;
- immigrate lavoratrici con un adeguato livello socioculturale, desiderose di accedere a nuove opportunità professionali e che andrebbero supportate nell’esercizio dei loro diritti e avviate a percorsi formativi che permettano una mobilità sociale ascendente;
- donne lavoratrici più anziane che vivono in condizione di forte isolamento e che sentono come prioritario il bisogno di prima alfabetizzazione, ma che in realtà hanno un grande bisogno di incontro e socializzazione;
- donne lavoratrici che non esprimono progetti di mobilità professionale, ma che desiderano acquisire un insieme di conoscenze per poter raggiungere maggiore autonomia sociale.
Rispetto alle aspettative delle donne immigrate e tenendo conto della vasta tipologia di utenti occorre quindi ridefinire i percorsi formativi, passando da itinerari formativi semplici e di tipo tradizionale, a percorsi integrati.
I soggetti politico-istituzionali sono chiamati ad avere un’attenzione particolare non contrapponendo l’utenza degli immigrati, e delle donne immigrate in particolare, ad altri segmenti di utenza (gli interventi formativi devono infatti essere il più possibile aperti e flessibili), ma tenendo conto delle loro difficoltà di accesso e fruizione.
Va incoraggiato, inoltre, il lavoro di rete con tutti i soggetti territoriali a vario modo coinvolti (istituzioni, associazionismo, sindacati, enti di formazione etc.) e soprattutto si deve promuovere la sinergia tra politiche del lavoro e politiche sociali.
Ad esempio in presenza di donne immigrate con figli, che spesso non possono contare sul sostegno della rete familiare, sarebbe auspicabile prevedere servizi per i minori che possano aiutare a garantire la frequentazione da parte delle madri ai corsi.
Prima di elaborare un proposta formativa, inoltre, va analizzata approfonditamente la domanda di lavoro locale e le effettive opportunità occupazionali della figura professionale, ma al tempo stesso si deve tenere conto delle esigenze e delle specificità dei soggetti che possono prendere parte ad un determinato percorso formativo, dei loro bisogni, progetti e desideri.
In questa direzione sta andando il lavoro dei Centri per l’Impiego della Provincia di Pescara, riorganizzati proprio per essere più vicini alle necessità del cittadino.
Ma ora la presenza degli stranieri, e delle donne straniere in particolare, deve servire a ridefinire ulteriormente le proprie strutture di accoglienza e di inserimento sociale e lavorativo. Tra le possibili strategie da adottare potrebbe portare buoni risultati avvalersi di esperti o Enti di formazione con esperienza consolidata di formazione professionale per immigrati e utilizzare mediatori culturali o tutor immigrati non solo durante le ore strettamente formative, ma anche nella fase di orientamento/sostegno e di accompagnamento al lavoro, con il ruolo di “facilitatori” che sollecitano un atteggiamento critico e progettuale .
Queste figure sarebbero anche funzionali a segnalare eventuali diversità soggettive e culturali nei meccanismi di apprendimento e approccio verso alcune tematiche. Si deve tenere conto, per esempio, che per alcune donne immigrate la sfera del lavoro e quella dello studio sono distinte e appartengono a due periodi diversi della vita; il concetto di “educazione permanente” non sempre è presente nei paesi di provenienza, per cui molte donne identificano l’età adulta con quella lavorativa. Per rendere più efficaci gli insegnamenti dei percorsi formativi è necessario, pertanto, renderli il meno possibile astratti ed evidenziarne il collegamento con il mondo del lavoro.
I risultati dell’indagine ci danno delle indicazioni concrete anche su eventuali interventi formativi da realizzare, sia per quel che riguarda i contenuti, sia per quel che riguarda il tipo di lavoro.
Come si è visto, infatti, un’ alta percentuale di donne dichiara di essere interessata ad intraprendere un’attività in proprio, magari valorizzando competenze acquisite nel paese di origine e spendibili nel mercato del lavoro italiano.
Andrebbero quindi incoraggiati corsi volti a promuovere le conoscenze relative alle normative riguardanti il lavoro autonomo (sia in forma individuale che in forma di cooperativa), con particolare riferimento alle procedure burocratiche e alle opportunità di agevolazioni finanziarie. Andrebbero, inoltre, promossi percorsi gratuiti individualizzati di accompagnamento della donna immigrata nella fase di elaborazione dell’idea imprenditoriale, nello studio di fattibilità ed eventualmente nella fase di avvio dell’impresa.
Data la disponibilità a offrirsi come professioniste autonome, potrebbero essere proposte come attività autonome anche quelle per cui è richiesta una formazione specifica e per cui le intervistate hanno dichiarato un interesse particolare, cioè infermiere e assistente domiciliare.
Non è da trascurare anche l’incentivazione di progetti formativi volti al rientro nel paese di origine, in considerazione anche delle aspirazioni in tal senso manifestate da molte donne interviste. Questa tipologia di progetti non è da intendersi solo come attività da svolgere esclusivamente nel paese di origine, ma anche in collegamento con aziende locali che intendono commercializzare i propri prodotti, decentrare la produzione, importare materie prime etc..
Molte donne, inoltre, hanno indicato una loro preferenza nell’attivazione di corsi di informatica e di lingua italiana, i secondi in effetti già realizzati da diversi organismi operanti sul territorio.
Questa attenzione a corsi che non impartiscono nozioni specifiche e direttamente spendibili sul mercato del lavoro, non deve stupire visto che molte donne vedono, come è emerso dalle loro risposte, nella frequentazione a corsi di formazione l’opportunità di migliorare la propria posizione professionale, ma anche un’occasione di socializzazione, di rottura dall’isolamento e di emancipazione sociale.
In conclusione la presenza delle donne straniere rende necessario un rinnovamento a tutto tondo dei percorsi di inserimento economico-lavorativo e di inserimento sociale da parte della società ospite.
Ciò che viene fuori da questo studio è soprattutto l’esigenza di dare a queste donne una “possibilità”, naturalmente non totalmente inventata, ma che nasca da una base reale e che permetta una progettazione più razionale e più positiva della loro esistenza, una scoperta delle opportunità di crescita e di rinnovamento che dia nuove speranze e aspettative e allarghi sempre di più un orizzonte che troppo spesso sembra già predeterminato.
Per fare questo è però indispensabile promuovere un mutamento anche culturale degli attori sociali ed economici, responsabili dello sviluppo locale, non dimenticando che una buona integrazione delle donne immigrate, moltiplica inevitabilmente i suoi effetti positivi rendendo accessibile a tutti, compartecipata e condivisa la costruzione di una società diversa e migliore.
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