Editoriale di giugno - Abbiamo cercato nuovi modelli. Abbiamo incontrato buone intenzioni e buone idee
Bartolini Tiziana Domenica, 05/06/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2011
La chiama economia virtuosa e vuole intendere un modello "alternativo a quello proposto dalla società industriale classica e dalla competizione capitalistica". L'ultimo libro di Ermanno Rea è 'La fabbrica dell'obbedienza' (ed. Feltrinelli), un po' un saggio e un po' uno sfogo contro il servilismo, la fragilità e l'opportunismo degli italiani, di cui offre una traccia nel sottotitolo 'Il lato oscuro e complice degli italiani', generato secondo Rea dal Sant'Uffizio che, contrastando e cancellando gli effetti dell'Umanesimo, trasformò il cittadino consapevole in suddito. Una condanna senza appello? Tutt'altro. L'autore dedica un capitolo a un sogno di trasformazione del Meridione d'Italia che poggi non sul "feticismo delle merci, all'imperativo dei consumi e dello spreco illimitati" e che trasformi quelle che oggi sono considerate debolezze rispetto al modello produttivo dominante in un nuovo orizzonte "tanto vasto quanto imprevedibile".
È appunto di nuovi orizzonti che abbiamo bisogno per immaginare il possibile. Siamo ottimiste/i: il nuovo c'è, forse è più vicino di quanto non riusciamo a scorgere e a percepire, travolte/i da un affannoso vivere quotidiano che inibisce uno sguardo prospettico sulla realtà e sulle nuove idee che sono sperimentate, anche se in modo discontinuo o disomogeneo. Un nuovo mondo è possibile ma è anche indispensabile, come sostengono ormai tanti esperti dell'economia e dell'ecologia. Si sta diffondendo l'idea che siamo alle porte di un nuovo mondo da inventare perchè quello che abbiamo sinora conosciuto e costruito non regge più, né nelle dinamiche economiche né in quelle relazionali. Lo spaesamento è inevitabile se si affronta una fase di profonda incertezza con una vecchia 'cassetta degli attrezzi', infatti è proprio da lì che occorre cominciare, sostituendo le categorie di pensiero e di analisi con cui siamo abituate/i a misurare e misurarci. Ecco, dunque, il sogno come atto di audacia e l'utopia non come fuga da, ma come avvio verso. Il viandante che parte per accogliere l'altro che incontrerà in un viaggio di conoscenza porta un bagaglio leggero, toglie la zavorra, elimina il superfluo e si predispone a rigenerarsi, cosciente che non ha bisogno di cancellare la sua storia, che è parte di sé, ma che non può condizionarlo nelle possibilità di vedere e valutare dimensioni diverse e sconosciute. Il modello unico culturale che ha costruito l'occidente, maschile e capitalistico, è in crisi nelle sue più profonde articolazioni economiche e sociali e non riesce ad auto-governare un cambiamento. Maturano intanto idee, sperimentazioni si propongono come ipotetiche vie di uscita da un sistema che sembra impazzito. È un arcipelago di buone intenzioni che al momento sono distanti e non riescono ad immaginarsi come nuovo progetto organico, come proposta sistemica globale. Abbiamo cercato nuovi modelli. Abbiamo incontrato buone intenzioni e buone idee. Abbiamo capito che il possibile, per esistere, deve prima essere immaginato. Ma solo se concordiamo tutte/i che insieme si può vivere un sogno così grande e coinvolgente che, in quanto collettivo, è già diventato realtà. Sì, proprio quella che sognavamo e al di là della nostra stessa volontà.
Lascia un Commento