Ildegarda di Bingen, parola ascoltata e destabilizzante
SOS Filosofia - Entrata in convento a 5 anni, Ildegarda spicca tra le ‘mistiche’ per l’integrazione tra formazione dottrinale ed esperienza spirituale
Francesca Brezzi Martedi, 02/08/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2016
Le Visioni di Ildegarda di Bingen, recentemente pubblicate a cura di Anna Maria Sciacca presso Castelvecchi…, ahimè, la filosofia ritorna astratta e distante dalla realtà? Cosa ci può spingere a re-interrogare una figura così lontana dai nostri tempi? Donna entrata in convento a cinque anni e che in quel luogo raggiunse una cultura enciclopedica, oltre al titolo di Badessa, riconosciuta come autorità da tutto il mondo coevo (laici ed ecclesiastici, non escluso il Papa).
Ritengo che uno sguardo non superficiale possa essere utile nella contemporaneità: innanzi tutto Ildegarda è una delle grandi madri del cristianesimo - le mistiche - e tante se ne potrebbero ricordare (Angela da Foligno, Maddalena de’ Pazzi, Margherita Porete, Elisabetta di Schonau), riscoperte nel Novecento dagli studi femministi e da benemerite, consolidate ricerche nazionali e internazionali.
Una infinità di figure è uscita dall’ombra: escluse dalla teologia ufficiale, emarginate da una Chiesa, che reputava le donne senza anima e che spesso le condannava al rogo come streghe, ritenute quali uomini mancati, esse riuscirono tuttavia esercitare una “Parola ascoltata” grazie al loro modo di essere e di pensare. Non solo, ma spesso era parola destabilizzante, provocazioni sovversive in alcune, espressione di inquietudini che allarmavano le istituzioni.
Parola ascoltata perché molte di queste scrittrici riunirono intorno alla loro persona veri e propri cenacoli culturali, scrissero lettere ai potenti del tempo (non escluso il Papa), si adoperarono con pratiche diverse per un rinnovamento della chiesa.
E tale parola è differente, prismatica, quasi una polifonia ossessiva e disarmonica, esercitata con modalità molteplici, cariche di simbolismi e di metafore; parola che esprime l’intima unione con il proprio corpo: Maddalena de’ Pazzi viveva estasi che duravano quarantotto ore, durante le quali la santa correva per tutto il convento realizzando un “magnifico ballo”. E mi piace ricordare come proprio nel femminismo si sia focalizzata la densità figurativa e linguistica, insita nella ambiguità del corpo, si sia colta la pregnanza e creativa ambivalenza, corpo non riconducibile unicamente né ad una dimensione culturale, né a quella biologica, ma che vive del loro difficile intreccio.
Parola ascoltata anche nel nostro oggi - in un tempo di crisi, di speranze tradite, di banalizzazioni pseudo ideologiche, di chiusura nel privato (di post-femminismo?) - è la spinta a riprendere lo slancio per realizzare una vera e propria metànoia o per attuare quella parrhesia, di cui parlava Foucault, cioè un taglio dei saperi tradizionali, in vista non solo di conoscenze inedite, ma di una nuova prassi.
Un secondo motivo di interesse in tale rilettura riguarda il tema dell'identità, su cui il femminismo si interroga da sempre: ritengo che l’apporto della mistica femminile sia anche espressione di una visione antropologica indicativa per la contemporaneità (uguaglianza/differenza di maschio e femmina).
Ildegarda stessa si definisce homo: da qui è nata una cordiale discussione epistolare con una valentissima studiosa come Silvia Ronchey che sottolineava in un suo articolo su La Repubblica questa auto-caratterizzazione, e nella sua replica ad alcune mie osservazioni in maniera sottile notava che si tratta di una rivendicazione di specie (anche Eloisa afferma “Domino specialiter”), e non di genere, né di “singularitas”; una provocazione “assordante” per un orecchio medioevale, quasi una richiesta di “pari opportunità” per nulla scontata al suo tempo. La studiosa aggiungeva che nella mistica emerge una polarità del tutto trasversale al genere, che lo trascende e lo annulla (proprio come fa Ildegarda designandosi homo) in una dialettica spirituale profonda.
Concordo con la profonda conoscitrice, personalmente ritengo necessario precisare che homo si intende nel significato di antropos= essere umano e non già di anér=maschio. E questa distinzione, non puramente linguistica, rinvia al testo biblico (Genesi 1,27) in cui è inequivocabile la concezione dell'essere umano come natura uniduale, in cui la diversità è elemento di fecondità. Gli stessi Papi (da Giovanni Paolo II a Francesco) hanno richiamato la centralità del passo “Elohim creò l'umanità a sua immagine, […] maschio e femmina li creò”; da cui segue un’interpretazione diversa del racconto di Adamo ed Eva, Genesi 2-3, (nascita dalla costola, mela, serpente, etc., “il peggior scherzo giocato alla donna”, secondo T.Reik, che ha generato tutta una serie di stereotipi sull'inferiorità della donna).
Da qui la specificità femminile della mistica (come della teologia o del filosofare), quando è parola e prassi di una donna, che costituisce un Die andere Offenbarung, un modo altro di sentire la rivelazione. La peculiarità di Ildegarda è la perfetta integrazione tra formazione dottrinale ed esperienza spirituale, a differenza, in alcuni casi, dei maestri della scolastica- espressione di una precisa identità personale femminile.
Ma non solo Ildegarda (1098/1179), nel prossimo SOS mi riprometto di scavare nei nostri inquieti tempi, in un’Europa alla ricerca di una rinnovabile e rinnovata identità attingendo al pensiero di donne che hanno ripensato i modi del fare filosofia (Zambrano, Arendt, Weil, Stein, Hillesum), in particolare leggendo una teologa “atipica” come Antonietta Potente che ha scritto un testo dal titolo significativo Qualcuno continua a gridare. Per una mistica politica.
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