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Il welfare che non c’è

Il welfare che non c’è

Anziani e assistenza - Aumentano le persone non autosufficienti e manca un fondo nazionale dedicato alle loro cure

Patrizia Di Santo Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2006

L'evoluzione demografica e l'invecchiamento della popolazione mettono al centro delle politiche sociali e sanitarie del nostro paese lo sviluppo dei servizi per il sostegno della condizione di non autosufficienza. Mentre aumenta in assoluto la popolazione ultra-anziana bisognosa di cure continuative, va crescendo la volontà dei familiari e degli anziani stessi di invecchiare e possibilmente morire a casa, attivando tutte le risorse informali pur di ottenere questo obiettivo. E’ un cambiamento di cultura che nel gergo dei servizi viene chiamato domiciliarietà, una prospettiva che appare di lungo periodo. Già oggi sono circa 2.000.000 gli anziani che, pur essendo privi di autonomia, vivono a casa, da soli o con i loro familiari; tra questi quasi 500.000 sono costretti a non muoversi per motivi di salute. Sono “confinati” secondo la terminologia Istat.
Gli addetti al settore segnalano queste variazioni nella domanda:
- calo delle lungo degenze nelle strutture per non autosufficienti
- aumento delle richieste di strutture temporanee ad alta specializzazione e riabilitazione per persone affette da alzheimer, disordine cognitivo, ecc.
- aumento degli anziani con un certo grado di autonomia che cercano accoglienza in case-albergo e gruppi appartamenti
- aumento esponenziale della domanda di servizi flessibili, temporanei e collegati con l’assistenza domiciliare.
In molti paesi europei, accanto alla rete dei servizi socio-sanitari è già stato costituito il Fondo per la non autosufficienza. Nel nostro Paese il Fondo non è ancora stato attivato e la rete dei servizi territoriali non sempre è adeguata a rispondere alle nuove esigenze; in molte zone i servizi domiciliari integrati sono pochi e soprattutto poco flessibili, i centri diurni e i centri per le demenze scarseggiano, le residenze non riescono ad aprirsi al territorio. Per facilitare la permanenza a casa degli anziani privi di autonomia è necessario puntare sullo sviluppo di percorsi assistenziali e di cura unitari che prendano in carico il soggetto e la sua famiglia li orientino e li accompagnino nelle diverse fasi della condizione di non auto sufficienza. Di fronte a patologie croniche e degenerative infatti, è cruciale che la situazione del "paziente" e della sua famiglia sia oggetto di attenzione costante rispetto all'insieme delle difficoltà e sofferenze fisiche ma anche psicologiche e sociali che i singoli si trovano a vivere. Per far fronte a tale complessità è necessario costruire la filiera dei servizi per la non autosufficienza. La logica da seguire è quella di mettere a sistema i diversi servizi ed interventi erogati da diversi attori istituzionali e non (Distretti, ASL, Comuni, Residenze Sanitarie Assistenziali, Medici di Medicina Generale, Servizi territoriali) con quelli che le famiglie organizzano in proprio, con l'intento di rendere più efficaci i singoli interventi, integrando e valorizzando finanziamenti, competenze e professionalità specifiche. A ciò bisogna aggiungere le differenze tra Regioni in termini di risorse economiche disponibili, di cultura locale, di capacità amministrativa e gestionale che saranno accentuate dai risultati dell’ultima riforma, la devolution. A tutti questi squilibri – culturali, finanziari, organizzativi – ha cercato di rispondere la legge di riforma (L. 328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”) che già nel titolo enuncia l’obiettivo strategico della integrazione socio-sanitaria.
Ad oggi alcuni dei nodi ancora da sciogliere sono:
- Finanziamenti. In Italia il peso quantitativo delle risorse sanitarie è di cento a uno rispetto alle risorse sociali. In futuro, si può prevedere una lenta crescita dei finanziamenti per il sociale e una contrazione della spesa per la sanità. In questo quadro, la crescita dei servizi ad alta integrazione socio-sanitaria dipende in gran parte dalla conversione delle strutture e delle risorse umane dedicate agli ospedali verso la rete territoriale dei servizi.
- Gestione. L’azienda sanitaria è un soggetto unitario, con un direttore generale nominato dalla Regione e riceve i finanziamenti direttamente dalla Regione. La zona sociale invece, è un soggetto plurimo costituito dall’unione di diversi comuni poco abituati a individuare e perseguire strategie e interessi comuni. Dobbiamo riuscire a far dialogare le due realtà a partire dal Distretto. Il distretto sanitario è infatti ancora troppo debole all’interno di un sistema, quello sanitario, che continua ad investire nell’ospedale piuttosto che nel territorio. A queste differenze organizzative si aggiungono differenze di bilanci: l’azienda sanitaria locale che gestisce il bilancio della sanità è 4-5 volte più grande di una zona sociale, che gestisce il bilancio del sociale.
- Cultura professionale. L’approccio sanitario ha portato ad un progressivo incremento delle specializzazioni professionali che hanno assunto un peso crescente nelle dinamiche tra operatori, mentre nel comparto sociale le culture professionali sono più fluide e aperte alla ricerca di paradigmi unificanti, per un approccio globale al benessere della persona.
Nonostante queste difficoltà, molti territori stanno sperimentando nuove soluzioni. Attenzione particolare va data, ad esempio, alla creazione dello sportello unico distrettuale, come servizio in grado di offrire non solo le informazioni indispensabili per facilitare l'accesso ai servizi della rete, ma come porta d'accesso unica a tutti i servizi socio- sanitari mediante il riordino e l'unificazione di tutte le procedure. In questa ottica assumono grande rilevanza anche i servizi di garanzia che, erogati da professionisti del settore sanitario e sociale (Medici di Medicina Generale, Servizi di assistenza domiciliare,…) hanno l’obiettivo di valorizzare e ad integrare nella rete dei servizi anche il lavoro svolto dalle assistenti private assunte direttamente dalle famiglie per garantire contestualmente la qualità dell’ intervento e la qualità della vita sia dell’anziano che della lavoratrice. Ed ancora lo sviluppo di servizi di sollievo per accompagnare e sostenere le famiglie nel lungo percorso di assistenza e cura a domicilio dell'anziano non autosufficiente (ricoveri per week- end, per vacanze, sostituzioni brevi, gruppi di auto aiuto).
Il Comune di Venezia, la Provincia e il Comune di Reggio Emilia, il Comune di Firenze e numerosi consorzi Piemontesi, sono solo alcuni dei contesti territoriali, con cui Studio Come S.r.l. ha collaborato, impegnati in questo percorso teso ad integrare servizi residenziali, diurni, domiciliari, e di collaborazione domestica nei distretti. Tutte le esperienze realizzate, da quelle finalizzate ad affrontare un solo aspetto e riorganizzare un solo servizio della rete a quelle più complesse orientate ad inserire diversi tasselli sperimentando interventi ad alta integrazione, hanno dimostrato la necessità di una forte intesa e di una co-progettazione con il settore sanitario, reparti ospedalieri, Distretto e Dipartimenti territoriali, Medici di Medicina Generale.
Dal punto di vista organizzativo, è il passaggio da “mono-servizio” a struttura “multi-servizio” e implica una nuova collocazione di ogni singolo servizio, sanitario o sociale, nella rete dei servizi per anziani. Per l’integrazione socio-sanitaria questa è una trasformazione molto promettente, in quanto porta a rompere con il vecchio schema che ha creato un servizio ad hoc per ogni particolare condizione di vita e a concepire la rete come un insieme di risposte flessibili che si attivano in modo differenziato al variare delle esigenze dei soggetti. Percorsi assistenziali unitari, a partire dall’integrazione di tutti i servizi sociali e sanitari, residenziali, diurni e domiciliari.

*Sociologa, ricercatrice e docente in politiche sociali è socia dello Studio Come s.r.l. sito web www.studiocome.it .


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