La violenza contro due ragazzine a Reggio Calabria da parte di adolescneti legati alla ’Ndrangheta è la manifestazione di una cultura che si nutre di sopraffazione e prevaricazione
Non si tratta solo di violenza nei confronti di due giovani donne, ma di un sistema che considera le ragazze e le donne come oggetti da consumare, da sfruttare, da annientare.
Il dato più inquietante è che questa violenza non è legata a un conflitto, sociale o politico. Non è la risposta a un’ingiustizia sistemica, né tanto meno un’istanza di cambiamento. È semplicemente violenza fine a se stessa. La forza cieca di questi giovani, che agiscono senza una ragione apparente, senza un obiettivo da raggiungere, ma esclusivamente per sfogare istinti non indirizzati, non trova giustificazione se non nel vuoto esistenziale che li consuma. Quella violenza è il risultato di una mancanza totale di significato, di uno smarrimento interiore che non sa come esprimersi se non nell’annientamento dell’altro. E assume un significato ancora più profondo quando si inserisce nel contesto di una cultura patriarcale, che da sempre ha trattato le donne come esseri inferiori, come oggetti di possesso, come corpi da controllare.
La violenza sulle ragazze, in un contesto come quello della ‘Ndrangheta, non è solo il prodotto della frustrazione di adolescenti che si atteggiano a gangster, ma il segno di un sistema che si fonda sulla sopraffazione delle donne.
Atti di potere che esprimono la debolezza di chi, incapace di relazionarsi in modo sano con le proprie emozioni, cerca di ridurre l’altro alla propria visione distorta della realtà. La violenza è un modo di affermarsi, di sentirsi forti, l’espressione di un vuoto etico che non riesce a riconoscere l’altro come degno di rispetto.
Questi ragazzi, di fronte alla giustizia, non sanno spiegare i loro gesti, non riescono a giustificarli. La loro ignoranza – non solo culturale, soprattutto emotiva – è per loro una scusa, un’attenuante. Non hanno strumenti per comprendere il danno che hanno causato, né per riconoscere la gravità della violenza che hanno esercitato. Ma questa incapacità di giustificarsi non è solo una prova di immaturità: è il segno di un sistema che, invece di educarli alla responsabilità, alla riflessione e al rispetto, li ha lasciati crescere nell’indifferenza e nell’insensibilità.
La violenza che questi ragazzi esercitano sulle ragazze non è un atto di ribellione, non è nemmeno una lotta per il potere. La violenza è il loro modo di sentirsi vivi, di cercare un senso. Senza prospettive, senza sogni, senza speranza, il presente diventa il solo spazio in cui muoversi, ma un presente che non dà alcun appiglio, nessuna direzione. La distruzione dell’altro diventa allora l’unica forma di esistenza.
E siccome non c’è il limite al paradosso della violenza, gli stessi fratelli di una delle vittime l’hanno consigliata di non parlare, di non denunciare per timore dell’onta sociale e di ritorsioni. Anzi, di uccidersi buttandosi dalla finestra, fingendosi folle.
Questo è il risultato di una cultura della violenza generata dal vuoto etico, dalla totale incapacità di confrontarsi con la fragilità, con le paure, con il dolore.
La violenza è solo uno degli aspetti che riguardano il maschile e il femminile.
Una società dove vincono i bulli, anche nella politica e nelle istituzioni, dove il dibattito pubblico è fatto di stereotipi legati alla prepotenza, dove i giovani rapper usano parole e concetti sessisti e violenti, che non insegna ai suoi figli e alle sue figlie a costruire relazioni paritarie, a rispettare se stessi e gli altri, a riconoscere nelle altre persone esseri umani con la stessa dignità, è una società che prepara il terreno per la violenza.
E la violenza, quando non è fermata, non solo devasta chi la subisce, ma contagia tutta la comunità, in un circolo vizioso di distruzione e dolore.
Non basta più solo denunciare i femminicidi e le violenze contro le donne. Serve una riflessione profonda sulla cultura che alimenta la violenza e sulla necessità di costruire un nuovo modello di relazioni, che non si fondi sulla dominanza, ma sulla reciprocità.
È il momento di interrompere il ciclo della violenza, di cambiare le regole, di educare al rispetto e alla parità. Perché solo così le ragazze e le donne non saranno più oggetti da distruggere, ma soggetti da rispettare e valorizzare.
La frase su cui riflettere:
“La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci”. Isaac Asimov.
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