Idee - Aiutare le nostre amiche a riallaciare i fili dell’emancipazione femminile in termini corretti
Iori Catia Lunedi, 25/10/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2010
Ho trascorso le mie vacanze con alcune giovani ragazze che si stanno accingendo ad entrare nel mondo del lavoro. Fresche di studi e di entusiasmi ammirevoli, cominciano così il loro lento avvicinamento alle selezioni aziendali. E tuttavia mi sono resa conto di come quella razionalità di fondo che guidava le scelte di noi quarantenni sia totalmente sfumata per lasciare il posto all’emozione vissuta con forte coinvolgimento psichico. La felicità per le nostre sorelle più giovani è possibile e da ricercare con ogni sforzo (e questo mi pare buono), il dolore è un’esperienza essenziale, fare famiglia è quel che serve per condividere la vita con un’altra persona, la generosità è dono, la vita è avventura o viaggio; la cultura è ricerca di senso, le paure, se ci sono ineriscono alla propria personale dimensione (se si è malate, se si è orfane, se ci si sente sole) e non alla guerra, alla criminalità o a una dimensione più collettiva. Tutta la tensione è rivolta a se stesse e alle propri emozioni: non a caso si leggono libri di psicologia a go go. Questa prigionia in se stesse si accompagna con una parallela prigionia nel presente. Il tempo è il tempo di oggi, da consumare o da valorizzare: non si dà peso alcuno alla memoria del passato e alla speranza del futuro; non si crede molto in una vita ultraterrena, non ci sono libri o donne del passato che possano dare senso ad individualità future sia individuali che collettive. Ecco ciò che spaventa di più di queste giovani trentenni è proprio questo: vivono in un flusso costante che rassomiglia molto al flusso televisivo di cui sono spettatrici e figlie, e in cui ogni evento o fiction o talk show è vissuto e concentrato in se stesso, senza ricordo di cosa si è visto prima e senza idea di cosa si vedrà dopo. Come si può reagire a questa doppia prigionia e al conseguente destino di galleggiare in un flusso emotivo, indistinto e senza tempo? E come aiutare le nostre amiche a riallaciare i fili dell’emancipazione femminile in termini corretti?
Il primo impulso è quello di coinvolgerle nella scuola, nelle battaglie civili perché possano uscire dalla propria autocentratura condividendo i loro problemi con le generazioni precedenti, valorizzando adeguatamente la memoria di donne che pensano, studiano, lottano per rendere migliore la storia di noi tutte. Recuperando il senso del tempo e della storia. In seconda battuta penserei che forse è quasi impossibile combattere il flusso entrando nel flusso e che sarebbe importante radicarsi in qualcosa: sul territorio ad esempio con la rivitalizzazione delle realtà locali o con proposte di figure nazionali che possano trascinarle a una maturità di donne con maggiore senso e identità.
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