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Il violento sconosciuto che è dentro tutte noi

Il violento sconosciuto che è dentro tutte noi

Società - Mary aveva accusato uno sconosciuto. La sua prima deposizione era in parte vera, ad uccidere suo figlio è stato lo sconosciuto che si porta dentro

Giuliana Dal Pozzo Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2005

La prima cosa che è venuta in mente a Maria Patrizio, detta Mary, accanto alla vaschetta da bagno dove il suo bambino giaceva immobile è stata di dare la colpa ad uno sconosciuto. Per questo si era legata piedi e mani con il nastro isolante e si era chiusa in bagno, facendo scivolare la chiave da sotto la porta nell’altra stanza. Tutto da sola nella pace mattutina del piccolo borgo vicino a Lecco.

Lo sconosciuto era entrato in casa per rubare e, tutto preso da questo obbiettivo e da quello di immobilizzare la giovane madre, aveva lasciato che il piccolo annegasse in pochi centimetri d’acqua. Un copione già usato in altre tragedie familiari per coprire i veri colpevoli: figli, genitori, fratelli.

La storia non stava in piedi, l’hanno capito subito gli inquirenti e l’ha capito più tardi la stessa Mary: nessuno aveva forzato la porta di casa, niente era stato rubato, non poteva esistere al mondo un criminale tanto feroce e incosciente da sacrificare la vita di un bambino, per un modesto furto alla luce del giorno, nella casa di un operaio e di una commessa. Verità che le prove scientifiche hanno confermato. Nel corso di qualche giorno è arrivata anche la confessione della madre assassina e la gente, che l’aveva difesa appassionatamente dai primi sospetti, si è resa conto di trovarsi davanti a una donna malata., in preda a gravi disturbi psichici e mentali. Disturbi di cui nessuno in famiglia e nel paese si era accorto.

Fra l’orrore e la pena che una simile tragedia suscita, si insinua un altro sentimento, la paura di che cosa può succedere a noi, fragili esseri umani se perdiamo il controllo dei nostri gesti, ma soprattutto se nascondiamo o viviamo in solitudine le nostre difficoltà. La maternità aveva dato a Mary, oltre alla gioia, nuovi impegni e responsabilità, fatica, notti insonni, preoccupazioni davanti a un pianto che non cessa, un biberon rifiutato, qualche goccia di sangue, una crisi di respiro. Il lavoro in casa e nel negozio di panetteria era rimasto, anzi si era aggravato, ma erano spariti i sogni promettenti di un futuro in televisione. Intanto chi viveva o lavorava con lei, chi la incontrava per strada o nei negozi pensava semplicemente che fosse una mamma felice, come lo sono tutte quelle della pubblicità di omogeneizzati e di pannolini.

Il disagio, quando non gli si dà libero sfogo, non viene espresso e condiviso con altri che possono capirti, consolarti, aiutarti, quando non è “socializzato”, cova e si carica di veleni nella profondità della nostra mente e del nostro cuore.

Ha detto una verità Mary nella sua follia: a uccidere suo figlio è stato un individuo sconosciuto. Perfino a lei che se lo portava dentro.

(16 giugno 2005)

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