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Il villaggio della pace

Il villaggio della pace

Mondo/ Afghanistan. Popolo Hazara - Un popolo ridotto senza casa dai talebani sta ritrovando la speranza. L’idea di costruire il Villaggio della Pace è della dottoressa Samar

Redazione Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2005

Decine di migliaia di famiglie hazara sono scappate dai villaggi della valle di Bamiyan occupata dai talebani durante la guerra. Quando sono tornate, al posto delle loro case, hanno trovato cumuli di macerie. Non avendo i soldi per la ricostruzione, sono andati tutti a vivere nelle centinaia di caverne scavate sulle pareti delle montagne della zona, quelle stesse caverne che millecinquecento anni fa erano l'alloggio e il luogo di meditazione dei monaci e dei pellegrini buddisti che affollavano la città santa di Bamiyan.
I più fortunati, quelli che sono riusciti a racimolare un po' di denaro grazie a un lavoro, a un campicello o all'aiuto dei parenti, hanno tirato su due muri davanti alla caverna cercando di trasformarla in una casa. Oppure si sono direttamente trasferiti altrove.

L’idea della dottoressa Samar
Per gli altri, i più poveri, le famiglie delle vedove di guerra con i figli a carico, per quelli che vivono ancora lì in condizioni disastrose. Si sta realizzando il Villaggio Kart-e-Sulh che in dialetto hazaragi significa il Villaggio della Pace.
Il progetto è stato lanciato nel 2002 dalla dottoressa Sima Samar, capo della Commissione Indipendente per i Diritti Umani dell'Afghanistan (Aihrc).
Grazie ai finanziamenti raccolti da due associazioni (Fondazione Nando Perretti e Afghan Women Leaders Connect), Samar è riuscita, finora, a far costruire 80 case (dove abitano in totale 600 persone). Ogni casa è costata 3.500 dollari. Sono alloggi molto più confortevoli rispetto alla media delle case di Bamiyan: sono costruite secondo criteri tradizionali, ma ben rifinite e luminose.

I servizi sociali
Nel Villaggio della Pace i servizi sociali avviati sono: una clinica medica ambulatoriale con pronto soccorso e sala parto, e una scuola da nove aule dove si studia in classi miste, una cosa che nelle scuole statali non esiste perché è vista ancora come un'offesa per i maschi e una vergogna per le femmine.
C’è anche un orfanotrofio che ha aperto poche settimane fa e dove è stato stabilito un sistema per cui per ogni sette bambini c'è una donna del villaggio che fa loro da mamma, facendo tutto quello che fa una madre per i propri figli. E c’è soprattutto un centro dove le donne di Kart-e-Sulh vengono pagate per frequentare dei corsi di formazione professionale, di alfabetizzazione, di pianificazione familiare e di 'diritti umani e femminili'.
Lo scopo è quello di rendere autosufficienti le numerose vedove.

Le vedove
Shigufa, 23 anni, è la direttrice del centro femminile. “Il centro funzione dal 2003”, spiega la ragazza. “E' frequentato da una sessantina di donne, molte delle quali con le loro figlie. La maggior parte sono vedove, quindi hanno la necessità di imparare un mestiere per poter lavorare e mantenere i figli. Abbiamo quattro corsi. In uno insegniamo loro a tagliare e friggere le patate, l'unico prodotto agricolo della zona. In un altro le donne imparano a fare tappeti con i telai tradizionali a mano. Poi c'è il corso di tessitura dei pato, i tradizionali scialli di lana per uomini. E infine abbiamo il laboratorio artigianale di argenteria dove le donne imparano a produrre ciondoli, collane e orecchini secondo la lavorazione tradizionale hazara”.
“Tutte queste cose vengono poi vendute al bazar e il ricavo va a Shuhada – continua Shigufa – che lo reinveste nella gestione del villaggio, negli stipendi di medici, insegnanti, ecc..

In tanti vorrebbero venire, ma…
“Tantissime famiglie di sfollati delle caverne fanno richiesta per venire ad abitare al Villaggio della Pace, molte più di quelle che siamo in grado di soddisfare”, dicono al villaggio. “Per questo stiamo costruendo nuove case, ma basteranno solo per una minima parte dei richiedenti. E poi saranno le ultime, se non arriveranno nuovi finanziamenti”. (Fonte: Peacereporter.net)

(10 dicembre 2005)


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