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Il viaggio sentimentale di Maruja Torres nella vera America

Il viaggio sentimentale di Maruja Torres nella vera America

Un viaggio non tra i monumenti, ma tra la gente incontrata su una quindicina di treni passeggeri, qualche treno merci, corriere e ferrobus....

Venerdi, 01/08/2014 - Maruja Torres (autrice di “Amor America. Un viaggio sentimentale in America Latina”, Feltrinelli, quinta edizione, 2010) , giornalista e scrittrice di origini catalane, intorno agli anni Novanta del secolo scorso, ottiene l’incarico di attraversare in treno l’America Latina, per raccontarla in una serie di articoli e reportage sul supplemento domenicale di “ El País”, il quotidiano più diffuso in Spagna. Il viaggio, durato dieci settimane, inizia dal sud del Cile fino al Messico. Partenza dalla piccola e deserta stazione di Puerto Montt, la stazione più australe del mondo, con il “Ferrocarril del Sur”, di fabbricazione tedesca. Dirà che ha conosciuto la vera America, non gli Stati Uniti -quelli sono un’altra cosa- attraverso i figli dell’oppressione saltati al volo sui vagoni, per entrare negli Stati Uniti, arrivati dal Guatemala, Honduras, Nicaragua, Salvador. Un viaggio su treni lenti, a volte una media di venti chilometri all’ora, lavagne con orari non aggiornati, senza luce elettrica di notte, e con la paura di non arrivare a destinazione.



Mentre s’imbatte in stazioni sperdute, ferrovie frammentate, vagoni decrepiti, finestrini rotti e porte mal richiuse, Maruja arricchisce i suoi appunti con la storia degli incontri e dei luoghi. Quella del treno è anche la storia dello sfruttamento di ogni Paese. La strada ferrata, costruita dai monopoli stranieri, serviva alle compagnie estere per esportare le materie prime. Treni che mettevano in comunicazione non paesi o villaggi, ma piantagioni di banane, cacao, caffè e miniere. Ai porti veniva imbarcata tutta quella ricchezza destinata ad altri.



Nella Regione dei Laghi, attraversa quella parte del territorio che i mapuche -popolo di origine cileni trincerati a sud del fiume Bio Bio- hanno difeso coraggiosamente, prima dagli spagnoli, poi dalla borghesia creola. Parla con gli ultimi rimasti: “Noi mapuche stiamo lottando per la legge di protezione indigena per lo sviluppo, una riforma costituzionale che ci riconosca come cileni a pieno titolo”. Ancora oggi, la terra è la loro principale rivendicazione.

Poi è la volta di Temuco dove Pablo Neruda bambino trascorse la sua infanzia, e vivo è rimasto il ricordo dei desaparecidos, impressi sui muri e nelle voci dei poeti .



Dopo il passaggio alla frontiera, arriva a Neuquén , in Argentina. Nella stazione ascolta le proteste dei ferrovieri contro i piani di privatizzazione del governo: molte linee eliminate, altre paralizzate per gli scioperi. Strade ferrate costruite dagli inglesi perché a loro interessavano le carni che venivano trasportate nei frigoriferi. Privando il Paese della sua ricchezza, attorno al porto del Rio de la Plata si alimentava il sogno europeo di Buenos Aires. A bordo del treno “Estrella del Valle” raggiunge Bahía Blanca, città- rifugio di Alfredo Aziz, l’angelo biondo della morte. Ufficiale navale durante gli anni della dittatura militare di Jorge Videla, responsabile dei “voli della morte” di oltre 30.000 desaparecidos, è tristemente famoso per aver infierito contro le Madri di Plaza de Mayo, movimento contro la pratica dei rapimenti. Maruja sarà accompagnata anche nelle vere fattorie dei gauchos che cavalcano in campo aperto, “figli di quelle terre come l’antica ombra degli alberi ombues”.



Poi la Bolivia. Potosì , a più di 4.000 metri di ricchezza e miseria ai piedi del Cerro Rico, nelle cui viscere strapiene di argento gli indio pregano la Pacha Mama, la Madre Terra, oppure offrono foglie di coca al diavolo perché li tolga al più presto dalle sofferenze.

Altre mete: Sucre, l’antica La Plata, fondata da un luogotenente di Pizarro, il vicino mercato di Tarabuco, e Oruro. Qui uno scambio di chiacchiere con le donne racconta dell’epoca in cui i lavoratori delle ferrovie formavano una casta privilegiata, sconti e crediti negli spacci e una bella casa. Ma è anche la città dei minatori che marciavano scalzi fino a La Paz, città coronata dalle tre vette del monte Illimani.

Quindi il Perù. Cuzco, il bottone della pancia, il cuore dell’impero inca. Periferie fatte di paglia e abitate da contadini emigrati. Il viaggio sale fino a Machu Picchu attraverso la valle dell’ Urubamba con trenino per turisti per rendersi conto che gustare la bellezza è lusso per ricchi. Un bambino figlio degli inca, racconta del suo lavoro nei campi e della sfida con gli autobus: corre e si sfianca per arrivare prima alla stazione successiva e meritarsi qualche monetina. Un vecchio discendente degli inca dice che sta aspettando il giorno della sua pensione per trasferirsi, ospite delle figlie sposate a dei gringo, negli Stati Uniti, ma gli mancherà il suo orologio solare, il Machu Picchu.

Un volo da Cuzco a Lima la catapulta in quel Perù abbandonato da Dio dove vengono venduti clandestinamente i bambini oppure, ma richiede più tempo, comprati nelle “case di nutrizione”. E l’Ecuador. Guayaquil, con le lagune coperte di mangrovie, guarda il Tropico del Cancro e dimentica quello del Capricorno alle sue spalle. Quito, con i suoi 3000 metri di altitudine , odora di incenso, mais fritto e di tenera paglia per cappelli. Alausí e Riobamaba dalle strade costellate di bambini: lustrascarpe, venditori ambulanti, domestici. Oppure gracili tagliatori di canne da zucchero, bambinaie, aiutanti manovali, lavandaie .



In Colombia nessuna pietà per i passeggeri, la strada ferrata lascia spazio solo al trasporto merci. E così anche a Panama. Nella Costa Rica, al Museo Nazionale davanti le foto della costruzione della ferrovia, Maruja ascolta il commento di una bambina: “Le femminine non sono mai salite su un treno. E’ un peccato, non le pare?”. Riparte alla volta del Guatemala. Possiede molto più delle chiese in stile barocco ricco di ornamenti, del lago Atitlan, delle piramidi maya di Tikal. Possiede un 85% di abitanti che soffre la povertà perché le terre sono state sottratte agli indigeni, e ancor oggi, come salario, fagioli e alcol. Ultima tappa: partenza per il Messico con “El Aguila Azteca” fino a Nueva Laredo sulle sponde del Rio Grande, per passare poi nella città texana di Laredo, sulle rive del Rio Bravo, “la sponda sicura della vita”. Un altro ponte, altro passaggio di frontiera, per gente che compra mercanzie da rivendere. E’ il momento di attraversare l’ Atlantico e tornare a casa. Ma il viaggio, quello dell’anima, non si conclude, perché ormai le appartiene. E il paesaggio umano dell’ America vera, non raccontata nei libri di storia, ri-vive ogni giorno anche nei suoi scritti, insieme alla terra e alla sua gente ancora in attesa di un riscatto, ma carichi di vita pulsante. “Amor America” non può che sussurrare Maruja Torres!





Maruja Torres, “Amor America. Un viaggio sentimentale in America Latina”, Feltrinelli, Milano, quinta edizione, 2010

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