Pensieri svelati - L'Occidente, come una levatrice, "deve limitarsi ad assecondare il processo di liberazione femminile secondo i tempi e le modalità che le donne islamiche individueranno autonomamente"
Stefania Friggeri Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2006
Dopo aver letto quel titolo,“Togliti il velo!”, sul numero di ottobre sono corsa a leggere la firma dell’autrice e mi ha molto confortata il fatto che l’articolo fosse stato scritto da una musulmana yemenita. In primo luogo perché la simbologia del velo, nel vasto e multiforme mondo islamico, è tanto complessa e problematica che solo chi la conosce a fondo, e dunque dall’interno, solo chi non l’ha solo studiata ma la vive personalmente, disposta a condividere sulla propria pelle le conseguenze di scelte difficili, può permettersi di indicare i percorsi per realizzare nel mondo islamico la liberazione della donna. In secondo luogo perché se quell’appello viene dall’esterno porta dentro sé, anche se del tutto involontariamente, la convinzione di offrire un modello superiore, ovvero il pre-giudizio, non avvertito perché profondo e inconscio, della superiorità della civiltà occidentale. In terzo luogo perché lo sguardo dell’ “Altro” genera sempre imbarazzo e disagio, se non fastidio e rifiuto, poiché ci costringe a prendere coscienza e a riconoscerci in un’immagine inedita che, forse, non ci piace.
Voglio dire che l’Occidente, di cui le culture orientali vivono con sofferenza il volto colonialista, (vero Santanchè? ) si deve ben guardare dal proporre soluzioni e modelli elaborati lungo secoli si storia, in un contesto, unico e irripetibile, molto lontano dall’Oriente. Al contrario, come una levatrice, deve limitarsi ad assecondare il processo di liberazione femminile secondo i tempi e le modalità che le donne islamiche individueranno autonomamente, lavorando all’interno della loro cultura, facendo i conti con realtà socio-politiche varie e diverse fra loro.
Chiediamoci piuttosto come mai si rimettono il velo in testa le figlie di quelle donne che a suo tempo se l’erano levato; non è forse perché - nella ricerca di valori solidi su cui fondare la propria identità e in presenza di una profonda crisi del mondo islamico - il velo è vissuto come il simbolo distintivo dell’orgoglio etnico, un segno attraverso cui rivendicare la dignità della propria cultura ?
La questione del velo dunque, se inquadrata nell’orizzonte della complessa realtà contemporanea, rivela tutto il malessere che percorre le società multietniche globalizzate. Siamo di fronte insomma ad una questione solo apparentemente di genere, di fatto essa porta con sé un alto valore simbolico che attraversa tutta la società: si tratta dell’incontro-scontro fra due mondi che viene combattuto, come spesso accade, sul corpo delle donne. Dalle quali però viene la proposta dell’unica via possibile per un’integrazione autentica, la via del dialogo: solo incontrandosi fisicamente, solo scambiando parole vive, i diversi impareranno a conoscersi e a rispettarsi.
Facciamo comprendere come il nostro mondo sia più complesso di quanto appaia. Ad esempio perché non riprendiamo la vecchia dimenticata battaglia contro la mercificazione del corpo femminile? (a cominciare dalla tv che continua a proporre un modello femminile volgare ed amorale, oltre che intellettualmente meschino e culturalmente deprivato). E però: questa battaglia non significa che noi apprezziamo il tipo di abbigliamento, adottato da molte musulmane, che nasconde le forme femminili per allontanare ogni idea di seduzione: abiti ampi, colori scuri e mortificanti come quelli delle suore cattoliche. Perché del vestire con grande pudicizia - costumi simili erano diffusi fino a ieri anche in Italia - noi temiamo il valore simbolico: non sei un essere umano di sesso femminile, cioè una donna, sei una femmina, cioè colei che suscita il desiderio maschile, colei alla quale la natura ha consegnato il compito di soddisfare il maschio affinché la vita si rinnovi e la morte sia sconfitta. Come dire: se non vesti castamente sei tentatrice e dunque colpevole degli atti di libidine eventualmente subiti (e infatti nei quartieri squallidi e violenti delle periferie urbane il velo può rappresentare l’unica difesa dall’aggressione di maschi cui fa comodo scambiare la donna ‘svelata’ per una donna ‘di facili costumi’).
L’incontro con le donne musulmane, non facile, può essere fruttuoso se ci ricordiamo che anche noi ai loro occhi siamo l’ “Altro”; che nessuno sguardo è ingenuo perchè si porta dentro tutti i pre-giudizi assorbiti dall’ambiente e dall’educazione; che potremo raggiungere uno scambio rispettoso solo lavorando in un clima di empatia. Empatia: è la premessa necessaria per giungere, abbandonata ogni forma di missione pedagogica, al riconoscimento dell’Altro e dunque, nel tempo, alla trasformazione reciproca.
(05/12/2006)
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