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Il velo e la poesia

Il velo e la poesia

Iran - Elisabetta Colla

Redazione Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2008

“L'obbligo del velo islamico è legge dello Stato. Rispetta la legge”. Manifesti con questa scritta, in lingua farsi ed inglese, sono affissi nei locali pubblici iraniani, in giro per il paese, a memento di qualcosa che sarebbe comunque impossibile, per le donne iraniane, non ricordare. Per quanto si possa andare in Iran preparati, desta rabbia ed impotenza leggere una simile scritta, corredata da un viso triste ed acquiescente di donna ‘perbene’ incorniciato dal velo. La regola, ovviamente, vale anche per le straniere, turiste e non, che devono coprirsi il capo ed il corpo possibilmente fino alle ginocchia, per non indurre in tentazione. Persino i manichini, nelle vetrine dei negozi e nei bazar, sono costretti a portare il velo. Ma se tutto questo è più o meno noto, meno prevedibile per chi si avvicina ad un mondo tanto misterioso e demonizzato in Occidente, è scoprire di persona che l’Iran è un paese vitalissimo e niente affatto cupo, pieno di giovani (donne e uomini) che cercano di affrancarsi dalla paura e dalle sofferenze causate da un regime totalitario, sedicente religioso, ormai obsoleto e scollato dalla base popolare. Si rimane piacevolmente sorpresi nell’apprendere che le donne iraniane che studiano e frequentano l’Università a Teheran, Esfahan, Shiraz e Yazd - le città principali del paese - in molti casi sono in numero superiore agli uomini, e spesso eccellono negli studi: le studentesse iraniane sono belle e colte, curate e moderne, imparano le lingue, vanno fuori a cena la sera e si tengono per mano con i fidanzati. Fermano il turista, uomo o donna, senza alcuna soggezione, per testare il proprio inglese, per avere notizie dell’Occidente, dell’Italia, di quello che si dice sul loro paese, su quale musica si sente e quali film si possono vedere all’estero. ‘Persepolis’, la bella graphic novel di Marjanne Satrapi che oggi è anche film, circola, ad esempio, al mercato nero, e molti altri prodotti proibiti si possono reperire tramite Internet o amici con le conoscenze giuste. Si respirano un dissenso e un malessere diffusi verso la classe dirigente del Paese, speculari all’enorme curiosità ed alla fame di scambi d’opinione con mondi “altri”, occasioni rare i turisti. Visitare l’Iran è dunque un’esperienza umanamente eccezionale: prima ancora che scoprire i tesori d’arte e di architettura dell’antica Persia - peraltro unici - bisogna entrare in una dimensione di contatto e vicinanza con la gente, regola generale ma più che mai valida in questo Paese. Anche in Iran esistono esperienze di turismo sostenibile e cooperative sociali: grazie a questi contatti è auspicabile l’apertura di un canale che faciliterà - così si spera - gli scambi con l’Italia, favorendo la rottura dall’isolamento. Ad esempio la signora Nabizadeh, è la “managing director” dell’«Aftab Kalout Eco-tours & Travel», un’agenzia con uno staff di 10-12 persone, tra stabili e part-time, più circa 20 referenti e guide in giro per il Paese. “La nostra è una delle 2 o 3 agenzie di turismo sostenibile e responsabile di tutto l’Iran. Ciò significa che i nostri circuiti vengono realizzati collaborando ‘con’ e valorizzando le comunità locali, ed utilizzando - ove possibile - personale e servizi locali, soprattutto per alloggio e ristorazione”. L’agenzia realizza eco-tours o eco-cultural tours, nei quali - oltre al circuito classico, che comprende le città storiche - viene esplorata la grande varietà di climi ed ambienti, anche etnoculturali, dell’Iran, le cui attrattive spaziano dalle foreste antiche di migliaia di anni del nord e dell’ovest del Paese, tra Mar Caspio, Caucaso e la regione confinante con la Turchia (Kurdistan), fino alle risorse balneari del Golfo Persico. Per aiutare le donne (e in generale le famiglie) ad essere autonome vanno ricordate anche le numerose esperienze di Cooperative Sociali attive in Iran; fra le più interessanti emerge quella della Compagnia di Cooperative Rurali Shahryar, con sedi e soci in Teheran e dintorni, un esempio paradigmatico della vocazione agricola e al tempo stesso imprenditoriale dell’Iran moderno. Vengono erogati, dalle banche dei vari villaggi aderenti, crediti per studio, formazione e salute, nonché micro-crediti specifici alle donne per corsi di parrucchiera, cucito, tessitura di tappeti, o per acquistare macchine da cucire che ne promuovano l’autonomia economica (specialmente se vedove o bisognose). Nell’ambito della cooperativa di Shabahang, una delle più importanti, è stata anche realizzata una grande polisportiva, dov’è nata la prima squadra di calcio femminile dell’Iran, con 15 ragazze iscritte, che gioca contro le squadre maschili. Dunque, nonostante i divieti e le interdizioni (alla libertà di espressione, alla danza, alla politica, ai rapporti fra i sessi, e se ne aggiungono sempre nuovi) la vita in Iran continua, come un fiume in piena: le donne coltivano la cultura, le arti e la poesia, costruendo con grande forza interiore il cambiamento che verrà.

Iraniane alla ‘guida’ del loro futuro
Due notizie confermano il dinamismo delle donne iraniane, nonostante l’ufficiale imperio di veli e divieti. Entrambe riguardano la possibilità di condurre mezzi di trasporto, strumenti di libertà fisica e non solo.
SE LA VETTURA E’ ROSA Cambio automatico, sistema elettronico per il parcheggio, navigatore e servo sterzo per le autovetture ‘per sole donne’ che saranno lanciate sul mercato nazionale nei prossimi mesi. La linea ‘dedicata’ prevede, oltre a colori particolari, l’allarme in caso di ruote sgonfie e un video per intrattenere i bambini a bordo. Pare che le autorità islamiche abbiano ufficialmente appoggiato il progetto, forse in base alla constatazione dell’incremento delle donne al volante testimoniata anche dalla costituzione di società di taxi formate da sole donne.
PRESTO ANCHE IN MOTO Il divieto c’è da 26 anni, ma avanza l’idea è di superarlo consentendo alle donne di prendere la patente per guidare le moto. Persino fonti ufficiali della polizia sostengono che non è un delitto per le donne andare in moto, l’importante è che lo facciano rispettando ‘i valori islamici’, cioè osservando le regole dell’abbigliamento che le vuole coperte dalla testa ai piedi. La battaglia è all’inizio e l’esito non è certo, visto che già qualche anno fa un’azienda di moto era stata costretta a cancellare un corso di guida per donne. Deluse le 4.000 che si erano iscritte, ma probabilmente determinate a non desistere.

(13 dicembre 2008)

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