Bartolini Tiziana Domenica, 31/05/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2015
Continua il nostro originale percorso dentro all’alimentazione intesa come veicolo di messaggi, come contenitore di idee e vissuti, come espressione di modi di essere. Dopo il ‘cibo malato’ del numero di aprile/maggio, questo mese ragioniamo sul ‘cibo ribelle’ in quanto espressione di una contestazione alle modalità delle produzioni e dei consumi, all’organizzazione degli ingredienti o della cottura. Dietro e dentro la ribellione ci sono scelte di vita, filosofie esistenziali, studi e sperimentazioni. Però c’è anche una sete di sapere e una manifestazione di autodeterminazione. Rifiutare le tradizioni, anche quelle alimentari e culinarie, vuole anche essere una presa di coscienza di sé con una autentica riprogettazione che passa anche attraverso il cibo. Siamo esseri abitudinari e cambiare, lo sappiamo, è faticoso e assai poco agevole. Chi abbandona carni e salumi, ha anche la forza di sostenere poi un’esposizione pubblica rispetto ad una scelta che è spesso strettamente connessa a motivazioni personali, persino intime. Se poi tali scelte sono inflessibili, rendono difficile la vita di comunità, visto che lo stare insieme è sinonimo di condivisione di cibo e di convivialità.
Dalla macrobiotica al crudismo, chi si ciba in modo alternativo è mosso da convinzioni profonde e salde in grado di sorreggere l’impegno quotidiano e l’organizzazione che questa scelta richiede. Ben oltre una moda, dunque, il mangiare fuori dagli schemi consolidati rappresenta e racconta qualcosa che viene da lontano e le cui potenzialità non sono ancora espresse compiutamente.
Le donne sono molto coinvolte nelle scelte salutiste per tante ragioni. Hanno una particolare attenzione per il proprio corpo, che ascoltano e osservano nelle varie fasi della loro esistenza. Poi c’è l’ascolto della dimensione interiore, altro capitolo immenso. E il cibo nutre anche l’anima, o compensa disequilibri. Sono le donne che possono muovere e cambiare la cultura dominante, certo a partire da se stesse, ma con il potere che possono esercitare anche nell’ambito della loro sfera di competenze, nella famiglia o nella scuola. È una consapevolezza che sta crescendo, se si considera l’aumento costante del consumo di cibi biologici, il proliferare dei gruppi di acquisto, l’incremento dell’organizzazione di orti condivisi e anche urbani o delle piccole coltivazioni sui balconi. E non sono poche le famiglie che fanno il pane in casa, cuocendolo nel forno elettrico della cucina. Più che risparmio, è un ritorno al saper fare e al gusto di scegliere ingredienti e di sperimentare. Ecco, di nuovo, un’autodeterminazione del voler essere anche altro. Con il piacere di riuscirci e di scoprire che, in fondo, non è per niente difficile e che il tempo - incredibile - si riesce anche a trovarlo. Decostruzione del cibo quale via per una possibile dis-omologazione culturale? Chissà, forse... intanto accendiamo il forno e cominciamo ad impastare. Dare valore politico ad un gesto antico non può che produrre un nuovo pane, saporito e con un valore aggiunto.
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