Versione Santippe - Quando, bei tempi, con una stretta di mano si stringeva un accordo
Camilla Ghedini Lunedi, 17/10/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2016
Oggi pensavo a un pranzo con alcuni imprenditori, circa tre anni fa. Nel mezzo di una crisi che li stava stritolando, e demotivando, quello che li feriva di più - disse uno di loro - era che 'un tempo con una stretta di mano stringevi un accordo, oggi neppure una firma significa più nulla'. Mi aveva colpito, perché mi ero seduta al tavolo contro voglia, immaginando che avrei ascoltato i soliti discorsi con lamentele condite di istanze contro il Governo di turno su eccessiva tassazione, mancanza di incentivi all'innovazione e bla bla bla. Quel che si ascolta di norma ai convegni, ai dibattiti in cui a parlare sono i vertici di istituzioni o rappresentanze di categorie.
Quelli che nelle aziende, per capirci, non ci entrano, non sanno come funzionano, come si vive, con l'angoscia di famiglie intere che dipendono da te. Eppure tutelano, o così dovrebbe essere, chi producendo e magari esportando crea occupazione. Quella frase si era insinuata dentro di me. E ci avevo scritto un pezzo per una rivista. Perché per quel signore, lì con la figlia cui sperava di lasciare l'attività, in nome della tradizione famigliare tanto invocata in Italia, la sconfitta vera era quella etica. Il disagio vero era la sfiducia. La paura vera era quella di relazioni non autentiche.
Oggi le sue parole mi sono tornate in mente, pensando a tutte le volte che le persone si assumono impegni senza mantenerli. Così, con faciloneria, superficialità. Perché tanto le parole volano. Il resto è retorica. In fondo per non perdere la faccia basta non averla, come la dignità. Sarà che io proverei vergogna a non essere coerente. Mi sentirei di tradire. Probabilmente sono retrò. Anacronistica. Agé. Vecchio stampo. Off. Però siamo in tanti così e quindi non sono sbagliata. Mi sono chiesta se c'entrano i tempi o l'educazione e mi sono risposta che sono strettamente connessi. Quel che c'entra davvero è il senso di responsabilità individuale, perché i visi di tolla ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Ovunque. Forse però oggi, con la perdurante crisi, si è legittimata la perdita di morale. Che si verifica in ogni ambito e fa spesso sentire stupidi. Io oggi mi sono sentita così. Presa in giro sul fronte di un progetto che richiamava in causa entusiasmi condivisi.
Ma la condivisione, nel mondo reale, è rara. Seppure sia uno dei concetti più in voga, soprattutto grazie al web e ai social, perché per 'condividere' basta il mouse. Nell'etica al tempo dei like provare ad essere persone perbene è davvero difficile. Significa ingoiare rospi, delusioni, che sono peggio delle offese dirette. Ma si può scegliere di essere altro? O altri? Non credo proprio. Certo vorrei, per una settimana della mia vita, non sentire il senso del dovere con cui sono cresciuta fin da piccola, che a me pareva normale, perché mi consentiva argini, metri di giudizio. Senza pesarmi. Ecco, ciascuno di noi porta in giro se stesso bambino. Educato o maleducato. Buono o cattivo. Sincero o bugiardo. E io, dell'infanzia, porto con me il senso del dovere. E la vergogna all'idea di non mantenere la parola data. Dell'età adulta, invece, la consapevolezza che è sempre meglio sbagliare per fiducia che per sfiducia. Però sì, aveva ragione quel signore, la stretta di mano che diceva tutto, racchiudeva un pezzo di mondo bello.
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