Castelli Alida Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2006
Ormai è chiaro: studi, ricerche, ma anche l’esperienza diretta ce lo confermano, il lavoro delle donne vale meno. E’ un dato che viene verificato sia a livello collettivo, in quanto il lavoro delle donne in un determinato Paese, in Italia, In Europa ecc. vale meno di quello degli uomini. Collettivamente come genere siamo pagate di meno, perché accediamo più difficilmente ai posti alti nella gerarchia lavorativa, a quelli “ben retribuiti”, e siamo invece relegate quasi sempre nelle professioni meno pagate (la segregazione lavorativa), con contratti meno vantaggiosi dei nostri colleghi uomini. Del resto anche nel pubblico impiego a parità di ruolo, quindi anche a livello individuale, spesso le donne guadagnano di meno, perché per conciliare lavoro e famiglia sono meno “disponibili” agli straordinari, i dirigenti preferiscono rivolgersi ad un uomo per affidare incarichi che comportano un aggravio (a volte) di impegno ma che garantiscono indennità e quindi una differenza salariale.
Questo è in breve il problema sia nei suoi contorni sociali che individuali. Ci sono da oltre un decennio importanti studi su questo fenomeno, è ormai dimostrato che in Europa le donne guadagnano in media dal 10 al 15% in meno degli uomini. Tale situazione ha forte implicazioni negative su tutto l’arco della vita: dalle pensioni che necessariamente per le donne sono più basse, all’accesso ai congedi parentali. E’ evidente che oltre alla scarsa condivisione del lavoro di cura, nella nostre famiglie si fanno un paio di conti: se la madre guadagna meno del padre è quasi scontato che i permessi non retribuiti per malattia del figlio o anche quelli retribuiti parzialmente siano utilizzati di preferenza dalla madre che non dal padre, il reddito familiare ne soffrirà meno!
Ma valutare meno il lavoro delle donne ha anche altri risvolti, soprattutto in una società sempre più abituata a valutare il valore delle persone in termini economici. Le donne valgono meno perché guadagnano meno, il loro lavoro è svalutato. Ed ancora: la disponibilità delle donne al lavoro di cura le relega spesso anche nelle organizzazioni a ruoli subalterni a ruoli marginali. Per non parlare della politica, dove c’era (o forse c’e’?) sempre un posto per gli angeli del ciclostile, ma poi non parliamo di altri incarichi! Così questa svalutazione del nostro lavoro diventa spesso autosvalutazione, non sono solo gli uomini a pensare che se un lavoro lo facciamo noi donne possono benissimo farlo anche loro (soprattutto se è un lavoro interessante) ma spesso lo pensiamo anche noi. Perchè non proviamo a pensarlo solo per il lavoro di cura? Se lo facciamo noi lo possono benissimo fare anche loro!
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