Il mito a teatro - Viaggio attraverso un mito rivisitato in chiave femminista e teatrale dalla regista e attrice Maria Inversi sulla base del testo della filosofa spagnola Maria Zambrano
Providenti Giovanna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2007
“La tomba di Antigone” è un breve testo scritto dalla filosofa Maria Zambrano nel 1967, che Maria Inversi (una “artista di teatro che lavora sull’io femminile con pretesa di ri-narrarsi e ri-narrare”), avendolo scoperto una decina di anni fa, ha più volte riproposto sul palcoscenico, ma ogni volta in una versione diversa, dettata dal continuo ininterrotto laboratorio interattivo tra lei e il pubblico. L’ultima proposta è la riduzione della riduzione del testo originale: il risultato di una viscerale ricerca espressiva che mira ad essere il più vicino possibile al battito del cuore e al sentire senza mediazioni dello/a spettatore/trice. Un sentire che tocchi l’anima: essendo quella di Antigone non solo la storia di una donna-mito, ma la metafora della “nostra coscienza ottenebrata, sepolta viva dentro di noi, in ciascuno di noi”, come scriveva Zambrano.
Proviamo a vederla più da vicino l’Antigone di Zambrano rivisitata e reinterpretata da Maria Inversi, che della riduzione teatrale (recentemente proposta al “Cometa off” di Roma) è sia autrice che regista e interprete.
Si tratta di una Antigone molto incarnata, e come tale più viva che morta, nonostante già dentro la tomba. Una donna che, distinguendosi dal mito sofocleo e dalla scelta della madre Giocasta, appare fin da principio molto lontana dall’intenzione di suicidarsi: “come poteva”, scriveva Zambrano, “Antigone darsi la morte, lei che non aveva mai disposto della sua vita? Non ebbe nemmeno il tempo di accorgersi di se stessa”.
Sepolta viva, né nella vita né nella morte, Antigone compie un atto di rinascita, attraverso una profonda operazione di autocoscienza, che la filosofa spagnola aveva descritto attraverso dialoghi tra la protagonista e i vari personaggi del mito di Edipo, e che invece nel canovaccio teatrale di Inversi diventa un unico monologo, in cui i personaggi non appaiono, ma vengono evocati.
Ogni incontro rappresenta un passo in più di crescita e consapevolezza di se stessa e dei propri limiti e potenzialità. E anche un passo in più verso la liberazione dai vincoli posti da cultura, famiglia, politica, e leggi ingiuste.
Il primo passo è quello contro la cultura della guerra che prevede un solo vincitore e che nega pietà e sepoltura ai corpi dei vinti. La protesta di Antigone, di fronte alla morte di entrambi i suoi fratelli, l’uno contro l’altro, è al di fuori delle parti: il suo atto di pietà e giustizia acquisisce una grande potenza simbolica quando comprendiamo che, se il fratello rimasto insepolto fosse stato l’altro, lei avrebbe ugualmente “lavato il nostro esecrato fratello”: avrebbe rinunciato ad obbedire al potente re Creonte per compiere un gesto equo, non per schierarsi da una o l’altra parte, ma per percorrere tutt’altro luogo simbolico. Un gesto e un luogo che i fratelli morti – entrambi accecati dalla logica maschile e bellica - non avrebbero probabilmente apprezzato né capito.
“Tutte le vittorie poggiano sul pianto e sul sangue, ma né pianto né sangue ammorbidiscono i cuori dei vincitori. Non fu gloria la vostra, fratelli miei che errate verso un centro ove dirigervi. Oh morte, aspetta a venire finché non si riconciliino finché io non sappia dove condurli, poiché forse non andiamo nello stesso posto”.
Il luogo dove Antigone vive da sepolta non è in fondo così diverso da quello in cui è nata e vissuta dentro la famiglia e gli obblighi imposti dalla cultura patriarcale. Ma nella tomba scopre una possibilità in più: svelare il gioco segreto tra lei e la sorella Ismene, trasformare in parole consapevoli il non detto appartato del femminile, trasformando in valore il sapere e le pratiche, tra doveri e segreti, delle donne: “Ascolta, sorella, tu che ti trovi ancora in alto sulla terra, ascoltami… quando nascerà qualcosa, dimmi, me lo verrai a dire? Io mi trovo qui, nelle viscere di pietra, ora lo so, condannata affinché da me non nasca nulla… Io però sono qui che deliro, ho voce io, ho voce…”.
Nel testo di Zambrano-Inversi la debolezza del potere di Creonte, che era uno dei punti cardine di Sofocle, si trasforma nella forza di Antigone non più vittima, ma protagonista. In un suo saggio del 1999 (“Antigone e l’io femminile nel linguaggio teatrale”) Maria Inversi scriveva: “nel silenzio della tomba, senza leggi e regole, Antigone trasforma l’espressione della passio femminile ed il suo gesto in parole di forza sociale e dunque politiche… una voce carica e limpida, non compromessa, che si rigenera continuamente trasformando l’odio in amore”.
La voce politica femminile rappresentata da Antigone e narrata “dal di dentro”, (da Zambrano prima e da Inversi dopo) attraverso una operazione di continua rielaborazione di se stesse e dell’anima femminile, è una voce di libertà e di rinascita. La libertà di affermare un proprio ideale e dire no al sole abbagliante e all’affrancamento dalla condanna offerti ad Antigone, in cambio della sua collaborazione, da Creonte, che sarebbe così potuto “passare sopra la legge senza cambiarla”.
“Se l’uomo del potere fosse sceso qui in altro modo, nell’unico in cui avrebbe dovuto arrischiarsi a venire, con la Legge Nuova, e qui avesse ridotto in cenere la legge vecchia, allora sì che io sarei uscita con lui, al suo fianco, portando la Legge Nuova ben alta sopra la mia testa. Ma né lui né altri là sopra lo hanno anche solo sognato”.
La libertà di Antigone condannata è che ora può incontrare in piena autenticità le persone, o la loro ombra, che hanno abitato la sua vita. Ora può non nascondersi dietro la maschera del “come tu mi vuoi”, da sempre retaggio delle donne, e può accogliere il tesoro della differenza.
“In nessuna casa siamo mai stati accolti per come eravamo, mendichi, naufraghi, che la tempesta getta su una spiaggia come un relitto, un relitto che è anche un tesoro. … ci colmavano di doni, ci ricoprivano con la loro generosità come per non vederci. Ma non era questo che chiedevamo, noi chiedevamo che ci lasciassero dare”.
Nel segno della libertà e della autenticità femminile l’Antigone di Zambrano-Inversi, è una donna appesantita-arricchita dall’esilio (il testo è stato scritto dalla filosofa spagnola nel periodo del suo esilio dalla Spagna franchista) e dalla consapevolezza che nel lungo viaggio compiuto insieme ad Edipo, preoccupato solo per se stesso, il suo essere femminile era stato cancellato dal padre - “Lo sai chi sono padre? No, non lo sai. Ed è al padre che tocca dirci chi siamo” – e negato dalla madre, dimenticatasi, mentre sceglieva di suicidarsi, che “il regno della Grande Madre abbraccia tutto ciò che è nato bene, che è nato male…”.
La libertà di questa Antigone non sta per niente in una questione di libertà di scelta tra l’una o l’altra cosa (né tra la vita e la morte né tra lo stare dentro o fuori dal potere) ma nel creare un sogno altro, un sogno di rinascita: “la vita è illuminata soltanto da questi sogni simili a lampade che rischiarano dal di dentro, guidando i passi dell’uomo nel suo errare sulla Terra.”
Alla fine della rappresentazione, in un lento e graduale riaffiorare delle luci, l’Antigone rappresentata in scena da Maria Inversi inizia a camminare dando le spalle al pubblico e molto molto lentamente, come seguendo il tempo del proprio respiro interiore.
Verso cosa si dirige?
Va verso il suo sogno, verso “il luogo nel quale il cuore possa insediarsi intero… quando l’oscurità lo avvolge, seguirlo ed entrare con lui laddove la luce si accende. Adesso sì, dev’essere il momento. Adesso che la mia stella, la stella del Mattino, è qui”.
Fonti per scrivere questo articolo sono state: il copione di Maria Inversi “La tomba di Antigone”; “Antigone e il sapere femminile dell’anima” (a cura di M. Inversi, ediz. Lavoro, 1999); F. Brezzi, “Antigone e la Philìa” (Franco Angeli, 2004).
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