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Il sapere, specchio della vita

Il sapere, specchio della vita

Fahrenheit 451 - Un regime spietato che impone la caccia al libro, l’annullamento del sapere umanistico e la cancellazione della memoria...

Mirella Caveggia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Agosto 2007

In una società depressa e insaziabile che si infervora per le scemenze più sconsolanti, che celebra festante le banalità dei reality show televisivi, Fahrenheit 451 illumina a teatro la visione fantascientifica che lo scrittore americano Ray Bradbury aveva profetizzato sessant’anni fa nel suo romanzo omonimo. Dal libro che ha ispirato a Truffaut il film omonimo, l’autore aveva tratto anche una versione teatrale. Di questa lavoro si sono impossessati Elisabetta Pozzi e Luca Ronconi per portare in teatro i temi del romanzo.
Non c’è traccia di un tempo specifico, né di uno spazio definito in questa vicenda piuttosto nebulosa che narra di un mondo senz’anima, senza libri, senza cultura calata in un tempo futuro e senza data che non si è realizzato nel film. Siamo in un regime spietato che impone la caccia al libro, l’annullamento del sapere umanistico e la cancellazione della memoria. Tutto avviene in un clima fortemente tecnologico, di un grigio senza speranza, dentro una enorme gabbia metallica che libera improvvise spaventose vampate di fuoco per mandar in fiamme i libri, mentre i due interpreti principali (Fausto Russo Alesi e Elisabetta Pozzi, sorprendente in un doppio ruolo di vecchio scienziato e di giovane intellettuale) nell’occhio del ciclone si interrogano sul contemporaneo e sulla natura del teatro d’oggi.
È un gioco funambolico fra memoria e futuro, fra parola scritta e parola detta, un esercizio intellettuale irto di aculei, come spesso accade con Luca Ronconi. Lo sfondo scenografico (Tiziano Santi) è di una rigorosa, quasi irritante freddezza, ma inattesi zampilli di originalità creano un movimento dinamico costante capace di cogliere attraverso sorprese sceniche le infinite modulazioni delle risonanze interne che si vanno creando in un mondo progressivamente privato dei libri. Esplosioni di immagini gigantesche di tv, passaggi di robot grotteschi e inquietanti, flussi di violenza brutali: è una serie di suggestioni visive (e non soltanto) che lo spettacolo incastra e impone con efficacia.
Il messaggio della necessità del non abbandono della memoria è espresso evitando moralismi e toni messianici, com’è nella consuetudine ronconiana, anche se la passione di Elisabetta Pozzi porta forti coloriture emotive al racconto, lasciando erompere il messaggio assoluto: la necessità del mantenimento del patrimonio del sapere e la funzionane del teatro, specchio esatto di quello che succede nella vita e nella società. Fehreneith 451, spettacolo non sempre di immediata percezione, è un sincero atto d’amore verso la cultura. Per quanto dotato di una poderosa forza espressiva, non cerca mai di sollecitare emozioni, ma un pizzico di commozione lo diffonde quando alla fine dal pubblico si staccano e uomini e donne libro che, sopravvissuti alla tragedia, si sono incaricati di custodire il passato mantenendo il dialogo con i grandi della scrittura. Il suo circuito, partito dalle Fonderie Limone di Moncalieri ricomincerà in autunno a Milano e toccherà molti teatri italiani. Non si trascuri l’occasione offerta da questa importante coproduzione della Fondazione del Teatro Stabile di Torino, del Piccolo di Milano-Teatro d'Europa, del Teatro di Roma, del Teatro Biondo Stabile di Palermo; anche perché questa grande opera politica ha messo in scena attori eccellenti. A parte i due interpreti citati, ricordiamo un robusto Alessandro Benvenuti e una vivacissima Melania Giglio.


(7 agosto 2007)

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