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IL SACRESTANO

IL SACRESTANO

QUANDO I CARUSI ERANO CARNE DA MACELLO

Lunedi, 11/11/2013 - IL SACRESTANO



Erano gli anni cinquanta ed io facevo il chierichetto nella chiesa di San Giuseppe a Caltanissetta,

una chiesa di fine ottocento sorta in un quartiere dove abitavano tante famiglie di minatori impiegati

nelle miniere di zolfo sfruttate dai vari nobili che ne detenevano la proprietà, vessando con il loro

potere ogni e qualsiasi umano diritto con la compiacenza di una legge che chiudeva entrambi gli

occhi sulle loro malefatte.

Tra i compiti che avevo vi era anche quello di aiutare il sacrestano a suonare le campane, cosa che,

alla mia età, avevo 12 anni,mi entusiasmava tutto, pensavo che avevo il potere di trasmettere a tutte

le orecchie i suoni delle vecchie campane che scandivano il ritmo della giornata diffondendo nell’aria

il richiamo alla preghiera.

Un giorno mentre svolgevo tale compito, scendendo le scale ripide a chiocciola del campanile, la mia

attenzione fu attratta da una pietra sulla parete che era scollegata dalle altre e che sembrava chiudere

un buco, sollevai quella pietra che svelò un buco nel quale introdussi la mano per scoprire se nel buco

vi fosse qualcosa, la mia mano toccò un sacchetto di stoffa che tirai fuori dal buco, era pesante, lo aprii

e vidi che all’interno vi erano delle monete con un biglietto che diceva: “Ancora cinquanta lire e tu Rocco

sarai riscattato.Tuo padre che ti vuole bene. Giuseppe Palumbo .”

La calligrafia era malferm a e rivelava l’emozione di chi lo aveva scritto con un lapis copiativo.

Conservai il sacchetto ed a casa feci la conta delle monete il cui totale era esattamente di cento lire, ma

perché questo signor Giuseppe voleva raggiungere la cifra di centocinquanta lire per riscattare suo figlio

Rocco e da chi e da che cosa lo doveva riscattare ?

La curiosità mi spinse ad indagare ed andai all’anagrafe dove lavorava il padre di un mio amico per risalire

a questo signor Giuseppe Palumbo sacrestano.

Chiesi notizie anche al parroco sui vecchi sacrestani della chiesa e consultando i registri della parrocchia

si scoprì che dal 1870 al 1881 vi era stato sacrestano nella chiesa di San Giuseppe il signor Giuseppe Palumbo,sposato con Angela Palmeri e con 7 figli quattro maschi e tre femmine.

All’anagrafe scoprii i nomi dei figli, Rocco era nato nel 1869, gli altri dopo di lui, tutti erano analfabeti,

tranne il padre che sapeva scrivere.

Abitavano in via Spennato una via poco distante dalla parrocchia ed erano poveri.

Avevano venduto , come si usava allora, suo figlio Rocco ad un picconiere della miniera Gessolungo e suo

padre facendo il sacrestano, faceva la cresta sulle elemosine per riscattare il proprio figlio Rocco.

Ci stava quasi riuscendo mancavano solo cinquanta lire, ma il destino aveva deciso altrimenti.

Uno scoppio di grisou’ aveva causato nella miniera 65 vittime tra le quali vi era tra i carusi suo figlio

Rocco, poi sepolto nel cimitero dei carusi presso Caltanissetta.

Lui non resse il colpo e dopo due mesi dalla morte del figlio morì anche lui di crepacuore.

Le cento lire del sacchetto e quel biglietto sono la muta denuncia della crudeltà dell’uomo sull’uomo

che tutto travolge anche i sentimenti per il possesso del dio denaro.

Ho preso quel sacchetto e con il suo contenuto,aggiungendovi l’esito delle mie ricerche, l’ho sepolto nel terreno dove sono sepolti i carusi, quello è il posto dove deve stare.

Qualche altra mano nel futuro, magari lo troverà e farà conoscere alle generazioni future questa triste

e crudele storia.



Vittorio Banda

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