Simona D’urbano - Quando la scrittura è strumento per narrarsi e mettersi a nudo
Benassi Luca Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2008
“Il canzoniere è la storia (non avremmo nulla in contrario a dire ‘il romanzo’, e ad aggiungere, se si vuole, ‘psicologico’) di una vita, povera (relativamente) di avvenimenti esterni; ricca, a volte fino allo spasimo, di moti e di risonanze interne”. Così scriveva Umberto Saba, critico di se stesso, nel parlare del suo Canzoniere, mettendo in evidenza la contrapposizione tra una massa di eventi biografici minimi rispetto alla forza tellurica che essi scatenato nell’anima, nel territorio accidentato dello spirito. In ogni caso la prima definizione del canzoniere data da Saba è quella di “romanzo psicologico”, cioè di una ricognizione, tutta interna e profonda, declinata in una dimensione narrativa, di un vissuto amoroso sentito come portante del proprio essere. Questa scrittura è lo strumento migliore per narrarsi, per mettersi a nudo e raccontare quelle “risonanze interne” di cui parla il poeta triestino.
Il canzoniere, in questo suo ruolo di svelamento dell’essere, è una tentazione per ogni poeta. Attraverso di esso si inanellano le perle del canto dell’amore, il loro rotolare come extrasistoli di senso nei ventricoli del cuore, suscitando palpiti, sussulti, soprassalti. Questa tentazione del canto, tuttavia, sottende sempre il rischio di cadere in un lirismo affettato dell’io che si piega su se stesso in un dirsi autoreferenziale. Scrivere un canzoniere inoltre significa doversi confrontare con una tradizione che inizia dal Petrarca, ma che si declina in una scrittura femminile originale e sensuale nelle figure di Isabella Morra, Vittoria Colonna e Gaspara Stampa. Dunque, chi si accinge a comporre un canzoniere si trova di fronte all’erta difficile del confronto e all’inciampo della parola usata, della rima facile.
Simona D’Urbano sembra esserne consapevole, accettando la sfida con la sicurezza del cuore che batte, con la certezza di un sentimento di donna che travolge limiti, rischi, barriere, per forgiare una lingua capace di manifestarsi in tutta la sua potenza sulla pagina bianca. Il suo canzoniere, ancora inedito, apre vertigini di senso che si aprono di fronte ai fatti minimi del vissuto: un sussurro, una carezza, una bacio di addio, il volo di una rondine, lo sbocciare di un fiore; di fronte a questi lacerti di esistenza la poesia squarcia la nudità del quotidiano per affondare come una lama che ha il sapore del frutto appena tagliato. L’amore è parola stessa, soffio, bacio che deve essere pronunciato per avere la valenza rituale di un’evocazione, nome che si materializza sulle labbra dell’amato come sfida, sigillo, orizzonte di vita. Quella di Simona D’Urbano è una poesia che non dà scampo, non consente vie di fuga, ma investe la vita con la pienezza della parola, con lo stupore del fanciullo capace di farsi pianto e grido di gioia in un battito di palpebra. Eppure questa apparente naturalezza del gesto poetico nasconde una materia lavorata con perizia e attenzione; questi versi risplendono con una limpidezza fuori dal comune, riuscendo ad evitare il lirismo di maniera, il suono vuoto senza significato: la lingua si spezza in enjambements arditi che fratturano il verso sulle congiunzioni, sui relativi o le preposizioni; si tratta di una versificazione che porta il lettore a seguire il testo con il fiato mozzo del desiderio, correndo con lo sguardo tra le parole e i sintagmi, in cerca della verità dell’amore di una donna che si fa esperienza universale.
TESTI
In un attimo d’eternità
il silenzio mi riempie
mentre il rumore delle voci che
ho intorno
scema
in un sussurro soffuso.
(6 dicembre 2005)
Quel bacio
che mi hai dato sul cuore
era il suggello al
nostro addio?
O era
piuttosto
quel che il tuo cuore
sente e
più spesso
vorrebbe dire e
non pronuncia?
(25 marzo 2008)
Quando non sai
e non puoi immaginare,
lo stupore ti assale
e si lascia vivere,
bello,
come la serenità
che regna
dopo l’essere stati
semplicemente accanto,
nudi
(22 aprile 2008)
Qualche rondine
sfiorando il corpo
delle nuvole,
si disperde nella Luce
dell’orizzonte,
come cenere roteata dal
vento e decomposta
davanti agli occhi
miei che
si erano incantatati su
Te che
non esistevi, e
stavano ancora lì
ad attenderti,
a sperare
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