Famiglie contro - se lo Stato e la Chiesa si alleano contro le donne...
Giancarla Codrignani Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2007
Le agenzie internazionali hanno anche recentemente quantificato i numeri milionari della quotidiana violenza contro le donne e i media si sono soffermati un giorno o due sui dati relativi agli stupri e alle botte in famiglia. Intanto on-line documenti, articoli, messaggi femminili circolano
da sempre in continuazione.
E' apparsa una pubblicità allucinante di Dolce e Gabbana che rappresenta uno stupro simbolico, violenza per qualunque donna la guardi che merita il boicottaggio del marchio esecrabile. A Milano la tragedia dell'aborto ha assunto i toni del macabro per la decisione di seppellire i feti e per la
relativa pubblicazione di foto penose, arrivate dalla Polonia, con cortei di soli uomini che portano tra le mani piccole bare in processione.
Non si tratta, dunque, soltanto di violentare e picchiare: è necessario non trascurare tutte le violenze "di genere" che le donne subiscono.
Scriviamo dopo una crisi grave di governo, che ovviamente penalizza tutti e tutte, ma che denuncia con forte stridore la nostra insignificanza politica. I "dodici punti" di Prodi passano sopra la nostra testa, come se il programma dell'Ulivo non fosse stato appoggiato dalle donne e le primarie avessero ricevuto voti solo da uomini. Il Vaticano ha ottenuto la caduta, quanto meno momentanea, dall'agenda dei Dico, in cui erano presenti diritti formali e sostanziali che riguardano la vita soprattutto delle donne. Infatti, il costume è connivente con le libertà maschili e un marito può crearsi una seconda famiglia perfino con l'indulgente complicità di una consorte a cui è conforto morale ma soprattutto materiale lo status di "legittima". Se l'uomo è un cattolico, può essere assolto da un confessionale in cui un altro maschio, in totale omertà di genere, ha più indulgenza per lui che per la donna che fosse ugualmente peccatrice. Se vive con la sua compagna in libera convivenza,
non ha i problemi che toccano alla donna in materia di tutela dei figli, di diritto alla casa e alle norme che beneficiano la famiglia. Solo se è omosessuale è senza protezione di legge, pur essendo anche lui/lei cittadino/a di pieno diritto.
La donna giuridicamente vale in quanto essere umano e le norme che riguardano la maternità o la parità o la violenza le ha conseguite dopo lunghe lotte e rappresentano più erogazioni di benefici che diritti acquisiti. La sesta sezione penale della Cassazione ha assolto tre mesi fa l'uomo denunciato dalla moglie per maltrattamenti, sostenendo che, poiché lo ha fatto per motivi religiosi, non è reato. Nel resto d'Europa non va meglio e in Germania Angela Merkel, per essersi impegnata a portare i nidi da 9.000 a 30.000, si è trovata contro la Chiesa che l'accusa di indurre le donne a privilegiare il lavoro e a diventare macchine riproduttrici come ai tempi della DDR comunista. Del Sud del mondo non parliamo, perché le situazioni sono ancora più gravi.
D'altra parte la cultura di cui siamo portatrici non si identifica nel potere come dominio, perché già questo è violenza. Anzi, vorremmo che, per tutti, altro diventasse il senso della convivenza sociale.
Perché è proprio la convivenza sociale che sta andando male, a partire dal giudizio sulle relazioni umane. Al primo posto dobbiamo denunciare il limite e il conseguente disagio della famiglia o, per dir meglio, delle famiglie. La storia di questo istituto non è la storia di una forma statica. E, forse, con le violenze c'entra davvero molto.
Come donne, le antropologhe ci indirizzano a pensare a un'origine in cui uomini e donne si congiungevano senza avere ragione del rapporto che legava il sesso alla riproduzione: l'uomo adorava la donna come divinità perché dal suo corpo nasceva la vita. Quando si comprese come andavano le cose, fu certamente l'uomo che, dicendo "questa donna è mia, questi figli sono
miei", inventò la famiglia. Da quel momento gli umani fecero cultura e lasciarono ai conigli il coito "secondo natura". Si istituzionalizzò il matrimonio come contratto, che prescindeva dall'amore, dando per scontato che, se non c'era, sarebbe venuto con l'abitudine. La donna (matrimonium)
era contrattualmente la parte debole in quel regime patriarcale (patrimonium) che era stato fissato dagli dei (Zeus è padre e re degli dèi e degli uomini). Il cristianesimo fece del matrimonio un sacramento nel XIII secolo, lasciando immodificate le finalità tradizionali: la procreazione e il remedium concupiscentiae. Squallido, ma l'amore non era un requisito essenziale. A causa del tabù del corpo, un tempo solo profano e mai santo nonostante fosse creato da Dio, non ci fu scomunica per lo jus primae noctis, anche perché la prima notte era sempre, di fatto, uno stupro. I giovani potevano aspirare all'amore, ma subivano il costume che non dava loro la possibilità di scegliersi un/una compagno/a: i maschi potevano anche accettare il sacrificio di una donna non ideale perché
godevano di libertà e libertinaggio, mentre le donne erano "custodi della famiglia "e il loro onore era condizionato dalla rispettabilità comportamentale. I ruoli viaggiarono nella storia e ci furono epoche in cui le donne pensarono di potersi emancipare: lo fecero le romane in età imperiale (l'epoca della corruzione), le illuministe, le rivoluzionarie.
Non spettava alla giurisprudenza cambiare gli statuti patriarcali: la famiglia era un' organizzazione privata in cui lo stato non poteva mettere il naso e la legge interveniva per i crimini comuni comprovati e per le questioni patrimoniali. Il modello formale era neutro, cioè maschile; e
tale è rimasto. La Chiesa e lo Stato si rifanno a una famiglia ideale che non corrisponde alla realtà umana, sia pure nelle condizioni migliori. La prima addossa alle donne la colpa dell'aborto, come se l'uomo non c'entrasse, e non affida all'uomo il compito della cura paritaria verso la famiglia; lo Stato fa sconti fiscali alle famiglie invece di predisporre servizi. Alle donne si chiede ancora o di essere angeli del focolare o di diventare come gli uomini.
Essere ricattate dal modello unico è un'altra violenza. Lo è l'omologazione; anche se con il nostro, non sempre deliberato, consenso. L'esercizio della professione militare, la competitività professionale che tante di noi esercitano con soddisfazione forse maggiore di quella maschile, l'ingente presenza nel mestiere di giudice senza che cambi il significato della norma, sono violenze sottili, tutt'altro che trascurabili.
Si parla dell'autocritica di maschi gentiluomini (lo ha fatto anche Lea Melandri); ma la testimonianza di pochi resta morale e nessuno di loro interviene sul piano politico. Ci sono importanti elezioni in vista nel mondo; da noi si parla di un nuovo, necessario partito democratico. Ci sono mozioni congressuali di varie formazioni di sinistra e centrali: qualcuna ha visto al loro interno la pari considerazione? Speriamo, senza illusioni, che ce la faccia Ségolène Royale.
(03 aprile 2007)
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