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IL "PURO" E L' "IMPURA"

Tabù ancestrali - Pregiudizi sessuofobici e misogini hanno prodotto discriminazioni e violenze sulle donne nel nome di Dio. Ecco perché il clero dovrebbe andare in analisi

Giancarla Codrignani Lunedi, 16/04/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2012

C'è un fatto di cronaca, non ripreso dall'informazione (che pure gode il gossip delle cose efferate) che non riesco a smemorizzare.

Un paio di mesi fa, a Bologna, un islamico osservante ha sentito "impuro" il proprio rapporto con una donna cristiano-ortodossa e ha tentato di decapitarla. Spero che la poverina l'abbia scampata; ma si è trattato di qualcosa di più di un femminicidio "comune". E non è stato neppure un caso di fondamentalismo religioso maniacale. Contestualmente, a Palmi, iniziava un processo di stupro che testimonia il persistere, quanto meno italico, della maledizione di Eva: a San Martino di Taurianova una bambina di dodici anni (che oggi ha 24 anni e vive sotto protezione perché alcuni dei persecutori che ha denunciato sono mafiosi) è stata considerata per anni da tutto il paese la colpevole degli stupri di gruppo, delle violenze e dei ricatti subiti e lo stesso parroco a cui aveva tentato di confidarsi giudicava peccatrice una dodicenne bella e violata che solo la penitenza poteva redimere.

Sembra incredibile, ma nella santità delle religioni albergano tabù ancestrali che gli studi antropologici e le secolarizzazioni non sono riusciti a eliminare. Sono tabù gravissimi, perché responsabili dei pregiudizi sessuofobici e misogini che, sacralizzati, hanno prodotto, nel nome di Dio, discriminazioni e violenze sottovalutate perché vittima sacrificale è la donna.

Nel terzo millennio le religioni potrebbero ancora avere una funzione storica e fornire un aiuto agli umani; ma il clero dovrebbe andare in analisi e domandarsi quanto la sessuofobia e la misoginia siano bestemmie che insidiano nel profondo la loro possibilità di futuro. Il concetto di "purezza" - che ha represso, nell'ipocrisia mercantile e proprietaria dei valori familiari, milioni di ragazze perbene - non è nato certo dalla scelta delle donne. Alla Lucy delle origini, mestruata e responsabile della riproduzione, non sarebbe mai venuto in mente di sentirsi sporca o colpevole. Forse percepiva già come colpa, certo non sua, la violenza che pregiudica la qualità delle loro prestazioni. Eppure si continua a credere che la mestruata faccia ingiallire le foglie e inacidire il latte; in Africa, in "quei giorni", è confinata in capanne speciali per non contaminare le case; a Roma Paolo la voleva velata e zittita, mentre i Pontefici cattolici, forse senza sapere perché, le hanno vietato di consacrare. Siamo ancora qui, a fare conti sul puro e l'impuro e a ripetere il capro espiatorio nel corpo di qualche altro Isacco per volere di qualche Abramo che crede di interpretare dio, di qualche altra Ifigenia fiduciosa nel padre padrone della sua morte.

Noi donne non siamo migliori, ma le società maschili albergano residui di paure che neppure Darwin ha fatto sparire. Se si nega l'educazione sessuale nelle scuole non si comprende la necessità dare valore all'affettività nelle relazioni fra i generi decostruendo il biologismo delle interpretazioni catechistiche; l'Islam fa imparare a memoria fin da piccoli le sure del Corano, senza rendersi conto che i tabù introiettati producono effetti blasfemi se un uomo si sente un dio punitore davanti a donne-Isacco; i rabbini dovrebbero fare i conti con Levy Strauss e smettere di chiedere autobus separati per genere e di insultare le bambine non velate; in Cina e in India non si smette di perpetuare l'insignificanza femminile trasferendo gli infanticidi delle neonate alla "scelta" ecografica, mortale solo per le bimbe. Scelte di morte di "religioni" che disonorano dio. Per ragioni di genere.

Rashida Manjoo, relatrice speciale Onu per la violenza di genere ha rilevato che in Italia le donne uccise per questa ragione sono state 101 nel 2006 e 127 nel 2010: un fenomeno in continua crescita che rende il femminicidio tra le prime cause di morte. Noorjahan Akbar pubblicando un documentario sulle molestie sessuali in Afganistan dice che "alle donne si chiede di stare zitte e di esercitare la pazienza quando subiscono violenza. La violenza è una virtù sovrastimata". Davvero l'irrilevanza del corpo femminile è ancora grande: noi occidentali proviamo perfino stupore perché pensiamo di vivere in sistemi di diritto democratico e tentiamo di recuperare lo scarto con adeguamenti riformistici delle leggi. Ma il costume resta pieno di metastasi e paghiamo, come tutte, volenti o nolenti, il prezzo della pazienza. Centrali restano, dunque, la cultura e l'educazione, per sradicare tabù e pregiudizi: la violenza del sesso usato come un'arma, certo; il diritto proprietario che ha fatto del padre, del marito, del fratello i tutori del corpo della figlia, della moglie, della sorella; ma anche il disvalore di principi che impediscono, più che l'uguaglianza fra gli esseri umani, la loro libera relazione. Soprattutto il corpo come disvalore: quello della donna in primo luogo, che dovrebbe essere amato almeno dentro quella cosa nobile che è la famiglia; ma anche quella del nero, del giallo, o dell'omosessuale e della lesbica. Anche quello del nemico, il cui sangue versato è glorioso e rappresenta il martirio più di quello delle donne che dà la vita: le religioni non ci dicono che il corpo non è mai in sé impuro, ma va riconosciuto nell'altra/o come nel nostro.









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