Africa - Da Nairobi a Parma, con AMREF venticinque ragazze kenyote che non si arrendono
Marchesini Marcello Giovedi, 17/02/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2011
Dall'Italia della crisi economica e morale, dove il corpo delle donne è troppo spesso ridotto a merce di scambio, mezzo per la concessione di favori che dovrebbero essere invece opportunità e diritti; delle intolleranze verso ciò che è altro, diverso; dove la cultura è ritenuta mero intrattenimento, svago, inutile orpello in tempi difficili; da qui lo spicchio d'Africa raccontata dal progetto Malkia ("Regine" in lingua swahili) - creato da AMREF in collaborazione con Reggio Children e Teatro delle briciole di Parma - pare tre volte lontana: perché ci racconta dei visi, delle speranze e della forza di venticinque ragazze kenyote che non si arrendono ad un destino di miseria e; perché è proprio dall'incontro/confronto di due alterità - la cultura delle ragazze e quella della regista Letizia Quintavalla - che nasce lo spettacolo Il cerchio di gesso, adattamento del testo di Bertold Brecht del quale loro stesse saranno interpreti (che ha avuto residenza a Parma nel 2009 e l'avrà a Milano, al Teatro Leonardo, nel 2011); infine perché è proprio a partire dalla cultura, nello specifico il teatro, che viene tracciato l'itinerario di un possibile riscatto identitario e sociale. È dal laboratorio di teatro-formazione al femminile avviato nel 2005 per contribuire all'emancipazione delle ragazze di Dagoretti, uno degli slums di Nairobi, che sono nati lo spettacolo e il libro di Letizia Quintavalla (Malika. Regine, Edizioni Reggio Children, pp. 167 e documentario DVD). Più ci si addentra tra le pagine più crollano molti stereotipi sul continente africano. Caroline, Grace, Saolme e le altre ragazze vivono sì una condizione di terribile disagio amplificata dal fatto di essere donne, ma non sono affatto rassegnate come risulterebbe facile immaginare. Quel che più sorprende é la fierezza, la voglia di farcela, l’orgoglio di sé: non chiedono pietà né tenerezza. Se mai, destano ammirazione. Lo spettacolo, che vede al centro il conflitto per il possesso di un figlio tra la Regina, madre biologica, e Grusha, madre perché si prende cura della creatura indifesa, è riflessione sul legame di responsabilità che l'esistenza dell'Altro ci impone. Tema molto sentito da ragazze che sono spesso giovanissime madri e spose, impegnate sin dalla nascita nel confronto con figure maschili o totalmente assenti - impressiona il numero di racconti di padri morti nei primi anni di vita, o mai conosciuti - o negative come mariti alcolisti, che maltrattano fisicamente e psicologicamente, soldati che ne violano i corpi, giudici che, non esercitando giustizia, altro non fanno che legittimare una biografia di abusi. Adolescenti/donne/madri/mogli alle quali non viene riconosciuto un ruolo sociale e dunque alcuna identità che non sia quella di vittime. Ed è proprio da qui, dalla riappropriazione - di una biografia, di un passato, di un'identità, della parola stessa - che inizia il lento, faticoso percorso di affermazione di sé e delle proprie esigenze che le porterà, lungo i cinque anni del progetto, a poter scorgere un futuro alternativo, vissuto come speranza e progettualità piuttosto che minaccia. Questo libro che è molti libri - diario di una ricchissima esperienza umana, breviario per un teatro civile, romanzo di formazione, manuale di pedagogia - e che si rivolge quindi a molti lettori diversi, lascia attoniti, stupiti che queste ragazze possano insegnare qualcosa a e su di noi.
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