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Il profitto ne approfitta

Il profitto ne approfitta

Lavoro / 1 - Inventare soluzioni anti-crisi alternative. E, intanto, ridiscutere le teorie economiche

Ribet Elena Lunedi, 08/11/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2010

Possiamo ancora parlare di differenze retributive, di precariato, di conciliazione tra vita e lavoro, di condivisione del servizio di cura non retribuito, dal momento che in Italia sono senza lavoro una donna su due e un giovane su tre? Ha senso parlare di leggi per la tutela delle lavoratrici madri, di congedi parentali obbligatori per i padri, di sviluppo e produzione? O forse, in questa stagione dilatata della crisi, in questa deriva senza orizzonti né prospettive, è il caso di ricominciare a parlare dei massimi sistemi? Se è vero che le analisi del passato non funzionano più, perché la realtà è cambiata, è anche vero che rivedere oggi i limiti del capitalismo e mettere in discussione la logica del profitto, senza passare per vetero-qualche-cosa, è impresa difficile. Inoltre, le teorie economiche ‘alternative’ non sembrano meritare una dignità pari a quella attribuita ai consolidati sistemi del profitto. I ‘laboratori’ della cooperazione, del commercio equo e solidale, dell’ecofemminismo, sono percepiti come divertissement per privilegiati o per intellettuali. Il dibattito in patria va per tentativi. Per fare un esempio, il documento sul lavoro prodotto dalla Libreria delle Donne di Milano, pur onesto nelle sue premesse, è definito da Rossana Rossanda, sul manifesto, un “bel quadro, ma non convincente”.

Dov’è che i conti non tornano? È in atto un braccio di ferro tra capitale e lavoro. Viviamo un generale impoverimento, fra contrazione dei consumi e riduzione dell’occupazione, a causa principalmente dei processi di riorganizzazione dei fattori produttivi e strutturali. Un caso esemplare è stato quello Alitalia: dalla ristrutturazione, oltre alla riduzione del personale, l’azienda ci ha guadagnato di riscrivere completamente le regole di utilizzo del fattore lavoro, con un nuovo contratto collettivo che consente maggiore flessibilità e minori vincoli, cioè minori diritti per i lavoratori e le lavoratrici. La crisi porta anche a questo, cioè alla diminuzione della capacità contrattuale. E alla corsa dei salari verso il basso, sotto lo scacco di un social dumping spietato e globale. Ma mentre in Cina la classe operaia sta iniziando le sue rivendicazioni, in Italia si torna indietro. La capacità contrattuale delle donne, in particolare, diminuisce drasticamente, sia per le discriminazioni subite in termini retributivi, sia per le difficoltà di accesso e di carriera, sia perché le donne sono le prime a essere licenziate. Non è solo una questione numerica, ma anche culturale. In tempi di crisi il divario si sente più forte e diffusamente si pensa che le donne possano anche non lavorare, abituate come sono ad arrangiarsi. Nonostante sia provata l’utilità economico-finanziaria della presenza di donne nei Consigli d’Amministrazione, come nel caso della Norvegia che ne ha imposto la presenza al 40% per legge già dal 2005, qui non si riesce a promuovere il lavoro femminile nemmeno ai bassi livelli. L’Italia infatti, oltre ad aver mancato l’obiettivo di Lisbona che imponeva il raggiungimento di un tasso di occupazione femminile del 60% entro il 2010 (siamo invece al 46,1%, con punte verso il basso al sud intorno al 30%), risulta essere al 74° posto per quanto riguarda le disparità di genere (terzultima tra i paesi europei e ampiamente superata da molti paesi cosiddetti in “via di sviluppo” - fonte: Rapporto 2010 / World Economic Forum).

È vero, abbiamo 480mila posti di lavoro in meno dal 2008; “persi”, dice Confindustria. Perché quei posti di lavoro si intendono persi? Chiusure di aziende, di filiali, di linee produttive, spostamenti in aree più convenienti. Gli squilibri mondiali ci obbligano a trovare soluzioni ‘creative’. In Italia si inventano mestieri nuovi, si coltiva un orto, si propongono contratti di solidarietà, cassa integrazione a rotazione, e per arrivare alla fine del mese si chiede aiuto a mamma e papà (se ci sono), si risparmia sulle spese, si dividono gli affitti andando a vivere in gruppo, come fanno le ragazze e i ragazzi che studiano. Solo che adesso ci vanno anche gli over 30, magari con figli e/o figlie.

Tornando ai massimi sistemi, quello che il capitalismo non ha saputo fare è di autoregolarsi. Occorre dare, e in fretta, significati diversi alla parola ‘sviluppo’ e alla parola ‘progresso’. Il ‘consumismo’, nel senso della ‘consunzione’, consuma risorse umane e naturali. Le uccide, con le armi della speculazione e del profitto. Non è questione di bravura, né di tecnica. Parafrasando Tonino Bucci, la meritocrazia è individualistica ed egoista, ed è quindi una trappola in cui il successo è determinato dalla sconfitta altrui. Mors tua, vita mea. In Italia, dove i meccanismi del privilegio e dei favoritismi sono radicati, immaginare una sana competizione sulla base delle reali competenze è un miraggio. Anche in questo caso, a perderci è la società nel suo insieme. L’innovazione vera è un’altra: cooperare, consumare responsabilmente e non sprecare. Dove ‘non sprecare’ si deve intendere non solo come impegno personale al risparmio di capitali ed energie, ma anche al riconoscimento del valore umano. Laddove le donne non avessero spazio e possibilità di parola e di azione, quel valore sarà ‘umano’ solo a metà.

 





CONFINDUSTRIA: 480MILA POSTI DI LAVORO PERSI DAL 2008



ISTAT: 1 DONNA SU 2 NON HA LAVORO (dati 2010)



49,2 TASSO DI INATTIVITÀ DELLE DONNE TRA 15 E 64 ANNI

67,8 TASSO DI OCCUPAZIONE MASCHILE

46,1 TASSO DI OCCUPAZIONE FEMMINILE



FIOM-CGIL: L'OCCUPAZIONE FEMMINILE NELL'INDUSTRIA È DIMINUITA DI OLTRE IL 12%. QUELLA MASCHILE DEL 7% (dati apr.2008/giu.2010)



ISFOL: 10 PUNTI PERCENTUALI, IL GENDER PAY GAP NEL NOSTRO PAESE



 





CASSA INTEGRAZIONE

Totale ore (dati INPS genn./sett.)



173.264.843 nel 2005

146.047.546 nel 2008

614.876.952 nel 2009

925.673.480 nel 2010



 





UNO VIRGOLA DUE



Il documentario di Silvia Ferreri si intitola con un numero. Quello della media di figli delle italiane. Ed è proprio dietro a questo numero che si nascondono mille sfaccettature culturali, economiche e sociali che parlano di noi come del paese con la più bassa natalità al mondo. Perché? Silvia Ferreri fa parlare le donne vere, scoprendo che “l’Italia non è un paese pronto a sostituire la figura della madre con quella della madre lavoratrice”. La narrazione dà un volto a quei dati, annoda lo stomaco dalla prima all’ultima scena, in un crescendo di sentimenti: stupore, indignazione, rabbia, amore, rassegnazione, speranza. Si intrecciano voci di donne lavoratrici che hanno dovuto e saputo reinventarsi la vita e i loro ruoli, di fronte a un mondo del lavoro disumano e disumanizzante. Il filo rosso che cuce insieme le scene è quello delle ‘generazioni’, attraverso la cosa ‘più naturale’ del mondo, una nascita. Nonostante tutto, inesorabilmente, le donne vanno avanti. Più che un inno alla vita, è un inno alla resistenza, un monito per tutti, uomini e donne, perché capire vuol dire anche un po’ cambiare.

 http://www.unovirgoladue.com/UVD_trailer.htm                        (E.R.)



 





SÌ, LAVORO, MA…



2milioni 633mila persone nel corso della loro vita lavorativa hanno sofferto vessazioni, demansionamento o privazione dei compiti



9,9% le donne dai 15 ai 70 anni che hanno subito disagio lavorativo, a fronte dell’8,3% dei maschi con le stesse caratteristiche



Le lavoratrici subiscono più di frequente scenate, critiche senza motivo, vengono più spesso umiliate, non si rivolge loro la parola e ricevono più offerte o offese di tipo sessuale.



Tra i “superiori”, i più giovani (età 25-44) tendono a colpire più spesso le donne rispetto a quanto facciano i più anziani, mentre questi ultimi vittimizzano soprattutto gli uomini.



Gli uomini tendono a perseguitare o a privare di compiti altri uomini; analogamente, le donne esercitano questi comportamenti più spesso nei confronti di altre donne.



(Fonte: Istat, “Il disagio nelle relazioni lavorative” 2010)                                                          (Alessandra Pennello)







(8 novembre 2010)

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