Il processo di pace tra Israele e Palestina è a un bivio
Dopo lo stop ai negoziati il processo di pace tra Israele e Palestina è a un bivio. A pochi giorni dalla commemorazione della “Nakba” palestinese, la visita del Papa in Terrasanta potrebbe rimettere in moto la macchina della diplomazia.
Lunedi, 26/05/2014 - Approfondimenti con videointerviste a Rabii Al Hantouli, Primo consigliere dello Stato di Palestina in Italia e a Marina Calvino, Segretaria Generale UNRWA Italia, Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi.
C’è voluto il discorso di Papa Francesco da Gerusalemme per riportare l’attenzione sul conflitto tra Israele e Palestina e sul processo di pace che dal 29 aprile scorso ha subito l’ennesima battuta d’arresto. Proprio durante il mese di maggio, data storica per la resistenza araba. Il 15 maggio si è commemorato il 66° anniversario della “Nakba”, trasformatosi quest’anno in un inedito rito collettivo, con oltre 30 iniziative in 21 città italiane. Proiezioni di film. Conferenze. Mostre fotografiche e cortei. A cui si è aggiunto il lutto per la morte di due giovani palestinesi uccisi dall’esercito israeliano vicino a Ramallah. Un enorme unico coro per chiedere la Libertà per la Palestina e per non dimenticare la “Catastrofe”, in arabo “Nakba”, anniversario della guerra neo-coloniale ingaggiata nel 1948 da Israele per difendere la creazione unilaterale del proprio Stato.
Un’aggressione che ha dato inizio alla segregazione di un popolo. Anniversario che il Governo di Israele vieta. Furono 500 i villaggi evacuati. Cancellati dalle carte geografiche. Nomi ebraici al posto di quelli arabi della Palestina storica. 750.000 i cittadini deportati è l’inizio della pulizia etnica. Dei check point e dello stato di polizia che bloccherà l’evoluzione democratica nell’intera area del Medio Oriente. Oggi sono 5 milioni i rifugiati palestinesi e verso di loro è andata la preghiera del Pontefice. Rifugiati in terra palestinese e nei paesi confinanti. Profughi da generazioni che non smettono di sperare. Un intero popolo, senza Stato, che chiede il diritto al ritorno, il rispetto delle risoluzioni dell’Onu e dei trattati internazionali. Richiesta legittima e non negoziabile che continua a mettere in stand by il processo di pace. Passi indietro e accelerazioni inaspettate. Come la recente riconciliazione tra Al Fatah e Hamas osteggiata da Israele che con Hamas – dichiarato terrorista - continua a non volere trattare.
Tra le ragioni dell’impasse la mancata liberazione di prigionieri politici da parte di Israele. Una richiesta portata sul tavolo dei negoziati su iniziativa del Segretario di Stato americano John Kerry e dello stesso Obama, a cui però il Premier Netanyahou ha opposto un secco rifiuto sabotando ancora una volta il processo di pace. A complicare ancor più le cose, la politica di apartheid e la qualifica di stato ebraico invocata dagli ultra nazionalisti.
Il fondamentalismo etnico religioso di Israele insiste sul primato spirituale del popolo ebraico al punto che un progetto di Costituzione recante la dicitura “Stato ebraico” potrebbe addirittura essere depositato nei prossimi giorni in Parlamento. Una strada senza uscita che impedirebbe definitivamente il riconoscimento di Israele da parte palestinese. D’altro canto l’ANP di Abu Mazen ha ancora un’arma politica da far valere. Si tratta di dar seguito alle procedure ONU iniziate nel 2011 per il riconoscimento dello Stato Palestinese. Un vero e proprio asso nella manica.
Le domande di adesione a una quindicina di convenzioni delle Nazioni Unite sono in corso e le prime richieste formali sono già state registrate. I Palestinesi potrebbero così ottenere il loro Stato, entro i confini del 1967, con l’applicazione del diritto e dell’azione internazionale.
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