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Il primo passo per una nuova classe dirigente

Il primo passo per una nuova classe dirigente

Editoriale - Elites capaci di visioni avanzate oppure aristocrazie asserragliate nelle stanze dei poteri? Un'ipotesi operativa per le classi dirigenti...

Bartolini Tiziana Domenica, 01/09/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2013

Elites capaci di visioni avanzate e in grado di comporre sintesi alte o aristocrazie asserragliate nelle stanze che custodiscono vetuste certezze. I pareri autorevoli e consapevoli di donne ai vertici - del lavoro, della Pubblica Amministrazione, della cultura e della politica - che abbiamo raccolto in questo numero non lasciamo margini al dubbio: la nostra classe dirigente appartiene alla seconda categoria. Le valutazioni sono nette e i giudizi, talvolta, impietosi: chi avrebbe l’onere, il dovere, il gusto di dirigere non ne ha (più) la capacità. Infatti il nostro è un Paese ormai gravemente arretrato e non attrezzato ad accogliere, anzi a comprendere, la realtà e le dinamiche in atto. Non sa farsene partecipe, le rifiuta o le nega. Non riusciamo a stare al passo perché non comprendiamo bene e fino in fondo questo nostro tempo, e non siamo organizzati per decodificare le mappe, per leggere le coordinate, per individuare la rotta da prendere. Così la locomotiva continua una folle corsa fuori controllo, priva di un macchinista e di una meta. Nulla a che vedere, naturalmente, con le tante ma singole eccellenze grazie alle quali procediamo, seppur a tentoni, nella selva della modernità. Il problema è il sistema-paese, cioè l’incapacità di passare dall’intuizione brillante all’organizzazione su scala territoriale o strutturale della complessità. Il problema, quindi, è l’incapacità dei gruppi dirigenti di fare il loro lavoro: dirigere processi, sperimentare, stratificare esperienze, organizzare articolazioni. Dalla denuncia alla soluzione, il passo non è breve né automatico, anche perché lo stallo dura da troppo tempo se consideriamo che siamo al sesto anno di recessione e che gli aspetti produttivi ed economici, gravissimi, sono forse meno preoccupanti delle difficoltà complessive che vive la nostra comunità nazionale e il suo composito insieme. Il segno meno del Pil è solo una piccola spia di un gigantesco malessere prima di tutto umano, sociale e psicologico. Senza sogni e senza progetti si muore anche se si ha la pancia piena. È urgente riprendere il filo, smettere di rincorrere slogan, darsi obiettivi concreti a partire dalla delimitazione del problema: l’inadeguatezza della nostra classe dirigente nel pubblico come nel privato, nella politica come nell’educazione. La questione, sia chiaro, non nasce con la crisi ma viene da lontano; e già capire questo sarebbe un notevole passo avanti. Secondo i dati Eurostat (indagine EUSILC /European Statistics on Income and Living Condition) la media quantitativa della nostra classe dirigente è allineata a quella degli altri Paesi europei. Le differenze significative le troviamo invece nell’età: la nostra è mediamente più anziana rispetto all’età media del resto della popolazione, mentre negli altri Paesi è, al contrario, più giovane di almeno tre anni. Molto spesso il suo livello di istruzione è più basso. Altro nodo decisivo è il genere: in Italia solo il 24% di donne è nelle classi dirigenti contro il 33% in Francia e il 36% in Gran Bretagna. La miscela prodotta dall’anzianità come titolo preferenziale e dalla formazione e dal genere come disvalori ci inonda di fumi velenosi. E infatti stiamo morendo, stiamo togliendo aria ai progetti e vigore alle potenzialità. Le donne e i giovani continuano ad essere i grandi assenti da una scena che, al contrario, dovrebbe vederli assoluti protagonisti se non altro per cambiare voci, ruoli e parti in commedia. Senza contare le modifiche che il solo cambiare punto di osservazione comporterebbe. Facile sentenziare, più difficoltoso capire da dove partire. Ma per favore: non apriamo altri Tavoli né invochiamo Cabine di Regia, non inventiamo nuovi Think Tank, non affidiamoci all’ennesima Fondazione. In questo Paese abbiamo troppo di tutto, la ridondanza inconcludente è la nostra specialità.

E se per una volta, in silenzio, qualcuno cominciasse a fare un passo indietro. Oppure, e andrebbe bene ugualmente, se facesse il primo passo. Chissà….







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