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 Il prestinaio, il racconto di Matilde Tortora

Il prestinaio, il racconto di Matilde Tortora

... che cosa se non un avere a cuore gli altri aveva fatto scrivere tutti quei libri ...

Giovedi, 07/04/2022 -

Il prestinaio, il racconto di Matilde Tortora  

Oltre la carta fiorata detta di Firenze, i libri avevano per sovracoperta anche una sottile carta oleata che in certe ore del giorno, a prenderli in mano, mandavano bagliori come ci fossero in quella carta pagliuzze d’oro, preludi a ulteriori bagliori, introibo ai tanti altri possenti bagliori che, a leggere il libro, sarebbero apparsi alla mente del lettore e in particolare di chi da anni possedeva quei tanti libri così accuratamente avvolti, in quel modo custoditi.

Ogni volta che Onorina ne estraeva uno dalla ordinata, serrata fila in cui i libri dimoravano da mattina a sera da anni, alcuni anche da centinaia di anni, era certa che sulle dita gliene fosse rimasto un pulviscolo come di farina appena macinata e le compariva alla mente il prestinaio che conosceva da sempre, era quello il suo irrinunciabile modo di cominciare a incontrare i righi scritti del libro che quella mattina si sarebbe apprestata a leggere.

A Onorina piacevano in particolar modo i libri in cui i personaggi, anche quelli che erano più piccoli di statura, avevano lo scudo fosse pure solo di carta pestata e la consapevolezza di avere agito al loro meglio e sapevano raccontarsi a testa alta, alcuni fino all’impazzimento o al costante ondeggiare di mannaie sul loro capo di cui sapevano però schivare i colpi, avendo poi l’agio di sedersi in un parco, di entrare in un caffè, di ordinare un panino dolce, di addentarlo e di scambiare qualche parola con l’amico, entrato anche lui in quel caffè, quella mattina di una lunga ulisside giornata.

Onorina sapeva e se lo ridiceva ogni volta: che cosa se non un avere a cuore gli altri aveva fatto scrivere tutti quei libri, aveva tenuto gli scrittori giorni, mesi, anni inchinati su tavoli, scrivanie, pc!

E notti a impastare, dare forma, incidere col coltello il segno in superficie affinché la lievitazione facesse il suo corso e il prestinaio poteva perfino sedersi un attimo prima di infornare, dare un ultimo sguardo e dirsi soddisfatto del suo notturno lavoro.

Se è pur vero che si scrivono romanzi in fin dei conti per porre a sé stessi degli interrogativi, a volte veri enigmi, occorre poi che ci si ingegni a risolverli oltre che porseli ogni volta sempre più difficili e così il prestinaio s’ingegnava in quelle notti a trovare forme nuove ai suoi pani, impastando diverse farine del suo sacco, dicendo perfino all’aurora di aspettare a sorgere finché non avesse terminato il suo lavoro.

Era allora che i cancelli tutti impolverati avevano infine l’ardire di aprirsi, ben sapendo che mani e menti come quelli di Onorina stavano aspettando.

Che una doppia carta era loro già destinata.

E che pagliuzze d’oro erano in agguato, come nei velluti Da Vinci che Leonardo inventò: le allucciolature, così che nei tessuti di seta o raso venivano intrecciate pagliuzze d’oro o d’argento che ad ogni movimento di chi indossava quelle stoffe preziose, sembravano accendersi o spegnersi.

Come si avessero indosso delle lucciole, come pure ci si potesse accorgere a guardarle, di quanta natura, paesaggio, notti e giorni di impasti e fuochi noi siamo fatti e di conseguenza ogni libro, ogni esistenza umana è fatta e della sua parentela col prestinaio e col suo ineludibile lavoro.

 

Dedicato a Leonardo Aidan nel giorno del suo primo Compleanno, all’essere stata alcuni giorni in Lombardia a festeggiarlo e all’avere colà appreso una parola che non conoscevo, il prestinaio!


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