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Il potere più escludente

Il potere più escludente

Monoteismo patriarcale - “Naturale” che i forti siano superiori ai deboli in senso fisico e metafisico, e che fortissimi tra tutti siano gli “uomini del sacro”

Giancarla Codrignani Mercoledi, 01/07/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2009

A fine maggio ho partecipato a Trento ad un convegno organizzato per "rileggere il Concilio di Trento" con il contributo "di genere" del Coordinamento delle teologhe italiane. Il titolo Si quis dixerit... rappresentava una provocazione, perché nel linguaggio clericale al "se mai qualcuno dicesse..." seguiva implacabile l'anathema sit, la scomunica... Oggi tutto quello che pensano le donne del loro rapporto con la vita, la storia e la stessa religione sarebbe per la Chiesa scomunicabile; tuttavia la sfida resta sempre quella di capire non solo come è nata la discriminazione del femminile, ma come ne è stata storicamente "benedetta" (e quindi generalizzata anche per i laici) l'irrilevanza.

Le donne, ovviamente, a Trento non c'erano, né erano neppure indirettamente menzionabili, anche se i cardinali vietarono ai genitori di costringere le figlie a matrimoni non voluti. Senza conseguenze effettive, ma in teoria la Chiesa - che sapeva delle ragazze attraverso le lacrime del confessionale - liberava le donne. Sempre in teoria. Solo pochi decenni fa Papa Giovanni collocò tra i "segni dei tempi" (insieme con l'emancipazione dei popoli e della classe lavoratrice) l'avanzata delle donne, ma oggi l'americana Glendon, ammessa in Concilio a rappresentare le donne, si è sottratta a un incontro con Obama per non avere a che fare con un abortista.

Giovanni Paolo II rese omaggio al genio femminile e anche Benedetto XVI ha espresso più volte il suo apprezzamento, ribadendo con il suo predecessore che la genialità va esercitata in famiglia, aiuto per l'uomo e per una società fondata sul potere dei maschi e sulla famiglia-ammortizzatore sociale. In teoria; in realtà complimenti come il baciamano alle dame.

Il far credere che le chiese sanno e fanno il bene delle donne è, dunque, ancora un punto su cui conviene ragionare, per domandarsi apertamente non solo se è bene che la sacralità maschile detti norme sempre più dominanti nella società civile, ma anche se è bene per le chiese che siano gli uomini a fissare regole "universali". Infatti, a mano a mano che le donne - con diritti propri o per omologazione - ottengono riconoscimento paritario, tutte le istituzioni vanno in momentanea crisi, per riprendere forza imponendo gradualmente anche alle donne il modello unico. Se immaginiamo che, quando la chiesa impoverita di clero maschile autorizzerà il sacerdozio femminile, le religiose assumeranno il ruolo di "questo" prete, sarà del tutto evidente il senso negativo dell'omologazione oggi abbastanza sperimentata (e accolta da molte di noi) in ambito politico e lavorativo.

"Libertà femminile versus autorità clericale" è un bel rebus. Infatti, finito il tempo in cui l'uomo ignorava la sua parte nella riproduzione ed era indotto a vedere la divinità nel femminile fecondo, è incominciata la storia di "dio", nome sempre maschile, in cui l'uomo riconosce la propria immagine e si fa divino. Anche oggi si nomina dio, per affermarlo, per negarlo, per usarlo a fini politici; ma nessuno si domanda di che "genere" sia e, anche quando lo collochiamo nel "neutro", quel neutro equivale al maschile. Infatti anche l'ateo si sente dio e comanda, con tanti saluti alle proclamazioni di laicità.

In genere tutte le religioni - orientali, africane, animiste, politeiste, monoteiste - hanno dato più o meno grande rilievo a figure femminili; ma difficilmente hanno dato loro poteri sovrani, tranne quelli, forse i più grandi ma assolutamente astratti, della vita, della morte e, spesso, del male. Si comprende che per le donne "la" questione è il significato del potere.

Il contesto attuale - in cui neppure i cattolici praticanti si accorgono di essere pagani - è chiamato cristiano: chi ha letto i Vangeli sa che anche il terzo millennio "dopo Cristo" è ben lontano dal potersi definire tale. Le stesse autorità vaticane fanno ancora prevalere la legge, non la profezia: menzionano poco il Vangelo, interferiscono strumentalmente con le libertà delle istituzioni civili e dividono gli umani come se dio non fosse uno solo per tutte le fedi.

Ma non è cristiano tenere nell'irrilevanza le donne, se è vero che Gesù interpella gli uomini davanti all'adultera, risana la donna che soffre di perdite, (reietta perché donna e perché maligno è il sangue femminile e ancora, per credenza popolare, la mestruata inaridisce le piante) e sostiene le ragioni di Maria intellettuale rispetto alla casalinga Marta.

Un dotto amico che si occupa di teologia, Piero Stefani, ricorda l'aneddoto sulla figlia di Maometto che mandò a chiamare il padre perché il suo bambino era morente. Il profeta le fece rispondere che Dio dà e Dio toglie: sopportasse la sventura e si acquistasse così dei meriti. La figlia tornò a supplicarlo e il padre, commosso, andò da lei. <<Gli fu mostrato il bambino che rantolava quasi fosse soffocato dentro un otre. Le lacrime traboccarono dagli occhi del profeta. Gli disse Said: "O inviato da Dio che cos'è questo pianto?" Rispose: "Questa è la misericordia che Dio ha posto nel cuore dei suoi servi misericordiosi: Dio avrà misericordia solo dei misericordiosi">>. Anche se Stefani non fa riferimento alle donne, il brano dice quanto sia importante, anche ai fini della conoscenza di Dio, la cultura femminile. L'intuizione, facoltà attribuita prevalentemente alle donne e perciò sottovalutata ai fini conoscitivi, nell'uomo è soffocata da pregiudizi perfino inconsapevoli. Così nell'Islam la pratica di un jihad che, da impegno di coscienza, è diventata aggressività e violenza contraddice l'invocazione a un Dio "grande e misericordioso". Maometto impara dalla figlia e recupera la dimensione amorosa del divino, il dolore umano, il pianto. Non hanno imparato i signori delle legge dell'Islam contemporaneo.

Per le donne, comunque, fin dalle origini le religioni consacrano l'inferiorità che si conferma nelle istituzioni sociali e politiche, storicamente sempre sottomesse al "sacro".

I Greci, capostipiti fondativi della nostra civiltà (e del Cristianesimo, come ritiene Benedetto XVI), si erano inventati dodici aspetti del divino, sei maschili e sei femminili, ma dopo genealogie che portano dal Caos alla Giustizia, è Zeus che incorpora Metis, l’Intelligenza, e diviene “re degli dei e degli uomini”, impersonando il potere insieme con il patriarcato. Per i Romani, Giove non solo rappresenta il potere, ma lo autentica nel destino di Roma e dei suoi governanti: se tutto è potere, il femminile ne subisce l’esclusione.

Secondo la via monoteista dell’ebraismo, la Bibbia è Parola e la creazione indica la rilevanza del divino riflesso sia nell’uomo sia nella donna ("Dio creò simile a sé l'essere umano, uomo e donna"); tuttavia la narrazione, che si conforma anche su grandi stereotipi femminili, evidenzia crimini orribili “di genere”: basta pensare alla donna del levita abbandonata agli stupri e fatta a pezzi di Giudici, 19.

Con Gesù le cose cambiano radicalmente: dove l’ebreo ringraziava Dio di non essere nato né pagano, né schiavo, né donna, il femminile diventa simbolo iniziale e finale di una liberazione destinata a tutti e le donne vengono riconosciute come portatrici autonome di grazia. La chiesa non si volle mai rendere conto del valore teologico della morte di Gesù, avvenuta alla presenza solo delle donne e dell’amico di sempre, e del significato escatologico della resurrezione e del mandato trasmesso a Maria di Magdala. Il primo potere che penetra la comunità cristiana fin dai primi secoli è, infatti, quello patriarcale; dopo verranno la trasformazione gerarchica del primato, il privilegio dell’altare, i principi dell’autorità e dell’obbedienza. Il potere spiazza la profezia e gli stati riceveranno identità (e ragione di guerra) dalla confessionalità.

Come la Maddalena si ritrovò "prostituta redenta" e penitente per puro prevalere interpretativo dei maschi, così tutte le donne subirono non tanto l'ostracismo della chiesa, quanto la conferma sacralizzata universalmente della loro inferiorità. Il sesso "debole" non doveva andare a scuola, veniva esclusa dal voto, doveva mantenersi vergine e accettare un marito e come santa Rita sopportarne le abitudini violente. Il prete resta celibe per sacramento e si sente superiore a chi cede alla tentazione della donna: se si innamora sono guai, perché può peccare, ma non divenire adulto nell'autenticità della coppia.

Il tentativo in corso di fare della famiglia il principale ammortizzatore sociale si accompagna, in ambito cattolico, all’enfasi sulla sua funzione riproduttiva e assistenziale: le donne hanno, come sempre, tutto da perdere. A meno che…

A meno che non siano tentate dall’omologazione: se “questi” poteri sono immutabili, allora possono appropriarsene. Fanno già le soldate, sono spesso manager, anche se “sotto il tetto di cristallo”, potranno ottenere di più: carriere e danaro, come gli uomini. Le considerazioni teoriche sul sacerdozio non produrranno ambizioni curiali, poco interessanti perfino per la “vanità” dello splendore non più simbolico degli apparati.

Le diverse tradizioni cristiane si sono divise per mille ragioni, mai per contestarne l’unius “viri” dominatus. Nel nostro tempo l’ecumenismo potrebbe trovare nelle donne un aiuto valido, perché nessuna è contenta del trattamento che riceve nella propria chiesa. Invece, competitività e antagonismi si acuiscono proprio a partire dalle diverse valutazioni della sessualità e del ruolo femminili: l’apertura anglicana del sacerdozio può nascondere un’involontaria sfida “antipapista” (tanto si sa che, prima o poi, anche Roma dovrà cedere), ma è scopertamente sessista la rivalsa vaticana che, superando i limiti del postulato misogino celibatario, ha accolto i preti anglicani dissidenti e ammogliati. L’ortodossia e le chiese orientali non illudono neppure i preti desiderosi di avere una compagna perché li escludono dall’episcopato. È intollerabile, almeno per noi moderni, che le chiese cristiane abbiano ridotto le finalità del matrimonio alla procreazione e a quel remedium concupiscentiae che diciamo in latino per attenuarne la vergogna.

Le donne rifuggono dal potere – almeno per ora – proprio perché lo conoscono bene per esserne state, in più modi, le vittime privilegiate. I maschi, che l’hanno inventato, lo tramandano, nel convincimento che sia “naturale” che i forti siano superiori ai deboli in senso fisico e metafisico, e che fortissimi tra tutti siano gli “uomini del sacro”, che hanno il potere di confermare le imprese umane con il sigillo presunto della volontà divina.

Anche in questo nostro tempo problematico (si potrà, per esempio, reagire con i divieti e le scomuniche, così come con l’ignoranza e l’irresponsabilità alle prospettive della scienza e delle biotecnologie?) i poteri laici e religiosi, nonostante tutte le statistiche confermino che ovunque, anche nel Sud del mondo, le donne hanno capacità e competenze inedite da utilizzare a beneficio di tutti, si richiudono pericolosamente in reciproche (e interne) competizioni. Come diceva papa Giovanni XXIII per i conflitti, è demenziale, alienum a ratione. Ma neppure i Papi si analizzano per contestarsi i poteri.

Gesù Cristo aveva insegnato ben altro. Ma la sua chiesa, che non gli è mai stata troppo fedele, oggi rischia molto: potrà ottenere, forse, una dilazione alla caduta del proprio potere, ma può anche indurre, se non si converte (e le teologhe femministe non negano l'aiuto) a perdere la credibilità del messaggio.

 

(1 luglio 2009)

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