Login Registrati
Il piano inclinato della sclerosi multipla

Il piano inclinato della sclerosi multipla

Parliamo di Bioetica - Quella sera il mio viso non mi apparteneva, lo specchio rimandava un’immagine che sembrava uno scherzo.… quella stranezza passerà nella notte. Invece era sclerosi multipla....

Susanna Penco Domenica, 03/02/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2013

- Quella sera il mio viso non mi apparteneva, lo specchio rimandava un’immagine che sembrava uno scherzo. La mia faccina era storta… quella stranezza passerà nella notte. Invece era sclerosi multipla

- Se a 20 anni mi avessero parlato di carrozzine, avrei detto andateci voi, io mi suicido. Poi… ci si abitua a tutto, soprattutto ai cattivi pensieri. Agli spettri, all’idea che da seduti si può anche tirare di scherma

- Sono trascorsi oltre 18 anni, da allora, e la mia è una malattia vecchia e antipatica. È cattiva, perché non si mostra. Incombe. Agisce al buio, è una gran vigliacca

- La vita senza memoria non è vita; la nostra memoria è la nostra coerenza, la nostra ragione, il nostro sentimento, persino la nostra azione: senza di lei non siamo niente”. Io sto perdendo me stessa, lentamente

- Dopo decenni di studi sui topi e sulle scimmie, e moltissimi miliardi delle vecchie lire spesi, cosa abbiamo scoperto? Niente. Sugli animali, resi malati per “coercizione”



Non tutti i mali vengono per nuocere… Questo, forse, nella migliore delle ipotesi, pensa chi mi accusa di strumentalizzare la mia malattia.

Comincio da capo. È una storia come tante. Una bambinetta con una famiglia normale. Un papà che lavora, fa il medico, ne sono fiera. Lo vedo solo la sera, ma, appunto, la sera mi legge poesie e mi insegna a giocare a scacchi. Una mamma casalinga, molto protettiva, e una sorellina cui fare dispetti. E i nonni. Oggi questa parola mi turba un po’, poiché “i nonni” ormai sono diventati i miei genitori: nonni di mio nipote. E un po’ mi sembra l’usurpazione di un titolo… i nonni per eccellenza erano quelli miei. Probabilmente genitori criticabili, si sono riscattati facendo i nonni. Il nonno mi insegnava a non aver paura degli insetti, visto che dei leoni, dei tori e degli orsi già mi fidavo, di mio. Solo le cavallette mi turbavano. Mi limitavo a starne alla larga, ma mi vergognavo con me stessa. Erano i nonni che mi portavano a pulire gli occhi ai gattini randagi. Ero diventata bravissima a farlo, e non avevo schifo di niente. Mi nasceva dentro, mentre li toccavo, un senso di calore allo stomaco, una lava calda che si dilatava dallo sterno all’ombelico, e che non mi ha abbandonato mai più. È una sensazione che provo sempre, al contatto con gli animali, ed è piacevole e dolorosa insieme. Il mio respiro di bimba, con il gattino poggiato sulla tiroide (sennò era lontano dalla bocca, dai miei baci), dapprima emozionato e ansante, si quietava e seguiva il ritmo delle loro fusa. Già, potevano essere malatissimi o moribondi, ma mi facevano le fusa. Il tempo passa, divento grandicella, si diceva così, né carne né pesce. E, pochi giorni dopo la prima mestruazione, conosco il grande terzo uomo della mia vita, dopo mio nonno e mio padre: quello che sposerò. Ero proprio piccola, già allora destinata ad esser eterna figlia, e non madre, dipendente, da proteggere: un presagio di “quella” malattia? La vita scorre, senza traumi apparenti, anzi, è golosa. A tratti frequenti, mi diverto, rido molto, ho amici, e la nostalgia sottile che mi appartiene come i miei occhi, come i miei capelli, è così dolce e familiare che non mi disturba mai. Anzi. Non mi fa mai annoiare, mi impedisce il tedio, poiché il ricordo di me nel passato già mi sazia, mi riempie, mi accarezza, e mi consola, quando è il caso. Non sono mai sola. La scuola va bene, la socialità pure. Pattino con movenze da ballerina, e non arrivo mai prima, ma seconda e terza sì, e siccome sono quella con più tifosi, il podio è comunque uno stordimento vigoroso, un’esaltazione eccitante, e il mio nome che risuona nei cori così forte che sembro la campionessa che non sono. Gambe sottili, ma forti. Le cose normali mi succedono tutte. Finché un giorno, un 20 aprile, la “terza figlia” di mia mamma, e mia omonima, muore in un attimo in un incidente stradale. Era l’amica del cuore di mia sorella, tanto amica che viveva praticamente a casa nostra, era veramente sempre tra i piedi, un’abitudine… Le abitudini sono terribili perché sono rassicuranti. Quando mancano, si sta male. Soprattutto per le donne poco avventurose, come me. Io avevo creduto di aver superato il dramma della sua assenza, così imprevista, inaspettata, dura. Non saprò mai se i due eventi erano correlati, ma…. nel mese di maggio, una sera mi sento stanca. Normale, ho camminato con i miei, abbiamo fatto una passeggiata, e in effetti per essere maggio fa un po’ caldo, ho sudato, io, che sono così freddolosa. Mi devo struccare o comunque pulire bene la faccia, alla sera, è un’abitudine che la mia mamma mi aveva inculcato così bene che non venni mai meno a questo gesto rituale, nemmeno nei capodanni delle ciucche giovanili. Ma quella sera il mio viso non mi apparteneva, lo specchio rimandava un’immagine che sembrava uno scherzo. La mia faccina era storta. O meglio, la bocca era storta, e un occhio era semichiuso. All’uso, non mi spavento nemmeno tanto. Tutto il resto funziona, respiro bene, parlo, mi muovo senza problemi. Ma chiamo subito papà. Chi se non lui? Mi rassicura, mi dice che domani andiamo a San Martino, all’ospedale, per capire. Ma sicuramente non sarà il caso, quella stranezza passerà nella notte. Invece era sclerosi multipla. Si è presentata con un sintomo che nei libri di medicina è all’ultimo posto, una rarità, un’eccezione. Solo chi è malato della tua stessa malattia ti capisce. Come si dice, l’esperienza degli altri è solo teoria. C’è stata la solita trafila, il ricovero, e poi tanto di non detto, il sotterfugio, la protezione, la negazione della malattia, gli accordi mio padre e un suo amico neurologo, affinché io vivessi tranquilla, ancora un po’, pochi giorni, settimane, chissà cosa si aspettava, papà… Temporeggiava, tipico suo. Tutti gli altri, quelli del mio mondo lavorativo, colleghi, capi, tutti sapevano. Non erano i tempi della privacy, e comunque io della privacy me ne fregavo. Sapevo che avevo avuto uno “spasmo del nervo facciale”. Certo, antipatico e imbarazzante. Veramente io non davo retta alle persone che mi dicevano che con quella faccia storta non sarebbero uscite di casa nemmeno morte. Io mettevo gli occhialoni e uscivo, fiduciosa, andavo a lavorare nella nuova sede, in barba al mio aspetto così anormale. Ecco, unica cosa… non capivo perché i miei ex capi mi telefonassero a casa, solleciti, preoccupati. Li trovavo strani, esagerati: nei giorni, con le terapie, andava tutto lentamente normalizzandosi. Il mio musino era tornato carino, la bocca dritta. Chissà cosa avevo avuto di preciso. Loro sapevano tutto. Io, no! Poi la resa dei conti, la verità. In modo rocambolesco, come in un film. Accolsi la notizia senza lacrime, come non mi appartenesse, come fosse la malattia di un’altra me stessa che mi riguardava relativamente. Sono sempre stata taccagna, tirchia, avara di lacrime, come i miei genitori, come i nonni. Non si piangeva mai, a casa mia. Ecco, Susanna piangeva spesso, la “sorellina” morta. Ma io ero Susy, al massimo Susina, non Susanna. E non piangevo. Però sfogliavo i depliants di sedie a rotelle, e volevo morire. Punto. Se a 20 anni mi avessero parlato di carrozzine, avrei detto andateci voi, io mi suicido. Poi… poi… ci si abitua a tutto, soprattutto ai cattivi pensieri. Agli spettri, all’idea che da seduti si può anche tirare di scherma. Gli altri ti aiutano, tu ti aiuti, annaspi, ti attacchi dove puoi. Io mi sono aggrappata ai libri che non avevo mai letto, e più erano tristi e più avevo brevi tregue, e ai ricordi. Sono trascorsi oltre 18 anni, da allora, e la mia è una malattia vecchia e antipatica. È cattiva, perché non si mostra. Incombe. Agisce al buio, è una gran vigliacca. Se hai un dito fasciato, intorno hai il coro di “poverina”. Ma se hai la sclerosi multipla, sei in piedi e magari abbronzata, nessuno si accorge che ci vedi appannato da un occhio, che se non c’è una panchina ti siedi per terra, che non hai sensibilità a metà di te, che ti scappa la pipì ma non riesci a rilassare i muscoletti liberatori, e se sei a casa pazienza, ci metti anche 5 o 10 minuti a farla, ma se sei in nel bagno di un ristorante e dall’altra parte della porta bussano o vedi la maniglia piegarsi, è panico, e non la fai più, nemmeno col catetere, allora esci dal bagno a vescica piena, ti fai largo tra la gente che pensa tu abbia avuto la diarrea, e ti congedi di corsa dagli amici e devi correre a casa….per una pipì, che non riesci a fare. E la fatica, in ogni atto, dallo stare in piedi, a leggere. Gli occhi sono troppo importanti, molto più delle gambe. E la memoria. Io ora sono su un piano inclinato. Inclinato ancora poco, ma pur sempre inclinato, e ogni giorno è un pochino più faticoso del precedente. La mia mente non è più lei. Dimentico, mi oriento male, non mi concentro, non imparo più. Galleggio. A volte mi presento 3 volte alla stessa persona, le stringo la mano, come di anni ne avessi 80, e mi sento dire “signora, ci siamo già presentate” da chi magari ha veramente 80 anni. So che nella sclerosi multipla, col tempo, subentra un’atrofia cerebrale: in parole semplici, il cervello diventa più piccolino, si rattrappisce. E per certi mestieri, la memoria è come le mani per un pianista. Mi colpì come un dardo una frase di Luis Bunuel: “bisogna cominciare a perdere la memoria anche solo ogni tanto, per comprendere che la memoria è ciò che riempie la nostra vita: la vita senza memoria non è vita; la nostra memoria è la nostra coerenza, la nostra ragione, il nostro sentimento, persino la nostra azione: senza di lei non siamo niente”. Io sto perdendo me stessa, lentamente. Sono passati tanti anni dalle trasmissioni in tv che raccoglievano fondi per la ricerca sulla sclerosi multipla. Tanti anni quanti il mio debutto come sclerotica. E tanti soldi donati dalla gente senza sms col telefonino, ma con i bollettini postali. Sembra di parlare di un tempo sognato, immaginato, non reale. Invece si viveva senza la comunicazione globale. E tutti quei denari sono stati spesi in topi sani, che vivevano in gabbiette, comprate pure quelle, in cibo e veleni, da dare a quei topi sani per farli diventare malati, loro che in natura mai si sarebbero ammalati di sclerosi multipla: è una malattia così cattiva, lunatica e capricciosa che forse, per questo, lascia in pace gli animali non umani: di loro ha pietà.. Io mi sono sempre studiata molto, e molto mi sono informata, e leggo i progetti di ricerca perché fa parte del mio lavoro. So che il problema è dentro il mio cervello, nel mio e in quello dei malati come me. Dopo decenni di studi sui topi e sulle scimmie, e moltissimi miliardi delle vecchie lire spesi, cosa abbiamo scoperto? Niente. Sugli animali, resi malati per “coercizione”, funzionano tante molecole: prima di esser sacrificati per guardargli dentro il cervello, si rimettono “in piedi”… ma sugli umani esse non funzionano. Lo dicono loro stessi, i neurologi, ai convegni: il modello è deludente. Perché non devo dirlo, se lo so e se è vero? E torniamo alla prima riga: mi accusano di “strumentalizzare” una malattia, la mia. Se sapessero… Allora, faccio mio il non ti curar di loro, ma guarda e passa. Ma che amarezza. Evidentemente è un proclama scomodo, ma noi non somigliamo ai topi. Però siamo invece molto simili a tutto il resto del creato dotato di sistema nervoso centrale in una cosa: il provare il dolore fisico e psicologico. Il male, la paura, l’angoscia, il terrore, un’anestesia, nel migliore dei casi, e se non arriva sorella morte, ancora male, bruciore, dolore, fitte, corpi storpiati, posizioni strane, posture strazianti, e finalmente l’autopsia, la liberazione. Così terminano gli esperimenti sugli animali. Il solo animale che sublima il dolore degli altri è l’uomo. Insomma, forse ha ragione un mio amico che mi dice che la Terra è l’inferno di qualche altro pianeta.



Susanna Penco

Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Genova



Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy - Cookie Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®