Sì, viaggiare / 2 - Da contadine a manager con il ‘Village Business Incubator’, l’ “incubatore” d’impresa per donne rurali. Accade in Siria.
Colla Elisabetta e Roberto Dati Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2008
Fra i numerosi progetti di solidarietà e cooperazione che si possono visitare nel corso dei viaggi di turismo responsabile e sostenibile, appare particolarmente significativo l’esempio del Village Business Incubator (VBI), un incubatore d’impresa “al femminile” realizzato nell’entroterra della moderna città portuale di Lattakia, a 800 metri sul livello del mare, presso il villaggio di Ain al Tineh. E’ qui, in questa area a forte vocazione agricola, tra verdi e scoscese colline di ulivi cresciuti grazie all’abbondanza di acqua (Ain significa infatti “sorgente”), che abbiamo visitato la sede del progetto VBI , incontrando lo staff che lo gestisce e le donne del territorio coinvolte nell’incubatore.
Il progetto, promosso e sostenuto dall’Unione Europea e da diversi soggetti di ambito internazionale, l’IFAD (International Fund Agricultural Development), l’AIDOS (una Ong italiana specializzata nella promozione dello sviluppo e della tutela delle donne), il FIRDOS (il fondo siriano per lo sviluppo rurale integrato) nasce nel 2005 da un’idea di base piuttosto ambiziosa, quella di fornire migliori opportunità alle donne che vivono nelle campagne, dove l’elevata disoccupazione costringe gli uomini ad emigrare nelle città in cerca di lavoro, lasciando così tutto il peso della conduzione familiare su spalle femminili. Il primo step del progetto è stato quello di selezionare un gruppo di giovani siriani con esperienze e studi in ambito commerciale-economico e con una certa conoscenza dell’inglese e proporre loro corsi di formazione per la gestione d’impresa. “Quello dell’incubatore - ci racconta Fajer Ghadban, un giovane di Lattakia, laureato in economia che oggi dirige l’Incubatore.- è un progetto pilota iniziato nel 2005 e prima di cominciare nessuno sapeva come bisognasse fare. Tutti noi del personale siamo stati assunti in settori diversi, a seguito di colloqui dove ciò che più ha contato (oltre alla preparazione tecnica) è stata la forte motivazione a dedicarsi con entusiasmo a questa impresa”. Lo staff del VBI è oggi composto di dieci persone (il rapporto donne/uomini è 6 a 4), che hanno ricevuto un training specifico, compresa una parte di psicologia generale, ritenuta molto utile per capire come affrontare la resistenza opposta dagli uomini di mogli divenute improvvisamente tanto intraprendenti ed autonome… Questo team, sostenuto per un certo periodo dalle organizzazioni menzionate, ha poi iniziato a lavorare con le donne della zona che intendevano creare delle piccole imprese familiari, artigiane o d’altro tipo. Il progetto mira infatti a migliorare la qualità della vita di queste donne in senso generale, incentivandole a dedicare parte del proprio tempo ad attività più remunerative e gratificanti, secondo le proprie inclinazioni: le donne vengono sollecitate a proporre loro stesse delle attività ‘imprenditoriali’ da portare avanti, in base alle attitudini personali ed alle abilità pregresse, rafforzate o apprese ex-novo attraverso specifici training tecnico-formativi che si tengono periodicamente presso la sede del VBI. C’è chi ha deciso di costruire piccoli ristoranti o chioschi dove verranno preparate colazioni locali e pane cotto nei forni tradizionali per i turisti e per i viandanti di passaggio; altre preferiscono realizzare collane all’uncinetto o pannelli ornamentali con stoffe colorate, su disegn e modelli che sposano tradizione e modernità; altre ancora fabbricano saponi, secondo le antiche ricette di Aleppo (la seconda città della Siria per importanza dopo Damasco, famosissima per i suoi commerci in spezie e per l’olio di oliva), e ne variano la composizione con aromi di fiori e frutti Tutte le donne che realizzano prodotti artigiani vengono iniziate alla cura del confezionamento, il cosiddetto packaging, per una presentazione adeguata alla vendita diretta. “Nonostante la disponibilità e la buona disposizione - racconta Valentina Sommacal, responsabile in Siria dei progetti AIDOS - all’inizio non è stato facile per le donne coinvolgersi nel progetto: l’investimento in qualcosa di nuovo e l’accettazione in famiglia del nuovo lavoro spesso sono state delle conquiste per alcune di loro. Ma quando hanno cominciato a vedere i risultati, anche economici, prodotti dal circuito virtuoso del progetto, allora hanno cominciato a lavorare con grande passione e decisione”.
Kinda Saidd, una giovane dai capelli e dagli occhi nerissimi, lavora al VBI come consulente commerciale ed opera presso i nove villaggi del municipio di Al-Hafeh - oltre ad Ain al Tineh, i villaggi sono Baider, Adera, Basta, Jwez, Hajar, Nabe al Khandak, Lifin, al-Karas e Zanboura – che è uno dei 4 distretti in cui è suddivisa la provincia di Lattakia (o governatorato, per usare il termine amministrativo usato in Siria). È lei ad accompagnarci nella visita ad alcune delle donne assistite nell’ambito del progetto. “Sono felice di aver partecipato a questo progetto - afferma Kinda - e posso dire che averlo fatto è stata una delle cose migliori che mi siano capitate. Ogni giorno vado nei villaggi a parlare con le donne e le aiuto a risolvere i problemi che possono incontrare, offrendo loro consigli commerciali”. Esistono dei punti vendita per i prodotti delle donne in alcune località turistiche (ad es. il famoso Castello del Saladino) ma anche i piccoli gruppi di turismo responsabile possono entrare in contatto diretto con le famiglie, vedere ed acquistare i loro prodotti, chiacchierare con le donne su come la qualità della vita sia migliorata da quando portano “i soldi a casa” e possono partecipare al pagamento del mutuo della casa o alle spese per i figli. E’ possibile lasciare una piccola somma di denaro per il progetto e comprare direttamente dalle donne senza intermediari. “Stiamo cercando di convincere le donne a creare anche dei luoghi di accoglienza per turisti - afferma ancora Kinda - delle foresterie a prezzi modici, per accogliere piccoli gruppi di viaggiatori, come backpackers indipendenti o altro, che si fermino per visitare e conoscere non solo le bellezze artistiche del nostro paese ma anche le realtà locali legate al lavoro ed alla vita quotidiana, senza avere troppa fretta”. Visitiamo una sorridente ed energica signora che intende aprire un ristorantino per offrire a camionisti e passanti colazioni a base di ingredienti tradizionali: miele alle erbe, burro organico e altri prodotti caseari, focacce (fathir). Il locale sarà allestito nella casa dove abita con la sua famiglia: la cucina è la stessa che usano tutti i giorni, mentre la sala sarà posta nella terrazza che affaccia sulla splendida valle sottostante. La donna, che ha ricevuto una formazione di base in gestione aziendale, vorrebbe aprire in futuro un Bed&Breakfast, ma al momento non ritiene vi siano abbastanza turisti da giustificare l’investimento. Per realizzare il suo sogno (il ristorante si chiamerà Al-Wadi, “la valle”) la signora si è trasferita su un versante della collina più freddo ma più panoramico; alla fine, per dimostrare al marito che faceva sul serio, ha costruito da sola un forno tradizionale, in fango essiccato. La coppia, che ha utilizzato esclusivamente soldi propri per l’impresa, ha tre figli maschi e due femmine: “Riguardo alle nostre aspettative nei confronti di questa nuova attività - dice la donna - oltre a sostenere il reddito familiare, ritengo che questa iniziativa possa andare a beneficio di tutta la comunità, non solo del nostro nucleo familiare: nel villaggio manca un locale come quello che vogliamo costruire, e spero dunque nel successo anche fra i nostri vicini”. Incontriamo successivamente altre donne, le quali, dopo averci accolto con la massima gentilezza ed ospitalità, ci mostrano i loro prodotti, collane, stoffe, saponi. Lavorano su commissione, riescono a risparmiare.
Per concludere un po’ di cifre: nell’ambito del progetto operano direttamente circa 600 donne di età compresa tra i 18 e i sessant’anni, alla metà delle quali è stata fornita una formazione commerciale (circa 100) e tecnica (circa 150), in relazione ai diversi settori di attività. Se si considera invece il lavoro indotto, sono quasi tremila le persone beneficiarie del progetto, mentre la popolazione complessivamente coinvolta ammonta a 10.000 unità. Ma il dato saliente è che cinquanta di queste donne hanno avviato una propria impresa, e la metà di loro è riuscita a farlo con fondi propri. Anche se si tratta di piccole o piccolissime aziende, il segnale è comunque importante. Un poster colorato appeso al muro del VBI raffigura un bel volto femminile dallo sguardo determinato, con un fumetto che dice: “La partecipazione è un diritto delle donne”. Ovunque nel mondo, aggiungiamo noi.
(*) Presidente dell’Associazione Retour – Rete per il Turismo Responsabile
CHE COS’È IL TURISMO RESPONSABILE
Nel 1998 undici organizzazioni del cosiddetto Terzo settore (ambientalismo, volontariato, cooperazione allo sviluppo) hanno dato vita all’Associazione Italiana Turismo Responsabile (AITR), il cui scopo è promuovere un “turismo attuato secondo principi di giustizia sociale ed economica e nel pieno rispetto dell’ambiente e delle culture. Il turismo responsabile riconosce la centralità della comunità locale ospitante e il suo diritto ad essere protagonista nello sviluppo turistico sostenibile e socialmente responsabile del proprio territorio. Opera favorendo la positiva interazione tra industria del turismo, comunità locali e viaggiatori”.
In base a questo intendimento, si è iniziato a realizzare circuiti turistici nei quali è possibile coniugare vacanza, itinerari culturali e paesaggistici, solidarietà verso le realtà sociali del paese visitato.
Informazioni: www.aitr.org
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