Venerdi, 19/09/2014 - Anche quest’anno - nell’edizione 2014 dedicata alla “Gloria”- Festival Filosofia non ci ha deluso, anzi ancora più di prima ci ha offerto grandi occasioni per pensare e riflettere, e ancora di più questa volta invitandoci addirittura ad addentrarci “nel ventre” delle città che lo hanno ospitato per “scavare” non solo dentro di noi ma anche per “penetrare” e “leggere la nostra storia di donne” sui muri nelle scritte che ci circondano e nei cieli che ci fanno sentire parte dell’Universo.
Era già chiaro dallo sviluppo e dall’esempio del suo sito (www.festivalfilosofia.it) - periodicamente aggiornato - che la messa a disposizione e fruizione gratuita delle riprese delle lezioni magistrali e degli incontri anche delle edizioni precedenti che il Festival ha ormai raggiunto e “gloriosamente conquistato” lo status di “strumento e colonna portante di un sistema formativo di eccellenza all’interno della comunità educante del Paese” .
Questo “rapportino speciale per voi” vuole essere un’occasione per condividere alcune curiosità e scoperte “consapevoli” nate dalla frequentazione di due delle iniziative meno “scontate”…
Complice la visita guidata “Gloria” al Museo Lapidario Estense condotta dalla Direttrice Nicoletta Giordani, mi chiedo se in occasione di visite a siti archeologici in Italia e all’estero siamo rimaste incuriosite da frasi e nomi di donne riportate su edifici e monumenti trionfali e quante volte abbiamo pensato o sognato le loro vite e le loro sorti.
Perché la Gloria, nome femminile e dal corpo della donna, viene utilizzato per rappresentare il trionfo, la vittoria il più delle volte conquistata in guerra ma al cui governo è preposto un maschio, un Dio, Marte?
Del mondo greco è celebre la Vittoria alata, che rappresenta la vittoria contro la barbarie e con essa la gloria. Trasferita nel mondo romano la Vittoria assume un aura di divino e oltre ai monumenti è spesso usata nelle monete come strumento di propaganda. Se Marte (Dio) con la sua corazza rappresenta il vendicatore che trionfa sulle spoglie del nemico chi incorona la Vittoria è una Donna. Il mondo romano è ricco di figure femminili notevoli: la Giustizia, l’Abbondanza ecc. Non si tratta di divinità vere e proprie ma hanno un’aura divina. Giustiniano I, Imperatore dell’Impero Romano d’Oriente, fa suo il simbolo della Vittoria per indicare la gloria dell'Imperatore che compare anche nella monetazione. Che, oltre al commercio e al mercenariato, costituiva anche un “prezioso strumento” di creazione del consenso.
Come è possibile ipotizzare lo sviluppo della rappresentazione della gloria come corpo femminile dai tempi antichi ad oggi?
La Vittoria alata si è trasformata nell’Angelo della tradizione cristiana. Nel mondo babilonese ed egizio la Gloria è rappresentata dal Sovrano il monarca assoluto, un Dio rappresentato in gloria di solito accanto alla sposa. In Egitto un chiaro esempio è offerto da Abu Simbel; in esso Ramsete II -il faraone più "glorioso" - viene rappresentato in veste di vincitore: davanti a lui stanno i nemici sconfitti e la moglie Nefertari, raffigurata anch'essa supplice in atto di chiedere per loro la clemenza del faraone. E’ attraverso l’intercessione femminile che avviene l’amplificazione dell’atto di clemenza ai vinti.
E la violenza alle donne era rappresentata?
Nel mondo romano esistono esempi efficaci e a Roma possiamo trovarli con facilità. Basta guardare la Colonna Traiana e la Colonna Antonina. Nella colonna Traiana, come nella più tarda colonna Antonina, le figure femminili sono protagoniste con i loro figli accanto ai re sconfitti, e invocano la clemenza del comandate romano/imperatore vincitore. Solo in secondo piano appaiono scene "violente" come la raffigurazione sullo sfondo di soldati che trascinano le donne dei vinti afferrandole per i capelli.
Esistono esempi di committenza femminile di monumenti in Gloria? Che cosa rappresentava la gloria per la donna romana?
Nel Museo Lapidario Estense c’è la sepoltura monumentale di Peducaea Hilara da lei voluta ad imitazione del prestigioso sarcofago di Scipione Barbato . La famiglia degli Scipioni all'epoca tardo-repubblicana- augustea era una delle più in vista di Roma, alla gens degli Scipioni apparteneva Scipione l'Africano, il comandante vittorioso su Annibale; in età augustea avevano dato vita al cosiddetto Circolo degli Scipioni :un importante consesso di intellettuali vicini all'imperatore. Hilara dedica il monumento a se stessa e al proprio compagno. Peducaea Hilara è una liberta e la scelta del modello non è casuale : scegliendo gli Scipioni sceglie due elementi di gloria : quella di sconfitta di una condizione - nel suo caso la schiavitù – e quella del sapere – della conquista della libertà”. Il caso vuole che lo stesso edificio dove è collocato il cenotafio di Peducaea Hilara ospiti un altro esempio di “Gloria” al femminile in questo caso volta alla costruzione il consenso intorno a se da parte di donna che sarebbe stata “Reggente” del Ducato di Modena: Laura Martinozzi. Vedova di Alfonso IV d’Este, finanziò con il proprio danaro - senza tassare ulteriormente i cittadini- la scenografia funebre del marito dedicandolo alla saggezza delle donne di Casa Este. Accadde nella Chiesa di Sant’Agostino, ma questa è un’altra storia. Indubbiamente queste due donne così distanti nel tempo erano dotate di grande autostima e non si vergognarono di celebrare la loro emancipazione in gloria. Anche se apparentemente non correlate gloria e vergogna - sostiene Gabriella Turnaturi - sono passioni, emozioni che nascono dalla gioia manifestata dagli altri e la vergogna altro non è che l’altra faccia della gloria. La perdita di gloria, la gloria non conseguita provoca vergogna; ma la vergogna oltre alla disistima di sé offre anche la possibilità di intrapresa di quel cammino virtuoso che conduce dalla vergogna alla gloria. La vergogna è la più dolorosa e sconvolgente delle emozioni che ci rivela come stiamo con noi stessi e ha la funzione di svelamento e di riconoscimento, implica questioni affettive, ideali, di progetti : è un’emozione sentinella che ci aiuta a scoprire la nostra umanità. Le persone che si vergognano delle stesse cose, ridono delle stesse cose, hanno la stessa educazione sentimentale.
Oggi non ci si vergogna, ci si sente in colpa. La società dello spettacolo coi suoi “ mi piace” e “non mi piace” ha enfatizzato la “non vergogna” con “la perdita della faccia”: una perdita momentanea o parziale che si può risolvere su un altro palcoscenico. Però oggi ci si vergogna di essere povero, di non essere magro e non essere felice. Diventerà vergognoso vergognarsi.
Siamo proprio sicure che non riusciremo a contrastare questo fenomeno recuperando il senso della Communitas accompagnato dall’amore di sé?
Io sono convinta che almeno fino a quando il monumento di Peducaea Hilara rimarrà in esposizione e Festival Filosofia (diretto da Michelina Borsari) continuerà a proporre temi e progetti coraggiosi e a crescere questo rischio, nonostante le difficoltà, non lo correremo.
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