Bertani Graziella Domenica, 02/11/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2014
L’edizione 2014 Festival Filosofia dedicata alla Gloria, oltre a riconfermarsi grande occasione per pensare e riflettere, si è rivelato anche strumento di indagine e lettura della nostra storia di donne. È stato interessante condividere alcune curiosità e scoperte ‘consapevoli’ nate dalla frequentazione di due delle iniziative meno scontate. Complice la visita guidata al Museo Lapidario Estense condotta dalla Direttrice Nicoletta Giordani, mi sono chiesta quante volte in occasione di visite a siti archeologici in Italia e all’estero ci hanno presentato luoghi, cose e testimonianze di donne corrispondendo e rispondendo alla nostra legittima curiosità scaturita dalla lettura di frasi e nomi di donne riportate su edifici e monumenti trionfali; e quante volte abbiamo pensato o sognato le loro vite e le loro sorti. E perché proprio la parola Gloria suscita in noi così tante reazioni addirittura divergenti. Perché gli stessi sentimenti contraddittori li proviamo di fronte a donne che in Gloria hanno raggiunto, conquistandoli, traguardi importanti? Nicoletta Giordani ci viene in soccorso con questo racconto. “Del mondo greco è celebre la Vittoria alata, che rappresenta la vittoria contro la barbarie e con essa la gloria. Trasferita nel mondo romano la Vittoria assume un’aura di divino e. oltre che nei monumenti. è spesso usata nelle monete come strumento di propaganda. Se Marte (Dio) con la sua corazza rappresenta il vendicatore che trionfa sulle spoglie del nemico, chi incorona la Vittoria è una Donna. Il mondo romano è ricco di figure femminili notevoli, come ad esempio la Giustizia o l’Abbondanza. Non si tratta di divinità vere e proprie ma di figure che hanno un’aura divina. Giustiniano, primo Imperatore dell’Impero Romano d’Oriente, fa suo il simbolo della Vittoria per indicare la gloria dell'Imperatore che compare anche nella monetazione che, oltre al commercio e al mercenariato, costituiva anche un prezioso strumento di creazione del consenso. Poi la Vittoria alata si è trasformata nell’Angelo della tradizione cristiana. Nel mondo babilonese ed egizio la Gloria è rappresentata dal Sovrano - il monarca assoluto, un Dio rappresentato in gloria - di solito accanto alla sposa. In Egitto un chiaro esempio è offerto da Abu Simbel. In esso Ramsete II - il faraone più glorioso - viene rappresentato in veste di vincitore: davanti a lui stanno i nemici sconfitti e la moglie Nefertari, raffigurata anch'essa supplice in atto di chiedere per loro la clemenza del faraone. È attraverso l’intercessione femminile che avviene l’amplificazione dell’atto di clemenza ai vinti. Non manca nemmeno la rappresentazione della violenza e della violenza alle donne. Nel mondo romano esistono esempi efficaci e a Roma possiamo trovarli con facilità. Basta guardare la Colonna Traiana e la Colonna Antonina, dove le figure femminili sono protagoniste con i loro figli accanto ai re sconfitti, e invocano la clemenza del comandate romano o dell’imperatore vincitore. Solo in secondo piano appaiono scene violente come la raffigurazione sullo sfondo di soldati che trascinano le donne dei vinti afferrandole per i capelli. Esistono per contro anche importanti esempi e rappresentazioni di donne in Gloria. Nel Museo Lapidario Estense c’è la sepoltura monumentale di Peducaea Hilara da lei voluta ad imitazione del prestigioso sarcofago di Scipione Barbato. La famiglia degli Scipioni all'epoca tardo-repubblicana-augustea era una delle più in vista di Roma, alla gens degli Scipioni apparteneva Scipione l'Africano, il comandante vittorioso su Annibale. In età augustea avevano dato vita al cosiddetto Circolo degli Scipioni, un importante consesso di intellettuali vicini all'imperatore. Hilara dedica il monumento a se stessa e al proprio compagno. Peducaea Hilara è una liberta e la scelta del modello non è casuale: scegliendo gli Scipioni sceglie due elementi di gloria: quella di sconfitta di una condizione - nel suo caso la schiavitù e quella del “sapere” della conquista della libertà”. Questa parole in quel luogo producono un’associazione spontanea: lo stesso edificio dove è collocato il cenotafio di Peducaea Hilara ospita un altro esempio di Gloria al femminile, in questo caso volta alla costruzione del consenso intorno a sé da parte di donna che sarebbe stata Reggente del Ducato di Modena: Laura Martinozzi. Vedova di Alfonso IV d’Este, finanziò con il proprio danaro - senza tassare ulteriormente i cittadini - la scenografia funebre del marito dedicandolo alla saggezza delle donne di Casa Este. Accadde nella Chiesa di Sant’Agostino. Anche se questa casualità apparentemente è un’altra storia - vale la pena rammentarlo - perché si tratta di un esempio assai infrequente (se non unico e/o raro) nel nostro paese. E non dobbiamo dimenticarcene perché indubbiamente queste due donne - così distanti nel tempo - non potevano non essere dotate di profonda autostima e non si vergognarono di celebrare la loro emancipazione in gloria. E quanti esempi e testimonianze ancora esistono senza che li notiamo … Anche la vergogna è un tema che, pur non trattandolo come parola, assume un valore che spesso ci lascia perplesse e contraddette. Questa volta ci viene in soccorso Gabriella Turnaturi che proprio della vergogna si è occupata in una delle sue ultime fatiche (Vergogna. Metamorfosi di un'emozione, Feltrinelli, 2012). “Anche se apparentemente non correlate, gloria e vergogna sono passioni, emozioni che nascono dalla gioia manifestata dagli altri e la vergogna altro non è che l’altra faccia della gloria. La perdita di gloria, la gloria non conseguita provoca vergogna; ma la vergogna oltre alla disistima di sé offre anche la possibilità di intrapresa di quel cammino virtuoso che conduce dalla vergogna alla gloria. La vergogna è la più dolorosa e sconvolgente delle emozioni che ci rivela come stiamo con noi stessi e ha la funzione di svelamento e di riconoscimento, implica questioni affettive, ideali, di progetti. È un’emozione sentinella che ci aiuta a scoprire la nostra umanità. Le persone che si vergognano delle stesse cose, ridono delle stesse cose, hanno la stessa educazione sentimentale. Oggi non ci si vergogna, ci si sente in colpa. La società dello spettacolo coi suoi ‘mi piace’ e ‘non mi piace’ ha enfatizzato la ‘non vergogna’ con ‘la perdita della faccia’, una perdita momentanea o parziale che si può risolvere su un altro palcoscenico. Però oggi ci si vergogna di essere povero, di non essere magro e non essere felice. Diventerà vergognoso vergognarsi. Siamo proprio sicure che non riusciremo a contrastare questo fenomeno recuperando il senso della communitas accompagnato dall’amore di sé?” Io sono convinta che almeno fino a quando il monumento di Peducaea Hilara rimarrà in esposizione e donne ce ne spiegheranno il valore e fino a quando il Festival della Filosofia - diretto da Michelina Borsari - continuerà a proporre temi e progetti coraggiosi e a crescere, questo rischio, nonostante le difficoltà, non lo correremo.
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