La Leader che non c'è /1 - Una politica più vicina alle donne? Ascolto, condivisione e capacità di vedere oltre il proprio personale orizzonte. Parola di Laura Puppato
Emanuela Irace Domenica, 06/10/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2013
Brasile. Cile. Argentina e Costa Rica. Dal 2006 il Continente Latino americano è in cima alle classifiche della leadership femminile. Le chiamano “Presidenta”, nella normalità di una declinazione linguistica di genere impraticabile in Italia. Le parole sono termometro di cultura, connotano e svelano. Rappresentano il mutamento storico che regola una comunità. Se c’è il ruolo ci deve essere anche un nome che lo esprime. Lo sanno bene nei paesi latino americani dove le donne al vertice rappresentano la norma e non l’eccezione. Donne “Presidenta”, come Laura Chinchilla Miranda (Costa Rica), Cristina Kirchner (Argentina), Dilma Rousseff (Brasile). E che dire delle due sfidanti cilene alle presidenziali di novembre: Michelle Bachelet e Evelyn Matthei. Per la prima volta nella storia due donne a contendersi la Moneda, simbolo del potere in una repubblica in cui il Capo dello Stato è anche capo del Governo. E in Italia? soltanto da pochi mesi occhieggia il termine Ministra. Quasi mai quello di Sindaca. Rarissimo Assessora. Quando si tratta di definire la rappresentanza politica in termini di prestigio, potere e influenza, il nome è quasi sempre maschio. Emblema di un sistema culturalmente cristallizzato all’interno del quale il peso esercitato dalle segreterie di partito, che perpetuano se stesse, resta culturalmente egemone. Le candidature seguono gerarchie di apparato. Il nuovo non piace né ai quadri né agli iscritti. È il lento cursus honorum che caratterizza l’Italia dei clan e delle camarille. Del familismo oligarchico che impedisce rigenerazione a un sistema che se recluta non fa avanzare. Nei partiti promozioni e candidature si acquistano per cognome, anzianità, permanenza negli uffici studi o compromesso tra boss e capicorrente. Il merito è una iattura. La mediocrità una regola. A dimostrazione, il silenzio politico delle neo-cooptate in Parlamento, 40% di deputate che ingenuamente pensavamo di aver eletto. Rarissime le outsider, a destra ci sono le ancelle, a sinistra le paladine dell’ordine costituito. Tacita e condivisa l’assenza di candidate Premier. Nessuna Opa, neanche nel PD che in fatto di donne resta un fidanzato timido che corteggia ma non sposa. Unica in lizza nel dicembre 2012, alle Primarie del PD, la Senatrice Laura Puppato. Ex Consigliera alla Regione Veneto. Disubbidiente e combattiva. Pratica e diretta. Una che si è fatta da sé. Fuori dal pascolo delle correnti. Oggi che la posta in gioco è dimezzata e sul piatto sembra esserci solo, si fa per dire, la carica di segretario lei che fa, non partecipa? “Perché mi fate questa domanda..”. (sorride). Perché è strano che tra i candidati alla segreteria del PD non ci sia neanche una donna.. “Sono convinta che in questo momento sia importante individuare una candidatura che riesca a inglobare le tante anime belle che credono in questo partito. E che lo costruiscono giorno per giorno con le proprie idee. Non sarà facile nel prossimo Congresso resettare la vecchia logica correntizia. E questo mi porta a pensare che sarebbe bene che più di qualcuno dei candidati alla Segreteria faccia un passo indietro. E si concentri sugli obiettivi che il PD deve raggiungere per essere utile al paese”. Ma non lo fa nessuno.. “Allora siamo suicidi e riusciamo magari a essere valorizzati come persone ma minimizzati come area politica. Viviamo in una società malata. Sono troppi quelli che si aspettano che qualcun altro faccia il lavoro di pensare. Ci sono politici che si candidano alla segreteria ma che in realtà sono da ufficio studi. E ci sono leader invece di spessore in grado di cambiare la Storia”. Il PD per tre mesi è stato ostaggio di Berlusconi. “Letta avrebbe dovuto chiedere subito le dimissioni di Berlusconi. Come avviene in tutte le democrazie occidentali, semplicemente, senza mettere in difficoltà il partito né coinvolgere il Senato, con tutto quel che ne è conseguito”. Quali sono i valori che distinguono una politica più vicina alle donne? “Ascolto e condivisione. Ma anche capacità di vedere oltre il proprio personale orizzonte. E poi la lucidità di riconoscere i propri errori. La crisi che attraversa la sinistra si fonda anche su questo. C’è un deficit di lettura della società. In fondo Berlinguer lo aveva capito e alla fine si era riavvicinato agli operai. Se resta solo il marchio della sinistra, e non vengono caratterizzati gli elementi distintivi e il progetto politico, non si può fare lo scatto per cambiare davvero le cose. Sono convinta che una riforma della società passi anche attraverso un cambiamento di linguaggio”. Scrive Simone Weil: “Quando si entra in un partito si deve recitare la propria parte”, sembra che il PD abbia perso il copione o come si dice oggi che la sinistra sia diventata di destra. “Il problema è la difficoltà a far emergere un progetto politico e una idea di società che abbia il timbro della sinistra. Bisogna avere il coraggio di evidenziare i propri limiti. Se non si parte dai propri errori e paure si approda alla politica vaga e indeterminata del pensiero a breve termine. È un arretramento spaventoso. Se continuiamo a pensare che la politica deve darci una risposta immediata e non collettiva - nel senso di costruzione di un percorso definito - tutto diventa intercambiabile. Senza ideali diventa indifferente anche la scelta di campo e si finisce col poter stare con chiunque”. Significa uscire dall’io per entrare nel noi, come sostiene il pensiero delle donne… “Significa smettere con il pensiero a breve termine. Significa ritrovare la capacità di comunicare e di trasmettere la propria idea sul mondo che si vuole costruire. La mancanza di spessore politico è mancanza di visione. Se percorriamo questa strada rischiamo di giustificare tutto, anche il voto di scambio, il piccolo o il grande favore. La politica diventa una compravendita. Cinquanta euro per un voto. Subito. O un condono per la casa. Se la politica è questo perché non dovrei accontentarmi. Ma se la politica vuole questo e continua a fondarsi sul pensiero a breve termine vuol dire che abbiamo perso e distrutto la democrazia”.
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