Natalia Maramotti Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2007
Suona vagamente sinistro, pare il titolo di un film sulla mafia ma è tutt’altro…si tratta della Legge 14.02.2006 n. 55, recante “Modifiche al codice civile in materia di patto di famiglia" con la quale il legislatore ha rimesso mano al Codice civile introducendo le nuove disposizioni normative contenute negli articoli che vanno dal 768 bis al 768 octies, nonché la modifica dell’art. 458, in materia di divieto di patti successori.
Prima della modifica l’art 458 vietava in ogni caso i patti successori, ossia ogni convenzione con cui una persona disponga attraverso una attività negoziale dei beni appartenenti alla propria successione e inoltre dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, ossia rinunzi ai medesimi. Il fondamento di questo divieto consiste nella necessità di preservare la libertà testamentaria di un soggetto, che può, fino alla data della propria morte, modificare le disposizioni testamentarie, ed inoltre nella necessità di tutelare soggetti prodighi che potrebbero dilapidare il patrimonio ereditario ancor prima di averlo acquistato in virtù della successione.
Allora perché fare questa eccezione? E ancora, in cosa consiste il “patto di famiglia”? Si è evidenziato che la ragione che ha ispirato l’introduzione delle norme succitate è quella di consentire agli imprenditori di garantire una successione certa, nell'interesse dell'azienda, attraverso la liceità di accordi diretti a regolamentare la successione dell'imprenditore o di chi è titolare di partecipazioni societarie. Si tratta in sostanza di una trasmissione tra stretti familiari delle attività economiche appartenenti ad uno di essi. Il “patto di famiglia” è il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti. La forma di tale contratto è quella dell’atto pubblico, a pena di nullità, perché tale forma dà maggiori garanzie, vista l’importanza degli interessi coinvolti che incidono sulla successione del disponente.
Al contratto devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari (ossia titolari di una quota di legittima) se in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell'imprenditore. Il legittimario escluso, in ogni caso, potrà impugnare il patto facendone accertare l’inefficacia e/o nullità. Il patto di famiglia costituisce il terreno di scambio di diverse prestazioni, volte a ripristinare gli equilibri economici e giuridici alterati dall’imprenditore: gli assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni societarie, infatti, devono liquidare gli altri partecipanti al contratto con il pagamento di una somma (o trasferendo beni in natura), corrispondente al valore delle quote ereditarie riservate ai legittimari. I beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti, non assegnatari dell'azienda, secondo il valore attribuito nel contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti. Gli eventuali legittimari sopravvenuti alla stipula del patto di famiglia, (es. l’imprenditore si è sposato dopo il contratto , la seconda moglie ed i figli sono legittimari sopravvenuti) possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamento della somma corrispondente al valore delle quote riservate ai legittimari, aumentata degli interessi legali.
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