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Il patriarcato che non finisce

Il patriarcato che non finisce

Contrattacco - ”il maschio è certamente in crisi... ma non fa la sola cosa essenziale per un futuro di migliori relazioni umane: mettersi in discussione”. Susan Faludi torna in libreria con un saggio su ‘Il Sesso del Terrore’

Giancarla Codrignani Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2008

Chi si rivede: Susan Faludi torna in libreria con un saggio su ‘Il Sesso del Terrore’ (ed Isbn), una lunga (406 pagine) argomentazione sulla caduta di virilità che, agli occhi della destra, negli Usa avrebbe reso possibile – secondo anche i commenti politici e giornalistici - l'attentato alle Torri gemelle. Anche questa colpa storica sulle spalle delle donne? Il libro sembra indubbiamente interessante e sarà da leggere; ma a me è venuta voglia di riprendere il primo saggio, Contrattacco, del 1991, che aveva per obiettivo la messa in guardia alle donne dal credere reale la fine del patriarcato. A quel tempo avevo guardato alla Faludi con molto interesse, in controcorrente rispetto a tanto femminismo europeo fiducioso nel proprio "genio", come diceva il Papa. Oggi si può constatare se quel richiamo fu o meno "profetico", non solo per gli Usa, dove non vinse la campagna per l'inserimento della parità nella Costituzione (all'Equal Rights Amendament mancò l'approvazione di due Stati), ma anche per il resto dell'Occidente. Nella recente campagna elettorale italiana Silvio Berlusconi suggerì alle donne "una missione speciale", quella di portare torte fatte con le loro mani agli scrutatori dei seggi ("cose dolci e squisite, mi raccomando...tra le mura domestiche le padrone siete voi. Fini ed io lo sappiamo bene"). Qualche casalinga ci può cascare ancora, un po' meno le giovani che al massimo possono illudersi, se non di diventare nuore del cavaliere, di accalappiare il tradizionale "marito ricco" o di trovare un posto da velina. Sono necessarie, credo, alcune "soste" critiche. Il femminismo va certamente letto come un fenomeno di larghe - ma pur sempre poco universali - lites e la sua politica non ha ancora trovato sbocchi soddisfacenti per i "due generi": la rappresentanza non interpreta le reali esigenze dell'elettorato femminile, che sono qualitative e non numeriche. E' pur vero che non si sono sentite rumorose proteste dei politici maschi che hanno dovuto - nel Partito Democratico - far posto a donne capolista, ma il "magone" è solo rimosso: gli uomini, nella veste di democratici signori dei partiti, accettano la parità formale, purchè non si cambi il modello che deve restare "unico"; vale a dire inesorabilmente maschile. Non si diceva che tutto cambia perchè nulla cambi?
Susan nel 1991 registrava che, secondo il Time, le donne avevano vinto: iscritte a qualsiasi università, assunte in tutti gli studi e uffici, munite di carte di credito, provviste di prestiti dalle banche. Sono così tante le opportunità conquistate che si possono abolire le Pari Opportunità e non è più necessario alcun emendamento costituzionale. Contemporaneamente la stampa americana rilevava che, nonostante tanti benefici, le professioniste e le lavoratrici erano più soggette a depressione, le nubili intristivano nella mancanza di un uomo stabile e anche Betty Friedan, una
fondatrice del moderno femminismo, confermava che le donne sono in crisi di identità e soffrono per "nuovi problemi che non hanno nome". In realtà i nostri problemi non hanno mai avuto nome. Ci si può provare ora che, per esempio, un pugno di avvocate messicane ha definito il femminicidio. Finora tutte noi, che abbiamo studiato sui testi delle discipline "neutre" - quelle in cui la parola "uomo" comprende anche la donna - chiamavamo "omicidio" una delle principali cause di morte per le donne, quella prodotta da chi "ti vuole bene". Non un problema nuovo, così come non è nuovo che nessun uomo si domandi perchè il suo genere violenta, reclude, picchia e ammazza (ed è pure pedofilo) in famiglia. Nuova sarà, se verrà accolta dall'accademia, la definizione giurisprudenziale, difficile da far rientrare nell'uso, ma incontestabilmente "di genere". E, forse, servirà a fare nuova cultura giuridica.
Per questo, dice Faludi, alla fine degli anni Ottanta "non era più possibile, negli Usa, guardare un film o uno spot televisivo o assistere ad un dibattito politico sulla condizione femminile, senza intuire - dietro le cifre delle statistiche e le dichiarazioni degli esperti - la manovra per screditare l'immagine della donna"; vale a dire il contrattacco. Allo stesso modo l'Italia positiva del "nuovo diritto di famiglia" (1975) di quale famiglia parla? Lo stupro da reato contro la morale diventato reato contro la persona: basta alle donne il diritto di portare l'uomo - anche il proprio uomo - in tribunale?
Oggi le riviste di moda mostrano lo stile manager per la moda delle professioniste: per fortuna molte indossano giacchine rosa e orecchini sfolgoranti; ma il suggerimento è quello di farci yuppies, con tutte le conseguenze di identificazione. In televisione facciamo le carabiniere, ma
ci sono sempre spazi in cui ragazze poco vestite fanno ala ad un signore vestito che forse ha un quoziente intellettuale inferiore a quello delle fanciulle, forse avviate ad una laurea a spese della tv. Sessant'anni fa in Parlamento le donne erano poco pi del 7 %; la passata legislatura eravamo al 9: secondo le regole della politica "unica", le proposte"di genere ubbidiscono a regole"neutre", inamovibili.
E' ben vero che per Faludi, "il vero cambiamento consiste nel fatto che le donne si sono conquistate la libertà di controllare la propria fertilità senza pericoli o timori, una libertà che a sua volta ha prodotto cambiamenti radicali non nel numero degli aborti, ma nei comportamenti e negli atteggiamenti sessuali" e "il padre biologico ha cessato gradualmente di avere l'ultima voce in capitolo". Ma basta che gli aborti siano usciti dalla clandestinità e che le donne abbiano preteso il riconoscimento legale per una sofferenza che "non libera"? o che la biologia riconosca la
maternità "a prescindere dal maschio"? Potrà significare molto, ma non la fine del patriarcato. Il maschio è certamente in crisi, tanto più che la scienza sembra certificare la sua irrilevanza nella riproduzione; ma non fa la sola cosa essenziale per un futuro di migliori relazioni umane: mettersi
in discussione. Che si tratti di patriarcato o di fratriarcato, importa poco: il contrattacco resta. Negli Usa i conservatori se la prendono con un Marte debole, sottomesso a Venere. Non scivoliamo all'indietro senza accorgercene: ci sono ragazze precarie che - una su cinque - rinunciano al lavoro (precario) per occuparsi di figli e anziani di casa: non è un bene per le società recuperare una
"famiglia-ammortizzatore a spese delle donne". A reggere alla crisi economica in vista la partecipazione femminile è necessaria. Varrebbe la pena di aprire il confronto fra cultura degli uomini e cultura delle donne, per cercare una terapia agli esiti fallimentari dei difficili tempi.

(7 maggio 2008)

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