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Il Nutritor Vesevo nel film di Sorrentino

Il Nutritor Vesevo nel film di Sorrentino

Un film sapienziale, solo all’apparenza scorrevole con tanti piani di lettura, che giustamente ha meritato a Venezia 2021 il Leone d’argento - Gran Premio della Giuria

Domenica, 19/12/2021 -

L’altra sera sono ritornata a via Montecavalvario (quante mai saranno le città che si possono consentire di avere vie con un nome siffatto?) e in molti altri luoghi a Napoli, stavo nel soggiorno di casa mia a Monaco di Baviera e sullo schermo della TV su Netflix che lo ha coprodotto scorrevano le immagini del recente film di Paolo Sorrentino e non c’è stata immagine, suono, voce che non mi abbia catturata e ricondotta là.

“Tu, mia finestra, mio cielo / io mi avvicendo a me” – recitano i versi del poeta Zanzotto, a questo pensavo guardando il film di Sorrentino È stata la mano di Dio e sono stata coinvolta, presa, catturata dal ritmo e dalle immagini, dalla loro pregnanza colta e fortemente sensoriale.

“Rio fu” scrisse pure Zanzotto, una poesia di perdita e di guadagno, in cui coesistono locus amoenus e locus horribilis e pure ad essa ho ripensato guardando quel che qui Sorrentino scrive con la macchina da presa e con le voci, le immagini, i suoni, una reminiscenza che non è solamente sua, nella quale mi sono anch’io sentita raccontata.

L’amalgama ghiaiosa, l’affacciarsi dai balconi, il chiasso delle grida festose, il giubilo per i goal di Maradona, il condividere le gesta di un Dio momentaneo (ma se si è stati Dio in quegli anni Ottanta, poi per diritto lo si diventa eternamente), luoghi all’aperto, interni di appartamenti borghesi, il mare, Massalubrense, le scorpacciate, le tante immagini che un adolescente carpisce e che lo rendono ebbro quasi lo ingozzano e la vista incombente del “Nutritor Vesevo” e delle Ginestre di cui pure se ne può intuire in questo film il giallo intenso svettante e doloroso.

E il Vesuvio che sempre occhieggia, sta lì. E noi vecchi o giovani a scorgerne il profilo. Attilio Bertolucci delle ginestre ebbe a scrivere “gioventù sacrificata sulle pendici dell’Appennino” e certo qui si tratta in questo film anche di un altro monte e di un appartamento a Roccaraso là dove avvenne un evento luttuoso e del grande dolore che ne deriva al giovane protagonista del film e nella crudele realtà al giovane Sorrentino.

In questo film le molte finestre che s’aprono sul golfo e sull’anima del giovane protagonista consentono a noi spettatori una visione con degli azzardi, una visione per diffrazione, che può abbagliare, può persino a volte farci ritrarre, ma che sa dire molto anche di noi, di quel che siamo stati, di quel che siamo e possiamo essere.

Come se il regista ci stesse dando in mano uno scottante riflettore da diecimila volt, un tempo che si fa solido, montagna, spazio, immagine, tela, sipario che si apre.

Napoli ha tante vie, ci dice questo bellissimo film, tanta acqua, tanto mare, ma manca il fiume Lete e lì non può che scorrere intatta la memoria per quanto essa sia dolorosa: eppure noi continuiamo ad anelare di essere felici, immemori che Elsa Morante scrisse “l’Eden è una condizione di pienezza non razionale, che solo gli animali conservano” e, per quanto pure noi tutti ci si possa sforzare, dovremo pure convenire che a noi esseri umani l’Eden è precluso.

Ma è davvero così? – noi tutti abbiamo un corpo compiuto che ci consente di vivere, di nasconderci, di apparire, posso assicurare che pure io da bambina abbia creduto a volte di scorgere ‘o munaciello apparirmi tra le ante di un armadio, di avere conosciuto persone un po' folli o totalmente folli e averle avute per familiari, magari esse le più capaci di sapere leggere in noi ciò di cui avevamo bisogno, di saperci magari abbeverare. Chi di noi, infatti, non ha conosciuto anch’egli una zia Patrizia, in questo film interpretato da una bravissima Luisa Ranieri?

Al giovane Fabietto Schisa (alter ego del regista da giovane) interpretato qui da un bravissimo Filippo Scotti, che ha meritato il premio Mastroianni a Venezia quest’anno, è offerto a pieni occhi di guardare la zizza dal capezzolo turgido e nero del Vesuvio e pure dell’avvenente zia che si denuda a ogni pie’ sospinto e che andrebbe subito velato secondo il giudizio degli astanti.

Chi nutre chi e a che scopo s’affidavano nell’antichità ai folli i vaticini, ai ciechi di indicare le vie, ai senza voce dire le traiettorie? E che dice veramente il dialetto, non è esso stesso iconografia, quadro, istantanea e destinato motu proprio a stare poi in un siffatto film, a rivelare?

A Napoli ci sta pure via dei Tribunali e nella Cappella del Pio Monte della Misericordia, nell’opera di Caravaggio che sta là, la figlia porge il seno al vecchio padre stremato per tenerlo in vita. Quanti e quali sono allora gli echi, le prossimità, gli sguardi che passano da un’arte ad un’altra, che nutrono un autore e che ci vengono dati mentre guardiamo questo film a metà dicembre del 2021?

E che dire della baronessa, interpretata da una valentissima Betti Pedrazzi, che s’ingegna di avviare alla sessualità il giovane orfano, con una super caverna pietosa, per restituirlo alla vita, al futuro!

E certo l’ingordigia di chi s’ingozza della zizzona di Battaglia ovvero della mozzarella di bufala non è solo della pantagruelica signora oracolante e sboccata, magari si è ingordi per, in un certo qual modo, restare a galla, guadare restando pur sempre coi piedi a toccare il fondo.

E quanto conta quel linguaggio che è il fischio che consente di ritrovarsi perfino nell’Ade e che già fu di Orfeo ed Euridice, che i magistrali Toni Servillo e Teresa Saponangelo che interpretano i genitori di Fabietto si scambiano fino alla fine tra loro!

Bravissimi gli altri interpreti, tra cui il sempre magistrale Renato Carpentieri che interpreta lo zio Alfredo e il regista Antonio Capuano (interpretato da Ciro Capano), che è stato il mentore del giovane Sorrentino a Napoli ed è nel film un Virgilio che sa anche tuffarsi, nuotare! Molto bella anche la fotografia che è di Daria D’Antonio, a volte persino algida, che fa intendere quanto a volte, pure a Napoli, può davvero fare un freddo cane.

Direi che è anche un film sapienziale, solo all’apparenza scorrevole ma tanti sono i piani di lettura e la parentela con arti vari in questo film recente di Sorrentino che giustamente ha meritato a Venezia 2021 il  Leone d’argento - Gran Premio della Giuria.

Chi ci nutre e a quale scopo fare cinema? In questo film abbiamo la risposta ed è essa data ad opera, non c’è alcun dubbio, di un autentico regista autore.

Immagine: dal film È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, 2021

 


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