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Il nuovo Protocollo Cota, una vecchia alternativa alla 194

Il nuovo Protocollo Cota, una vecchia alternativa alla 194

Dopo la sentenza del Tar che annullava il precedente Protocollo Ferrero,il 19 luglio scorso la giunta regionale piemontese approva un ulteriore protocollo, nuovamente lesivo della legge 194.

Lunedi, 25/07/2011 - La nostra soddisfazione per gli esiti della pronuncia del Tar Piemonte, che aveva dichiarato l’annullamento del Protocollo Ferrero nella parte che, in tema di consultori ex legge 194, prevedeva l’obbligo per le ASL di stipulare convenzioni solo con le associazioni che avessero avuto nel loro scopo sociale la difesa della vita fin dal suo concepimento, è durata solo 4 giorni. Tanti sono, infatti, quelli che separano la data della pronuncia del tribunale amministrativo, il 15 luglio, da quelli in cui la Giunta Cota ha approvato il nuovo Protocollo “per il miglioramento del percorso assistenziale per la donna che richiede l’interruzione volontaria di gravidanza”. Tenendo conto dei rilievi dei giudici, relativi alla mancata possibilità per le altre associazioni di volontariato di accedere ai consultori, il Presidente della Regione ha pensato di mantenere ferma la presenza delle organizzazioni che onorano il principio della difesa della vita del concepito, aggiungendone, però, altre che, iscritte in appositi albi, vantassero un’esperienza biennale di sostegno alle donne ed alle famiglie. Nell’immediatezza dell’approvazione Cota ha ribadito che “il Protocollo costituisce un atto importante per l’attuazione di quelle norme previste dalla legge 194 sul rispetto della donna e dei suoi diritti di scelta responsabile della maternità, di tutela della vita e di alternativa all’interruzione di gravidanza”. Forse ha dimenticato il Presidente che la 194 sancisce il diritto della donna a scegliere l’interruzione di gravidanza nei limiti imposti dalla stessa legge, ma in piena libertà e coscienza. Non esiste né esisterà mai alcun Protocollo che possa sostituirsi o essere alternativo alla sua decisione, a meno che non si consideri la negletta rea di essere portatrice di una scelta di morte e come tale bisognosa di essere convertita e portata sulla retta via dai volontari del Movimento della Vita, che la faranno ritornare indietro sui suoi passi facendole vedere film, diapositive e foto dell’embrione, per dimostrare che deve evitarne l’assassinio. Ma la legge 194 non prevedeva che i consultori pubblici svolgessero per la donna percorsi di accompagnamento in questo delicato momento della sua vita? Evidentemente no, a dire dei componenti della giunta regionale, perché tali rappresentanti istituzionale hanno ritenuto che suddetti centri fungessero da “abortifici” ed in quanto tali dovessero essere bypassati dai consultori privati, con cui le ASL dovranno convenzionarsi, perché gli unici a poter indurre la donna a recedere dalla sua determinazione di interrompere la gravidanza. Si mostra in tutta la sua evidenza l’ennesimo attacco alla 194 da parte di chi sembra di non avere l’onestà intellettuale di portare tale battaglia nelle opportune sedi istituzionali per approvare una nuova normativa che l’abroghi. Perché in Piemonte, in Lombardia e nel Lazio sono le giunte o i consigli regionali a deliberare sulla materia che, invece, è di spettanza statale, ammantando l’operazione con il nome di “protocollo”, “regolamento”, “convenzione”? Perché, forse, è più semplice conseguire nei rispettivi agoni politici risultati a loro favorevoli, mentre in Parlamento la battaglia, come suol dirsi, sarebbe “dura e pura”. Mi chiedo per quale motivo il Presidente Cota non sia ricorso al Consiglio di Stato contro l’annullamento del precedente protocollo ed abbia, invece, pensato di legiferare a suo modo con un atto di pura arroganza politica. Se c’è un punto di diritto sostanziale che risulta ben evidente è che non si possono consentire convenzioni con associazioni che nel loro statuto contrastino palesemente con una legge statale, com’è la 194. Potrebbero di certo esse operare all’esterno delle strutture pubbliche, semmai con convegni, iniziative informative, contatti personali, non potrebbero, però,obbligare le donne ad avere relazioni con loro in virtù di un protocollo. Se proprio vogliono entrare nei consultori si adoperino a porre in essere campagne di educazione alla prevenzione di gravidanze indesiderate, invece di rompere quel delicato equilibrio che una donna costruisce intorno a sé quando decide d’interrompere una gravidanza, perché quell’equilibrio costa, e come costa, in termini di coscienza e consapevolezza della scelta che si andrà a compiere. Un giornale on line del capoluogo regionale, Torino Today, ha così intitolato, lo scorso 19 luglio, la vicenda “Cota vince il 2° round”, e di certo se c’è un vincitore da una parte, dall’altra ci dovrà pur essere un vinto. Quel giorno chi ha perso? Forse è troppo semplice rispondere che hanno perso le donne e la loro libertà di non vedersi imposto per protocollo una gravidanza, ma, forse, è altrettanto troppo difficile trovare una risposta che dia il senso della sconfitta di istituzioni pubbliche che non dovrebbero essere usate per battaglie ideologiche e finanche ideali. Sconcerta pensare che il ventre femminile sia assimilato ad un ring, dove da un lato c’è a combattere Cota ed il Movimento per la vita e dall’altro il ginecologo e la donna che sceglie l’interruzione di gravidanza. Chi farà da arbitro sul quadrato del ring? Ci dovrebbe essere la legge, la 194, ed i suoi principi ispiratori, il cui rispetto è d’obbligo per chi ha il compito di farla applicare. Ma, a quanto pare, in Piemonte si punta a creare una legge “fai da te”, non riconosciuta come tale, con la conseguenza che la correlata anarchia renderà il ring un luogo ingovernabile di contesa ed il ventre della donna un luogo impraticabile per la sua scelta di divenire madre consapevolmente e coscientemente.

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