Intervista a Maria Rosa Cutrufelli - Le conquiste del secolo scorso attraverso una genealogia femminile
Hela Mascia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2008
Maria Rosa Cutrufelli si è già dimostrata eccellente narratrice di romanzi storici con ”La donna che visse per un sogno“ (2004) e con “La briganta” (2005) e nel suo ultimo libro ”d’amore e d’odio” (Ed Frassinelli, pag. 461, 18,00 Euro) interviene sulla storia del nostro Novecento. E’ una narratrice attenta e poetica e lo dimostra con questo romanzo singolare che supera l’insidiosa concorrenza di un genere che sta avendo un gran successo di pubblico.
Il romanzo storico coniuga raramente il desiderio di raccontare ciò che siamo stati con i fatti storici senza cadere nella tentazione di modificarli. Non è il caso del romanzo della Cutrufelli che rivisita il passato con sguardo critico ed offre una sua personale visione dei piccoli e grandi eventi umani. I periodi più contrastati del Novecento, i fatti della prima guerra mondiale, e poi il fascismo e la sua caduta, gli incerti inizi della democrazia del dopoguerra fino ai fatti a noi vicini vengono indagati attraverso le vite delle protagoniste con grande senso di comprensione femminile. Iniziamo la nostra intervista con l’autrice di “d’amore e d’odio” partendo dalla sua scelta di raccontare il secolo scorso.
Il libro inizia col racconto della vita di due sorelle nei primi decenni del secolo e prosegue con la storia delle figlie, delle nipoti e delle pronipoti, fino all’alba del Duemila… E’ una metafora per raccontare la storia della libertà femminile?
Il Novecento è stato definito ‘il secolo delle donne’. E in effetti si è aperto con le donne in posizione di ‘eterne minorenni’, sottoposte in famiglia all’autorità maritale, senza diritti di cittadinanza, e si è chiuso con l’affermazione della ‘libertà’ e della ‘forza’ femminile (anche se siamo ancora per molti versi ‘il secondo sesso’). Io ho voluto raccontare questo ‘passaggio di civiltà’, con le sue luci e le sue ombre… E ho voluto anche indagare il cambiamento avvenuto nel rapporto (privato e pubblico) tra donne e uomini, e per farlo ho utilizzato la forma del romanzo non solo perché mi è congeniale, ma perché è l’unica che permette, attraverso la messa in scena dei sentimenti, di illuminare le zone più oscure (e talvolta contraddittorie) del nostro animo. E’ questo il fascino della scrittura creativa, che ci consente di immergerci in acque proibite ad altre forme di narrazione. Insomma, il Novecento è stato un secolo ‘crudele’, di guerre e campi di concentramento, ma anche un secolo di passioni positive e noi donne l’abbiamo indubbiamente dimostrato con la nostra ‘rivoluzione’ che non prevede e non vuole spargimento di sangue. In conclusione, sì: il mio libro può essere letto anche come il romanzo della libertà femminile, con tutti i suoi slanci e le sue reticenze, i suoi dubbi e le sue appassionate affermazioni.
Delina, l’ultima delle sette protagoniste, parla di vita e di arte. Ha un particolare significato tale chiusura?
E’ vero, Delina è un personaggio a sé. Fa parte della genealogia femminile che disegno nel romanzo, ma è una figura particolare, essendo una specie di ‘figlia adottiva’. Da questa sua posizione un po’ ‘eccentrica’ rispetto alle altre protagoniste, Delina vede con maggiore chiarezza i problemi che il Novecento lascia insoluti e che rischiano di generare nuove tragedie. Forse proprio per questa sua lucidità è un personaggio che ho molto amato e a cui ho attribuito il mio stesso amore per l’arte, in tutte le sue espressioni. Delina è una fotografa e la sua ricerca di un modo ‘etico’ di affrontare l’esperienza artistica in qualche modo mi appartiene.
C’è qualcosa nella storia delle protagoniste che riconosci come ‘tuo’?
Sono nata intorno alla metà del secolo, perciò sono anch’io una donna del Novecento e ho vissuto le stesse speranze (e a volte gli stessi disinganni) delle mie ‘eroine’. Rileggendo il romanzo nella sua versione definitiva, ho però trovato una citazione che potrei sottoscrivere come mia propria. E’ Delina che parla e si rivolge ad una ragazza molto più giovane, citando la frase di un’importante filosofa del Novecento, cioè della spagnola Maria Zambrano. La Zambrano dice, pensando al rapporto con le giovani: “le radici devono avere fiducia nei fiori”. Una ‘lezione’ di ottimismo? Forse. O forse soltanto la voglia (e la necessità) di riconoscere il valore dell’esperienza femminile e di trasmetterla alle generazioni di donne che vivranno nel nuovo secolo.
Lascia un Commento