Martedi, 03/01/2023 - Era appena trascorso Natale che i riflettori dei media nazionali si sono accesi sulla triste vicenda occorsa ad una giovane coppia di italiani, costretti a rinunciare al riconoscimento del proprio figlio a causa delle loro condizioni personali. Sabrina e Michael, rispettivamente di 24 e 29 anni, sono una coppia di giovani clochard al momento senza documenti, che attualmente vivono a Milano in rifugi di fortuna, dopo essere rientrati dalla Germania a causa di un foglio di via per non meglio precisati problemi giudiziari. Il 2 dicembre Sabrina ha partorito all’ospedale di Melegnano (Mi) un bambino, che i genitori non hanno voluto dichiarare all’anagrafe come proprio figlio.
«No, non avevo pensato al nome. Che senso aveva? Tanto sapevo che non lo avrei tenuto. Come si fa a tenere un neonato in questa situazione?», queste sono state le parole della madre durante un’intervista. Sabrina, precedentemente residente in Sardegna ove era seguita dai servizi psichiatrici locali, da minorenne era ricorsa all’aborto. Ad esplicita domanda così risponde: «Ho fatto un’interruzione volontaria di gravidanza, firmò mia madre perché io ero minorenne. E pure questa volta l’avrei fatto se mi fossi accorta di essere incinta. Ma da tre anni non avevo più il ciclo, quindi non mi sono proprio resa conto».
Indubbiamente si tratta di un caso di estrema problematicità, che si inserisce nelle zone d’ombra di vite borderline, schiacciate dal clima di indifferenza, se non ostilità, nei riguardi di esseri umani cancellati dal novero delle persone titolari di diritti. Le cronache se ne sono incuriosite perché c’è di mezzo un neonato che i genitori non hanno voluto riconoscere, altrimenti della vita di Sabrina e Michel nessuno si sarebbe interessato. Una giovane madre, addirittura clochard, acconsenziente all’adozione del proprio figlio, è un boccone ghiotto per i giornali, che non sono andati al di là delle parole della giovane, senza conseguentemente informare i lettori su come i servizi sociali milanesi si fossero posti nei confronti di una donna prossima al parto che dormiva all’addiaccio.
Sennonché questa particolare storia è stata ripresa dalla ministra delle Pari Opportunità Eugenia Roccella, nel passato sia sottosegretaria alla Salute che al Welfare, che in un post su Facebook ha così esternato il proprio pensiero: “Non possiamo avere la certezza che in condizioni diverse Sabrina avrebbe tenuto il bambino, sappiamo però che queste sono le motivazioni addotte. E sappiamo che sono tante le Sabrina che rinunciano alla maternità per ragioni economiche. Non si dica che serve una legge, perché la legge c’è. E’ la 194, e andrebbe soltanto attuata. Perché anche tanti che a parole la difendono poi non la mettono in pratica nella sua interezza.”.
Non si riesce a comprendere come possa esservi un nesso tra la vicenda di vita di Sabrina, Michel ed il loro bambino con la legge 194, visto che la donna ha portato a termine la gravidanza non facendosene attribuire la maternità e conseguentemente determinando le condizioni per la correlata dichiarazione di adottabilità del bambino. Richiamare la legge 194 appare palesemente strumentale anche laddove si faccia riferimento al prologo di tale legge, che all’articolo 1 così recita: “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”, visto che Sabrina non si è neppure resa conto inizialmente di essere incinta e nel prosieguo del suo stato pare che abbia trovato l’assenza totale delle istituzioni competenti ad affiancarla nella sua particolare condizione.
Istituzioni che non dovevano essere i consultori, previsti dall’articolo 2 della legge 194, bensì i servizi sociali del comune dove essi stanziavano, deputati a risolvere nell’immediatezza i problemi che affliggevano la giovane coppia, quali, ad esempio, la mancanza di documenti e di soluzioni abitative. Solo successivamente Sabrina avrebbe potuto accedere alle strutture consultoriali che, come prevede il suindicato articolo, avrebbero dovuto “informarla sui diritti a lei garantiti dalla legge e sui servizi di cui può usufruire; informarla sui diritti delle gestanti in materia laborale; suggerire agli enti locali soluzioni a maternità che creino problemi”. Con un’azione sinergica istituzionale si sarebbe potuto evitare che il figlio di Sabrina e Michel non fosse riconosciuto per le evidenti difficoltà economiche della coppia, che rifiuta addirittura di alloggiare nei dormitori per non essere separata.
Come la ministra Roccella abbia potuto affermare che Sabrina abbia rinunciato alla maternità per quelle stesse ragioni economiche che indurrebbero una donna ad interrompere una gravidanza, collegandosi così alla legge 194, non è dato sapere visto che la protagonista di questa vicenda la gravidanza l’ha portata a termine. Se, invece, la titolare del dicastero delle Pari Opportunità voleva promuovere tale legge nella sua prima parte, a tutela delle donne intenzionate a farsi aiutare nel superamento degli impedimenti ostativi alla prosecuzione della gestazione, ha sbagliato la storia di riferimento, perché Sabrina non poteva neppure accedere ai consultori, in quanto priva di documenti. Evidentemente alla ministra occorreva uno spunto per rimarcare che la 194 è anche volta a tutelare socialmente la maternità, quando invece se ne tratta, a suo dire, solo con riferimento all’interruzione di gravidanza.
Ma se così fosse, piuttosto che riferirsi a storie sbagliate per scrivere post apparentemente illogici, dovrebbe attivarsi per il potenziamento dei consultori, in modo tale che siano non solo presidi sanitari, ma anche dei punti di riferimento nella prevenzione, nelle difficoltà familiari o nel contrasto del disagio psicologico. “Proprio per questa loro natura ibrida, i consultori sono stati penalizzati dalle riforme sanitarie degli anni novanta, che hanno imposto una visione aziendalistica e centralizzata della sanità, in contraddizione con l’idea di una cura accessibile e fisicamente presente sul territorio. Il declino dei consultori è dovuto anche allo scarso interesse da parte del ministero della salute nel loro potenziamento. Dal 1975 a oggi, i fondi per lo sviluppo dei consultori sono stati stanziati solo tre volte: nel 1996 con una legge sulla sanità e nel 2007 e 2008, ma solo per progetti specifici” Jennifer Guerra, L’Essenziale).
La ministra Roccella conclude il suo post scrivendo che rendere applicabile la legge 194 nella sua interezza, ossia anche nella parte relativa alla tutela sociale della maternità, “ E’ anche un problema di libertà femminile”. Sarebbe preferibile che invece di invocare parole ridondanti come libertà, per accattivarsi populisticamente il consenso degli utenti dei social, non si presti ad operazioni dal carattere apparentemente strumentali. Usare la storia di Sabrina, Michel ed il loro bimbo per uno spot ideologico non farebbe onore al suo ruolo istituzionale, che appunto perché tale deve essere svolto nell’interessi di tutte e tutti. Anche di due poveri clochard che avrebbero diritto ad essere trattati dignitosamente e non usati per strumentalizzazioni di ogni sorta, come quella che li ha visti accostare con la loro drammatica storia alla legge 194.
Lascia un Commento