8 MARZO AL TEMPO DELLE CRISI/4 - Il femminismo occidentale si è uniformato alla visione economicista, è diventato autoreferenziale e ha perso di vista i diritti globali. Spiegano perché Marina Gori e Radhia Khalfallah di Casa Africa
Marta Mariani Sabato, 28/02/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2015
Casa Africa si affaccia su un continente davvero complesso, guarda e tutela gli interessi di molte etnie, ha un'ottica necessariamente multiculturale e interreligiosa, associazionista prima ancora che femminista. A Marina Gori e Radhia Khalfallah abbiamo chiesto di spiegarci come vedono, dal loro punto di vista, l'8 marzo.
“In molti paesi africani e in alcuni paesi arabi viene dedicata alla donna, in date diverse, una giornata che celebra episodi significativi delle battaglie femminili ed è l’occasione per fare un bilancio dei progressi fatti, mobilitarsi per rivendicare nuovi diritti e denunciare le discriminazioni ancora subite. In Sud Africa il 9 agosto si commemora la mobilitazione con cui nel 1956, in pieno apartheid rischiando la vita, 20mila donne si radunarono davanti la sede del governo per protestare contro l’imposizione dei ‘pass’. La giornata della donna viene celebrata in Tunisia il 13 agosto. In tale giorno, nel 2012, migliaia di donne si riversarono nelle strade di Tunisi per chiedere l’immediato ritiro della norma inserita nel progetto di riforma della costituzione che voleva cancellare il principio di parità tra i sessi riducendo la donna a semplice complemento dell’uomo nell’ambito della famiglia e della società.
In Marocco la giornata della donna si celebra il 10 ottobre, in Gabon il 17 aprile, in Niger il 13 maggio. Mentre si celebra l’8 marzo in Senegal (dove è festa nazionale), in Congo, in Burkina Faso (dove, dal 1984, è stata proclamata festa nazionale per decisione del compianto presidente Thomas Sankara), in Algeria e in Camerun, dove la giornata viene vissuta come una grande mobilitazione delle donne in tutto il paese, dalle campagne alla capitale.
Una curiosità: in Iran il 19 aprile dello scorso anno la moglie del presidente Rouhani volle celebrare una giornata della donna organizzando una cena tutta al femminile nel giorno dell'anniversario della nascita di Fatima, figlia del Profeta Maometto. L’iniziativa fu fortemente criticata come immorale dal deputato ultraconservatore Ruhollah Hosseinian che venne perciò sbeffeggiato sui social network da numerosi internauti.
Nel 1974 durante la Conferenza di Dakar dell’Organizzazione delle Donne Africane, organizzazione fondata in Tanzania nel 1962, venne designato il 31 luglio come “giornata della donna africana” (African Day Women).
Quanto detto prova come sia sentita dalle donne di tutto il mondo l’esigenza di disporre di una giornata in cui incontrarsi, confrontarsi per fare il punto dei progressi fatti e delle rivendicazioni ancora da portare avanti. Una giornata in cui scendere in piazza per far sentire la propria voce coinvolgendo così anche il mondo maschile. Il fatto che ciò avvenga in date diverse può essere il segnale di perduranti contrapposizioni che stentano a ritrovare quei punti unificanti e universali di cui abbiamo parlato sopra e che dovrebbero orientare tutte le battaglie femminili. Contrapposizioni che a volte traggono origine da una subordinazione ideologica delle donne alla cultura maschile. La giornata della donna dovrebbe essere veramente internazionale, unificante e, si aggiunga, scevra da condizionamenti commerciali.
Secondo voi l'ottica femminista occidentale sta dimenticando di combattere delle battaglie più urgenti e più "globali"?
Ci sembra che il femminismo occidentale si sia uniformato alla visione economicista e utilitarista del sistema neoliberista che si è andato affermando in Europa e negli Stati Uniti e ai modelli culturali su cui questo sistema poggia. È così diventato autoreferenziale e si è chiuso in se stesso perché ha perso di vista quei progetti politici a vasto raggio per una strategia globale dei diritti umani fondati sull’eguaglianza e sulla tutela dei diritti dei più vulnerabili di cui abbiamo parlato sopra. Il fatto di riappropriarsi di questi valori significa per le donne valorizzare la propria diversità e far valere la propria capacità (empowerment) di contribuire ad una diversa organizzazione dei rapporti sociali. Versione integrale in www.noidonne.org
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