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Il mondo capovolto

Il mondo capovolto

Serena Maffía - "solo bucando la realtà, entrando cioè dentro le cose nel loro rapporto con l’umano attraverso l’occhio profondo e il cuore aperto del poeta, ci si può avvicinare al mistero dell’esistenza e del divino"

Benassi Luca Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2007

A leggere le notizie biografiche di Serena Maffìa sembra di trovarsi di fronte ad una enfant prodige: nata nel 1979 è pittrice, giornalista, direttore responsabile della rivista di poesia Polimnia; ha pubblicato “Ma che bella Compagnia” (Maria Pacini Fazzi, 2002), “Lezioni di Fotografia” (Lepisma, 2003), “La casa di gesso” (Croce, 2004), “Il ragazzo di vetro” (Maria Pacini Fazzi, 2005), “Il giardino del mago” (Lepisma, 2005) e “Sradicherei l’albero intero” (Lepisma 2006). A soli ventisei anni è Premio della Cultura Italiana del Consiglio dei Ministri. Eppure a guardare questa giovane artista negli occhi colpisce la semplicità e il riserbo, ormai così rari in un ambiente culturale e artistico che ha ceduto alle lusinghe dell’immagine, all’arroganza del voler apparire ad ogni costo. Serena Maffìa, così restia a parlare di sé e a farsi pubblicità, affronta l’arte con il pudore di chi si accosta a un oggetto prezioso per la cui cura ci vuole un silenzioso e lungo tirocinio. Non c’è alcun dubbio che tale approccio paziente le abbia assicurato una scrittura personale, uno stile che si avvia veloce ad una maturità poetica in grado di colpire e fare scuola.
Serena Maffìa imposta la sua poesia in forma dialogica, adottando una lingua piana e colloquiale; non scende mai nel minimalismo ma ripulisce il linguaggio rendendolo solare, cristallino, bello in quanto semplice e poeticamente efficace. Esso si stende sulla pagina in testi che paiono brevi pièces teatrali e nei quali la poetessa dialoga con gli altri personaggi, con il lettore, con gli oggetti del quotidiano e con la natura che si animano in una dimensione che ricorda la fiaba. Nella prefazione a “Sradicherei l’albero intero” Vera Franci Riggio scrive: “Nella scrittura di questa autrice il motivo delle fiabe è centrale, determinante e chiarificatore nel suo valore simbolico. La fiaba è un modo per teatralizzare la vita e, oggettivandola in un modo fantastico, meglio capirne le dinamiche segrete e spesso crudeli. Ecco allora nelle sue pagine affacciarsi ripetutamente, anche se non esplicitamente: maghi, fate, streghe e sirene; ma soprattutto Alice […].” Il mondo di Serena Maffìa è un mondo capovolto come quello di Alice dentro lo specchio: solo bucando la realtà, entrando cioè dentro le cose nel loro rapporto con l’umano attraverso l’occhio profondo e il cuore aperto del poeta, ci si può avvicinare al mistero dell’esistenza e del divino. Ecco perché la poetessa, trovandosi al posto dell’Eva biblica, non si accontenterebbe di mordere la mela ma vorrebbe sradicare e mangiarsi l’albero intero, capire cioè da dove viene la linfa della vita e dove arrivano le radici misteriose dell’amore e del dolore, “avara delle radici di Adamo/ complice il mio respiro”. Serena Maffìa impasta la scrittura oltre che con il teatro anche con la pittura: ne vengono fuori delle immagini colorate, azzurre e rosse, dai toni fiabeschi come la pittura di Chagall o dall’atmosfera rarefatta e immobile come certi quadri di De Chirico. In esse le parole assumono il valore di pennellate, la poetessa lavora sulle sillabe, sui suoni delle singole lettere per ampliare lo spettro del cromatismo. Ne viene fuori un gesto preciso, netto, dove il cielo è “una battaglia di spatolate blu” e dove il sole, il mare e il vento giocano a rincorrersi dentro la parola poetica. I testi qui pubblicati sono tratti da “Sradicherei l’albero intero”.
Sulla strada

A cosa serve scrivere nel buio?
A guardare il mio riflesso
invecchiare sui vetri della finestra.
Aiuto.
Ho bisogno di bere acqua salata
e spalmare minestra di fave sulle tue spalle lisce
già scappi
e mi hai amata veloce.
La tenda carezza il mio gomito ossuto nel vuoto
traballa in un mare di onde sorde
ed io seguo i tuoi passi dal letto
distesa di sbieco ti guardo
non parlo, ti ascolto.
Apri la porta alla falena che danza la
morte sulla maniglia di lega
soffoco
sono un carro di spine che avanza
sulla strada perpetua.


Chiacchiere

Chiacchiere amiche
di vecchie in bretelle
chiacchiere serie
di amiche bugiarde in gonnella:
donne di paglia
con i grembiuli cuciti alle vesti
con i capelli legati di nero;
una piazza di pietra si apre alle spalle
ed un cielo di mare soverchia le teste:
l’aria è bianca.


Confusa

Vedo il riflesso di me sui finestrini del tram.
Di fuori il cielo è grigio
con gli ultimi raggi di sole s’impasta alle
pecorelle di nuvole che belano la loro dignità.
Dentro è già notte
e il signore con l’abito bigio mi guarda pensoso
ma non mi vede
mentre l’uomo che legge il giornale
mi sfoglia.
La ragazza che allatta il bambino
ha una stella nell’occhio
la sua mano mi sfiora la borsa
e con gesto sicuro
mi sfila il superfluo.
Sono libera:
né soldi né identità;
e sono confusa:
sono la sola che lo sa.


La rossa

La rossa spalanca gli occhi
se ti avvicini troppo.
La rossa è una farfalla seria
una fera fiera
quando caccia ed è cacciata.
Ed è più bella
quando è stanca di essere ammirata.
La rossa si diverte a danzare stando sdraiata
agita il ventre
ed Erode cade.

(2 febbraio 2007)

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