Aleksandra Kollontaj - Il matrimonio, la famiglia e la nuova morale sentimentale e sessuale secondo una visione che fu tradita dalla scelta del “socialismo in un solo paese”
Cristina Carpinelli Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2007
Quasi tutti i libri che parlano di Aleksandra Kollontaj puntano l’attenzione sulla combinazione originale di socialismo e femminismo e come sia proprio questa combinazione la chiave di comprensione del pensiero della rivoluzionaria riguardo al matrimonio, la famiglia e la nuova morale sentimentale e sessuale.
All’indomani della Rivoluzione russa del 1917, abolita ogni differenza di ceti e categorie sociali, trasformata l’economia nazionale in senso socialista, ricondotti gli uomini all’idea collettiva della costruzione sociale, semplificati di conseguenza i rapporti di convivenza civile, l’affectio maritalis resta l’unico fondamento del matrimonio. Quando mancano motivi d’interesse economico o di convenienza sociale, in una società nella quale tutti hanno lo stesso status, la convivenza tra uomo e donna, afferma la Kollontaj, sarà unicamente determinata dall’amore. Nella società socialista tutti gli oneri familiari saranno assunti dallo Stato, e la potente forza innovatrice del proletariato ribalterà gli schemi borghesi così come la morale puritana del terzo Stato aveva soppiantato le norme della nobiltà feudale. Il matrimonio, da contratto di tipo economico, diventerà un’unione puramente morale, e la morale do¬minante sarà quella che matura in seno alla classe che i rapporti di produzione dell’epoca rafforzano: “Non si può negare l’evi¬denza: la fa¬mi¬glia vecchio stampo ha fatto il suo tempo e sta tramontando, non perché lo Stato la distrugga, ma perché ha cessato di avere una funzione. In luogo del rapporto tradizionale fra uomo e donna, nasce un nuovo modello di unione basata sull’affetto e sulla solidarietà fra due uguali appartenenti alla società comu¬nista, liberi entrambi, entrambi indipendenti, entrambi lavoratori”.
Le teorie della Kollontaj si spingono oltre le intenzioni del partito bolscevico al potere, prefigurando il declino della famiglia come cellula base della società: “La famiglia ha cessato di avere qualsiasi ruolo progressivo. Essa non può più costituire in nessun modo un nucleo della nuova società”. Fra i fattori che caratterizzano la produzione mercantile e di conseguenza il matrimonio monogamico, i più determinanti sono l’esistenza della proprietà privata e il modo di trasmettere il patrimonio. Nella società borghese la famiglia esiste per via della necessità di conservare e di trasmettere i beni di proprietà privata. Con la trasformazione dei modi e dei rapporti di produzione, essa non ha più necessità di esistere. I doveri dei genitori verso i figli spariranno e la società finirà per assumerne l’onere totale: “La vecchia famiglia non è in condizione di allevare l’indi¬viduo nuovo. Sa¬ranno gli asili, gli istituti e gli altri centri dove il bambino trascorrerà la maggior parte della sua giornata, sotto la supervisione di personale qua¬lificato, ad offrirgli l’am¬biente in cui crescere da comunista consapevole, che riconosce il bisogno della solidarietà fra i compagni, del reciproco aiuto e della dedizione alla collettività”. Anche il lavoro domestico sarà soppiantato dalle strutture pubbliche, che si prenderanno cura di quei compiti svolti da sempre dalle donne: “In luogo della donna che pulisce il proprio alloggio, la società comunista si può avvalere di manodopera che va di casa in casa a fare le pulizie. Alla donna che oggi si affanna tra le pento¬le la società comu¬nista offrirà mense comunitarie. La lavora¬trice non sarà più costretta a spez¬zarsi le reni sulla tinozza. Non avrà che da portare la biancheria alle lavanderie col¬lettive, e ritirarla poi lavata e stirata. Liberandola dalla schiavitù domestica, il comunismo rende la vita della donna più ricca e felice”. La divisione del lavoro, sancita dalla proprietà privata, ha sempre comportato una reale di¬scriminazione sessuale. Ma lo sviluppo delle forze produttive, la crescente meccanizzazione e la spersonalizzazione del processo lavo¬rativo, porteranno alla sua definitiva abolizione: “Ai tempi delle nostre nonne i lavori domestici erano necessari e utili, perché as¬sicuravano il benessere della famiglia. Quanto più labo¬riosa era la donna, tanto più prosperava la famiglia del contadino e dell’artigiano. Con l’avven¬to del lavoro salariato femminile, l’economia familiare ha visto gradual¬mente sparire tutte quelle attività domestiche senza le quali le nostre nonne non avrebbero potuto conce¬pire una famiglia. Oggi è il lavoro collettivo degli operai e del¬le operaie nelle fabbriche a produrre ciò che una volta era provvisto dall’eco¬nomia fa¬miliare. La famiglia non produce più, consuma soltanto. Il la¬voro dome¬stico si è ridotto alle pulizie e al cucinare. Non solo, esso non ha alcun valore per l’economia dello Stato e della comunità, perché non crea ricchezza, né contribuisce alla prosperità del paese. Diventando impro¬dut¬tivo, il lavoro dome¬stico perde progressivamente d’utilità, è in via d’estin¬zione nella sua forma individualistica e cede il passo alle strutture collettive”.
La battaglia per l’emancipazione della donna è intesa dalla Kollontaj anche come momento di profondo rinnovamento del costume e della morale sentimentale e sessuale. In sintonia con il suo pensiero sul matrimonio e la famiglia, ella intende l’amore come “fonte di attrazione, sensibilità, simpatia e altruismo che unisce due individui e, più in generale, l’individuo e la collettività: “L’amore è fittamente intessuto di passione, amicizia, tenerezza, entusiasmi, reciproca simpatia, ammirazione e familiarità. E’ un sentimento che unisce e quindi ha carattere organizzativo”. Se nel sistema sociale borghese l’amore è arido, è un “Eros senz’ali”, poiché per millenni una cultura fondata sull’istituto della proprietà ha inculcato negli uomini la convinzione che amore e proprietà fossero legati, nella società proletaria esso si riappropria delle sue ali e vola verso orizzonti fino ad ora sconosciuti, dove la felicità è raggiungibile a condizione che cessi lo sfruttamento, il senso del possesso e l’egoismo, e che la sua forza trascenda il rapporto di coppia per raggiungere la pienezza in una prospettiva d’integrale liberazione umana: “L’Eros senz’ali va contro gli interessi della classe operaia, poiché inaridisce gli animi e ostacola l’affermarsi dei vincoli spirituali e dei sentimenti positivi. Scopo dell’ideologia proletaria, non affetta dal morbo della proprietà privata, è quello di sviluppare le qualità interiori proprie dell’Eros alato, necessarie a costruire una nuova cultura non solo in relazione alla persona amata ma anche verso tutta la collettività”. Il suo è, dunque, un ideale d’amore libero e spontaneo, che nella sua essenza è anche “cameratesco”.
Le tesi d’avanguardia di A. Kollontaj presentano, tuttavia, dei limiti. Esse non fanno innanzi tutto i conti con il problema storico dell’arretratezza russa: prima della rivoluzione, l’80% del paese semifeudale e patriarcale era contadino, con la relativa cultura. Risentono, inoltre, di un certo determinismo economico e di classe: “La famiglia, il matrimonio e la morale sono categorie storiche, che si sviluppano secondo i rapporti economici esistenti in una data epoca, e sono soggette come le altre sovrastrutture a mutare man mano che si modifica il modo di produzione. (…) Ogni fase storica è necessaria per l’affermazione della successiva che si colloca ad uno stadio di sviluppo superiore”. Tale determinismo spingerà la Kollontaj del primo periodo verso il messianismo rivoluzionario, verso cioè l’attesa fiduciosa del dileguare del matrimonio e della famiglia e, più in generale, dello Stato e del diritto, nell’ottica di un internazionalismo proletario (l’idea di una possibile rivoluzione mondiale) e di un universalismo astratto, che si presenta nella sua incontaminata purezza, poiché non media e non s’intreccia con le particolarità (famiglia, nazione, legge). Sarà proprio il culto dell’universalismo astratto e dell’utopia esaltata a gridare al “tradimento”, quando l’immaturità delle condizioni oggettive, il realismo politico e il calcolo dei rapporti di forza detteranno la scelta del “socialismo in un solo paese” e della non estinzione dello Stato, del diritto e della famiglia nella Russia dei Soviet.
(9 marzo 2007)
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