Giovedi, 23/01/2025 - Sarà al cinema dal 23 gennaio il film Il mio giardino persiano, presentato in concorso alla Berlinale 2024.
La pellicola, ambientata a Teheran, racconta la quotidianità della vedova Mahin.
La vediamo prima difendere dalla polizia morale le ragazze al parco, accusate di avere delle ciocche di capelli fuori dall’hijab, e poi aprirsi all’incontro col tassista Faramarz.
La vediamo amica affettuosa, madre paziente, ballerina seducente, con una spontaneità che travolge, nonostante l’età avanzata.
La vediamo splendere, grazie all’amore che custodisce nell’animo, che elargisce a chiunque le si avvicini, senza chiedere nulla in cambio.
La vediamo risorgere alla vita durante una cena galante, seppur rinchiusa tra le mura della sua abitazione, poiché al di fuori di esse non potrebbe farlo, in una città in cui le donne sono sottomesse, controllate, ostacolate.
E con lei lo spettatore ride, si commuove, ritorna a sperare, in questo piccolo capolavoro iraniano che è un inno alle donne e al loro valore, ambientato in un paese che sembra, invece, non tenerne conto.
“La pre-produzione del film è cominciata tre mesi prima dell’inizio del movimento Donna, Vita e Libertà” raccontano gli sceneggiatori e registi iraniani Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha. “Eravamo all’inizio delle riprese quando Mehsa Gina Amini fu uccisa. La nostra troupe era sotto shock e non è stato facile continuare a lavorare nello stato d’animo in cui ci trovavamo.”
“Alle donne iraniane non è mai stato permesso di avere le loro vite reali raccontate sullo schermo, quelle vite reali che le raffigurano come sono nelle loro case. Questa volta abbiamo deciso di oltrepassare i confini di ciò che è permesso. E accettiamo le conseguenze di questa scelta”, dichiarano fieramente.
'Il mio giardino persiano' è, infatti, un film di denuncia: la protagonista settantenne racconta come sia difficile ottenere il visto per uscire dall’Iran, persino per andare a trovare i suoi figli, e quanto sia piacevole per lei ballare – anche se deve farlo dentro casa.
E, allo stesso tempo, è un film equilibrato, soprattutto nelle scene di interni, in cui la camera si muove con delicatezza e ci fa riscoprire piccole gioie come la musica, il vino, la compagnia umana.
Proprio mostrando la semplicità della felicità, i registi creano empatia e trasmettono al pubblico lo stato d’animo di chi si trova costretto ad accettare restrizioni penose e insensate.
E mentre la protagonista riempie la sua solitudine con l’altruismo, il film ricorda a ciascuno di noi l’importanza di lottare per la tutela dei nostri valori, primo fra tutti la libertà, difendendola ad ogni costo e cercandola instancabilmente, proprio come fa Mahin.
Lascia un Commento