Immigrazione - Una bella storia di immigrazione. E non solo
Anna Pellicciari Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2008
Abitiamo in questo condominio ormai da trenta anni,prima c’erano anche i miei figli,ora vivono in appartamenti loro e qui siamo rimasti io e mio marito.
Eravamo tutti proprietari,non ci sono mai stati problemi,c’era Martinelli che passava a prendere i soldi della luce delle scale ,teneva in ordine il cortile,ci avvertiva quando c’erano lavori di manutenzione e cantava l’opera mentre puliva le scale. Mi manca Martinelli,ora vive con i figli.
Al terzo piano sopra al mio appartamento ci abitava una coppia di anziani ,poi lei si e ammalata e sono andati a vivere vicino al figlio. Hanno venduto l’appartamento ma è successo tutto in cosi poco tempo e senza mettere al corrente gli altri condomini che e stata un po’ una sorpresa per tutti.
Vedevamo gente che veniva a vedere l’appartamento e ci siamo un po’ preoccupati perché venivano molti extracomunitari in particolare pakistani e la frase ricorrente nel condominio era:“ma speriamo proprio che non ci vengano ad abitare dei pakistani!” e cosi avvenne.
Erano 7 o 8 ragazzi,tutti maschi che quando ci incontravano salutavano sempre,ma che facevamo fatica a riconoscere,un po’ per i nomi,un po’ perché alcuni non parlavano l’italiano, un po’ perché ogni tanto ne veniva uno nuovo e un po’ perché forse non ci importava poi tanto di conoscerli meglio. Mio marito che nel frattempo aveva preso l’incarico che era prima di Martinelli li metteva al corrente delle regole del condominio ,gli diceva dove mettere biciclette e motorini,di non lasciare
aperto il garage,come dividere il pattume,di non buttare i mozziconi sul marciapiede e queste cose erano da ripetere più volte perché i ragazzi rispondevano gentilmente “sì grazie” ma poi facevano esattamente come prima. Per quanto mi riguarda ,il fatto di avere due figli maschi deve aver sollecitato il mio istinto materno perché a qualcuno di loro ho detto che se avevano bisogno potevano contare su di me,infatti cominciarono a chiedere piccoli favori come cucire un pantalone, un analgesico per un mal di denti o compilare un modulo di malattia insomma piccole cose che mi faceva piacere fare,anche perché io penso che offrire solidarietà e aiuto sia utile a chi lo riceve e a chi lo offre. Una sera sento bussare alla porta,chiedo chi è e lui risponde: sono Amjad, io apro la porta e lui dice:ciao mamma stai bene? Sì sto bene ,vuoi entrare?no torno adesso dal lavoro e volevo solo sapere come stavi ,gli dico:grazie sei gentile e ci salutiamo.
Amjad lavorava presso un contadino a Soliera, partiva al mattino alle sei in bicicletta e tornava alle diciannove,era irregolare quindi penso che non guadagnasse tanto però lui era contento perché il contadino lo trattava bene. Tutte le sere aveva preso l’abitudine di bussare e salutare e se arrivava a casa tardi da lavorare,veniva giù dopo cena, spesso mi portava dei cibi che cucinava lui,io gli facevo assaggiare i miei ma lui si fidava poco anche se lo rassicuravo sugli ingredienti che c’erano
dentro. A volte mi portava della frutta che raccoglieva in campagna,una sera dopo il lavoro si era fermato a raccogliere delle ciliegie per portarmele,a me le ciliegie piacciono moltissimo e lo ringraziai calorosamente,dopo alcuni giorni arrivò, una sera,con due vasi di marmellata di ciliegie, mi disse che la moglie del contadino aveva fatto la marmellata e lui pensando che mi avrebbe fatto piacere glieli aveva chiesti e mi aveva fatto veramente molto piacere ma mi ha fatto anche riflettere
e cadere qualche preconcetto. Nell’appartamento Amjad ci viveva con due fratelli e un cugino che erano quelli con i quali avevo più rapporti,gli altri li conoscevo meno. Non avevano il telefono fisso perciò prendeva le schede prepagate e telefonava in Pakistan dal mio telefono,faceva lunghe telefonate e quando aveva finito mi raccontava della sua famiglia, di sua mamma che aveva problemi di salute,della sua casa,di come viveva al suo paese,a lui faceva piacere raccontare ma anche io ero molto interessata e molto curiosa e facevo molte domande, all’inizio con una certa
cautela poi sempre più decisa perché sentivo in Amjad una grande disponibilità al confronto, spesso mi chiedeva consigli,voleva sapere cosa ne pensavo io di un certo argomento e anche se era molto legato alla sua cultura e alle sue tradizioni era anche aperto al cambiamento.
Le discussioni più animate erano quelle sulla religione,io a volte quando sentivo come in nome della religione veniva considerata la donna mi arrabbiavo e lui mi diceva:no mamma non arrabbiarti,noi parliamo e io parlo con te perché così capisco e imparo. Ci raccontava che in Pakistan quando vengono ospiti maschi a casa,le donne devono andare in un’altra stanza ,allora quando Amjad bussava, mio marito apriva la porta e diceva:Anna corri a nasconderti che c’è un ospite e lui rideva.
Mi ricordo che quando era in casa mia e sentiva che i suoi amici facevano rumore si scusava per loro e diceva: io glielo dico sempre di fare piano,un’altra volta mio marito gli ha detto che trovava la cenere delle sigarette sulle scale ,io allora ho proposto di fare un cartello per chiedere ai condomini di fare attenzione anche se sapevamo benissimo che erano loro e lui dice: tu lo fai in italiano e io lo faccio in arabo,la cenere la trovavamo ancora ma i due cartelli erano molto decorativi. Era importante questa sinergia perché cercavamo insieme di trovare la soluzione più efficace. Una sera mi disse che a Soliera c’era una ragazza che gli piaceva ,era di origine Polacca e faceva la badante presso una famiglia,tutti i giorni nella pausa pranzo lui andava a trovarla.
Passò un po’ di tempo e una domenica pomeriggio la portò per farmela conoscere,Dora questo è il suo nome era una ragazza allegra ,parlava molto era curiosa di tutto e con Amjad scherzavano e ridevano sempre, lui era affettuosissimo con lei anche più di molti uomini che io conosco. Io mi aspettavo sviluppi positivi a breve e quando glielo chiesi mi disse:sì io voglio sposarla ma prima devo avere il consenso di mio padre e quando telefonava anche se non capivo la sua lingua, sentivo
che ci stava lavorando bene. Poi finalmente una sera, finita la telefonata,aveva gli occhi che gli brillavano mi disse che gli avevano dato il permesso di sposare Dora.
Nel frattempo Ashif uno dei fratelli di Amjad sarebbe andato in Pakistan per sposarsi con la ragazza che i suoi parenti gli avevano destinato da tempo.
Quando tornò aveva la cassetta del matrimonio,me la diede da guardare ed ero anche piuttosto curiosa ,innanzitutto di vedere il rito e come si svolgeva la cerimonia e anche di vedere la sposa ma dopo un’ora ancora dovevo vederla,finì la cassetta e passò sullo schermo un ‘immagine fissa di una ragazza giovanissima e siccome era l’unico viso di donna che avevo visto intuii che doveva essere lei. Da allora Ashif credo sia tornato una volta in Pakistan e io penso spesso a quella ragazza che vive con gli suoceri senza sapere se e quando avrà un futuro con suo marito . Ho chiesto ad Ashif che senso ha sposare una donna per poi non viverci assieme e gli ho chiesto anche se aveva intenzione di farla venire in Italia dal momento che lui ha intenzione di vivere qui e lui mi ha risposto che non la farà venire perché prenderebbe le abitudini delle donne italiane e questo non va bene.
Tornando ai nostri due colombi avevano sì intenzione di sposarsi ma siccome nessuno dei due aveva i documenti regolari si sposarono con il rito mussulmano, al ritorno della cerimonia festeggiarono in casa e ci portarono i pasticcini. Dora lasciò il lavoro a Soliera e venne a vivere con lui.
Dal momento che io sono in pensione ci facevamo molta compagnia, a volte andavamo insieme al mercato,Amjad ci salutava dal terrazzo e diceva:Dora sai che devi tornare presto, allora io gli dicevo: può essere che torniamo presto ma può anche essere che torniamo tardi e lui:no, no mamma tu non la devi abituare male ma in realtà Dora usciva anche da sola.
Avevo cercato di far capire a lui che Dora non era abituata a stare sempre in casa e perciò doveva lasciarle una certa libertà. I primi tempi quando usciva si copriva il capo e vestiva abiti orientali ma credo che li trovasse scomodi perchè tendeva sempre più a vestire occidentale e ora veste così.
Avevano preso l’abitudine di venire giù da me dopo cena , una sera vedevo che facevano sorrisini e si guardavano, gli chiesi cosa avessero e lui mi dice :te lo dice lei, e lei:no te lo dice lui, alla fine mi hanno detto che aspettavano un bambino,non scorderò mai con quanta tenerezza Amjad mi ha detto questa cosa.
Con l’allargarsi della famiglia decisero di cercare un altro appartamento dove andare ad abitare, quando ne hanno visto uno che gli piaceva mi hanno chiesto se andavo con loro per aiutarli a capire meglio le condizioni di affitto e se erano eque e alla fine hanno cambiato casa.
Da quando non abitavano più qui ci vedevamo meno ma eravamo sempre in contatto,qualche volta venivano loro a trovarci e qualche volta andavamo noi e ci sentivamo per telefono. Una mattina Dora mi telefona che ha le doglie in anticipo sul previsto, gli dico di farsi portare all’ospedale che io corro a comprargli un po’ di cose per vestirlo, quando arrivo in maternità era già nato Fabian , questo è successo nel dicembre 2006.
Nel settembre dell’anno scorso vengono a trovarci dicendo che devono chiederci un favore, se è possibile volentieri abbiamo detto noi e alla fine ci hanno chiesto se volevamo essere i loro testimoni di nozze perché ora avevano tutti i documenti in regola e volevano sposarsi con il rito civile secondo la legge italiana inoltre Dora aspettava il secondo bambino . Sono stata subito felice per loro e anche per me perché il fatto che ci chiedessero questa cosa mi confermava che tra noi si era stabilito un rapporto importante,quindi gli abbiamo detto che con piacere gli avremmo fatto da testimoni e subito dopo gli ho chiesto: ma avete intenzione di continuare con questo ritmo o pensate che due figli bastano? Mi hanno risposto che bastano. In ottobre dell’anno scorso si sono sposati, la cerimonia l’ha officiata il Sindaco, io mi sono commossa e alla sera siamo andati al ristorante.
Nella stessa Sala Matrimoni del teatro quindici giorni prima si era sposato uno dei miei figli e io pensato che emozioni e sentimenti non hanno nazionalità ,che l’amore e l’amicizia sono uguali in tutto il mondo e che tutte le persone hanno lo stesso diritto alla cittadinanza e a vivere in pace.
Penso anche che questo mio amico è riuscito in un tempo relativamente breve ad attuare cambiamenti che non sarebbero stati facili per nessuno e mi chiedo se io stessa sarei riuscita a farli.
La conoscenza con Amjad mi ha aiutato a capire come non sia facile adattarsi ad abitudini tanto diverse, che per riuscire a farlo hanno bisogno di solidarietà di aiuto e di accoglienza e ho anche riscontrato che ti può venire tanto in cambio.
Mi ha aiutato anche a togliermi alcuni pregiudizi e anche se so benissimo che ci sono forti contraddizioni so anche che è un percorso appena iniziato, un percorso difficile ma io spero che in futuro l’Europa possa essere come un grande condominio dove si integrano e trovano convivenza bisogni diversi e dove si uniscono le sinergie per il bene comune.
Mi ha aiutata a ricopiare il testo la moglie di mio figlio, Adina che è rumena e che ringrazio di cuore.
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