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Il mio '68 di Giovanna Marini

Il mio '68 di Giovanna Marini

1968/2008 - "Dico sempre che io il ’68 l’avevo già fatto nel ’64."

Giovanna Marini Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2008

“Dico sempre che io il ’68 l’avevo già fatto nel ’64. In quegli anni la Fiom con Bruno Trentin era un sindacato importante e gli operai con gli ‘autunni caldi’ divennero protagonisti della scena politica. Dunque c’è stato un ’68 operaio prima di un ’68 studentesco e noi, con i nostri canti contadini e operai, eravamo in sintonia. A Spoleto il ‘Bella Ciao’, spettacolo di canto politico e sociale, fece scandalo fra il pubblico elegante che non tollerò la vista di contadini e operai sul palcoscenico. ‘Non ho pagato mille lire per sentir cantare in palcoscenico la mia donna di servizio’ fu il significativo commento di una spettatrice, ignara del fatto che ‘quelle voci da strapazzo, da cortile’ avevano secoli e secoli di cultura musicale alle spalle e che la voce contadina e pastorale è stata la prima forma musicale che c’è stata al mondo, molto antecedente alla nascita di Cristo. Le prime forme sia polifoniche che monodiche risalgono a molto prima e sono contadine…ma quel mondo perbenista non era pronto ad accettarle. Quello spettacolo, che prorompeva tra un pubblico delle grandi soirée era precursore del ’68”. Giovanna Marini, compositrice ed esperta di etnomusicologia, ha passato una vita alla scoperta e valorizzazione dei canti popolari. “Quella prima del 1968 era un’Italia estremamente conformista, reazionaria e molto legata ai suoi usi e costumi. Era un’Italia dove ci si sposava senza mettere in crisi la forma della coppia, era tutto ossequiente. Pian piano e sottotraccia cresceva un movimento che si catalizzò nel ‘68”. Quali gli effetti nell’immediato? “Ci fu una corrente esplosiva che si notò immediatamente, mentre l’onda lunga è arrivata fino ad ora. Gli studenti cominciarono a bruciare i libretti universitari e la spinta fu di una tale vitalità ed energia che travolse tutto e tutti. C’era un forte bisogno di coesione e si formavano tanti gruppi che avevano al centro il prossimo, l’idea comune era che si potesse fare e cambiare, che l’impegno poteva avere dei risultati. Erano gruppi che avevano delle caratteristiche quasi di cristianesimo applicato. La vera novità fu quell’energia vitale e straordinaria che ha contagiato tutti, che ha toccato tutti. Certo, c’erano dei paradossi. Io avevo 31 anni, e non essendo più giovane me ne accorgevo. Fu sbagliato, ad esempio, quell’appiattire tutto disconoscendo i meriti. Fu tipica del momento la negazione dell’arte. Oggi nessuno più si vergognerebbe più di definirsi ‘artista’, ma allora era impensabile: erano ‘lavoratori dell’arte, della musica’. D’altra parte quell’onda d’urto cercò di abolire le caste e in parte ci riuscì. La negazione delle differenze fu un limite che lo stesso Pasolini denunciò al momento. Comunque accanto agli eccessi, talvolta ridicoli, c’era molta riflessione e molta energia vitale”. Che ruolo ebbero gli intellettuali in quei momenti? “Erano stati contagiati e si unirono quasi tutti al movimento. Mi ricordo che ci ritrovavamo tutti a Fregene, Gian Maria Volontè, Gillo Pontecorvo, per discutere e ragionare. C’era una volontà di impegno vero che si tradusse in atti molto generosi. Peccato che fu poco canalizzata. Arrivarono, invece, gli infiltrati. E’ sicuro che i servizi segreti si misero all’opera per restaurare oppure spingere verso il terrorismo per scatenare reazioni negative”. Cosa è rimasto oggi di quella spinta ideale, di quelle istanze? “E’ rimasto molto, anche se non ce ne accorgiamo. Ad esempio l’abolizione della casta, anche se la parola oggi la parola evoca altro. Altro lascito importante è quello del movimento di donne che, anche se in modo talvolta troppo esacerbato, ha avuto la capacità di creare un terreno culturale fertile a sostenere poi le battaglie e le vittorie sull’aborto e sul divorzio. L’effetto prodotto nel cambiamento nella coppia, ad esempio, è stato formidabile”. Il bilancio dell’eredità è dunque tutto positivo? “C’è una tendenza a vedere solo il negativo del 1968, invece in questo terzo millennio ci sarebbe bisogno di avere quell’entusiasmo. Siamo tutti così passivi e la causa prima di questa rassegnazione sono trenta annidi televisione usata male. La tv fatta bene è stata utile, non dimentichiamo che ha insegnato a leggere e scrivere a intere generazioni di analfabeti. L’obiettivo delle televisioni commerciali è stato quello di rendere passive le menti. Ci sono riusciti benissimo. Del resto è stato seguito l’esempio americano dove, con tecniche precise, le trasmissioni sono state concepite proprio per passivizzare il pubblico negli anni in cui invece il popolo americano seguiva leader come Martin Luther King. Se togliessimo agli italiani le trasmissioni serali, potrebbero tornare ad avere il piacere di incontrarsi e giocare a carte e forse sarebbero meno passivi, più reattivi e pronti a reclamare i propri diritti”. Nel suo lavoro il ’68 ha reso possibile una cosa importante per la cultura musicale italiana…”Nel 1975 abbiamo fondato la Scuola di Musica di Testaccio, che ancora vive ed è fiorente. Con il terrorismo la gente ha incominciato ad avere paura. Il terrorismo ha tinto di nero il ricordo di tante iniziative importanti anche molto utili. Forti delle esperienze del ’68 di grande coesione sociale abbiamo pensato di fare qualcosa di concreto per superare questa paura, per stare insieme. I primi iscritti, una banda di simpatici personaggi, erano persone che avevano la passione per la musica ma che prima di tutto volevano aiutare a costruire la scuola, poi si sono messi anche a studiare. Con gli anni alcuni si sono addirittura diplomati e insegnano musica, altri hanno continuato a fare il loro mestiere. Ecco, la scuola è stata proprio la concretizzazione di alcuni lati buoni del ‘68, quella voglia e quella capacità di autogestirsi. Siccome è un’esperienza che continua a distanza di più di trenta anni, vuol dire che era solida”.





Come eravamo”noidonne”



La famiglia come era e come è oggi. E’ cambiata molto, ma quali sono le ragioni? Tutta colpa di un riequilibrio dei ruoli (dentro e fuori il nucleo familiare) oppure è cambiata l’organizzazione della società e del lavoro? Gli operai sono stati protagonisti del progresso sociale, mentre ora hanno l’onore della cronaca perché muoiono sul lavoro o perché non arrivano alla quarta settimana.

(Scrivi riflessioni e opinioni anche sul tuo’68 a: redazione)





(25 marzo 2008)

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