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Il mestiere di giocare

Il mestiere di giocare

Il Museo di Roma a Palazzo Braschi ospita, fino al 10 gennaio 2021, la mostra "Per Gioco" con oltre 700 pezzi dalla raccolta di giocattoli antichi della Collezione capitolina

Lunedi, 31/08/2020 - Case di bambole, trenini, soldatini, cavalli a dondolo, trottole, meccani, automobili, navi e aerei in miniatura, libri per l’infanzia, carillon, automi e lanterne magiche: tutto questo, e molto altro ancora, forma l’allegra sarabanda che, in questi giorni, ha invaso pacificamente le sale di Palazzo Braschi in occasione della mostra "Per Gioco. La Collezione dei giocattoli antichi della Sovrintendenza Capitolina" (fino al 10.01.2021).
Amorevolmente curata da Emanuela Lancianese, l’esposizione presenta oltre settecento pezzi selezionati da una raccolta di giocattoli entrata nel 2006 a far parte delle collezioni di Roma Capitale.
L’itinerario della mostra si articola in sei sezioni tematiche: la famiglia; la città e la campagna; giochi di strada e giochi sui mestieri; il cielo e il mare; il bambino in movimento; il viaggio. Certo, il giocattolo ha dei riverberi storici e sociali, riflette la cultura del suo tempo, ma percorrendo le ventidue sale al primo piano del palazzo, il visitatore adulto, come per magia, vive soprattutto l’avventura, talvolta perturbante, di fare un viaggio a ritroso nel tempo fino a ritrovare, per usare le parole dello scrittore Antoine de Saint-Exupéry, il «paese della sua infanzia».
L’esposizione si concentra sulla cosiddetta «età d’oro del giocattolo», che va all’incirca dal 1860 al 1930, quando la società smette di considerare il bambino un adulto in miniatura, e ricorre al giocattolo per scopi educativi. In mostra, tuttavia, ci sono anche oggetti che appartengono ad altri periodi storici. Due bambole peruviane in stoffa, ad esempio, risalgono addirittura all’epoca precolombiana (1300-1450 circa). Costituivano il corredo funerario di una bambina, ma non è chiaro se fossero state sepolte con lei affinché ci giocasse, oppure come offerta votiva, con una funzione magico-protettiva. Il rapporto tra gioco e rito, del resto, è assai più stretto di quanto non si immagini, e spesso oggetti votivi, persa la loro funzione originaria, si trasformano in giocattoli.
Sempre a proposito di bambole, naturalmente in mostra non poteva mancare Barbie, la discussa creazione della ditta americana Mattel nata sessant’anni fa. Ma qui troviamo esposta anche la sua diretta antecedente, la tedesca Bild Lilli, messa in commercio nel 1955 in Germania. E sorprende scoprire che Bild Lilli era in origine una bambola mascotte destinata a un pubblico adulto e maschile. Derivava, infatti, da un popolare personaggio dei fumetti, Lilli, seducente ragazza pin-up ideata da un disegnatore per le vignette del quotidiano Bild-Zeitung. Per non avere rivali la Mattel, dopo averla trasformata in Barbie, e messa sul mercato già nel 1959, nel 1964 acquista i diritti.
Tra i pezzi più rari figura in mostra una casa di bambola realizzata nel 1686 da un ebanista tedesco per la figlia del re di Svezia Karl XI. Sebbene la destinataria di questo lussuoso manufatto fosse una principessa, in origine l’unico ambiente rappresentato era la cucina, un fatto che forse può stupire, ma che la dice lunga su come fosse intesa l’educazione delle bambine, indipendentemente dalla loro classe sociale. Osservando, come in filigrana, la storia che questi giocattoli raccontano, appare chiaro il fatto che, mentre i giochi riservati ai maschi tendono a proiettarli verso il mondo esterno, i giochi destinati alle bambine ruotano attorno al microcosmo domestico e lo scopo è quello di educarle a diventare madri, mogli e padrone di casa perfette.
Emanuela Lancianese, del resto, nel suo saggio in catalogo avverte: «non si pensi che il giocattolo sia neutrale, né tanto meno un oggetto innocuo. Basti pensare a come ha condizionato per secoli la costruzione dei generi maschile e femminile, e anche al modo con cui ha instillato valori come l’ordine, la disciplina, il successo, la creatività».
La mostra prelude all’apertura, a Roma, del Museo del Giocattolo, che dovrebbe dispiegarsi tra due sedi: una a Villa Torlonia e l’altra a Villa Doria Pamphilj. Il nucleo principale della raccolta, che oggi ammonta a più di 10mila oggetti, formati da circa 33mila componenti, risale all’antiquario svedese Peter Pluntky, appassionato collezionista anche di biciclette d’epoca, cartoline dei primi del Novecento e insegne pubblicitarie. A Stoccolma Pluntky fondò nel 1980 il Museo del Giocattolo (Leksaksmuseet), tuttora esistente, che ha diretto fino ai primi anni Novanta. Nel 1999 la sua raccolta di giocattoli viene acquistata dall’imprenditore e collezionista perugino Leonardo Servadio (suo il marchio di abbigliamento sportivo Ellesse), che la trasferisce in Italia e l’arricchisce ulteriormente.
Da Perugia la collezione giunge quindi a Roma, acquisita dalla Sovrintendenza Capitolina, ma i fragili manufatti finiscono nei depositi presso il Museo della Centrale Montemartini, dove sono rimasti per anni inaccessibili al pubblico.
Questa esposizione rappresenta dunque anche una sorta di prova generale in vista dell’allestimento definitivo del Museo del Giocattolo, un allestimento che va pensato con attenzione – come ha spiegato la sovrintendente capitolina Maria Vittoria Marini Clarelli durante la conferenza stampa – perché, se esposti male, i giocattoli rischiano facilmente di apparire tristi oppure inquietanti. Un rischio che comunque la mostra ha saputo brillantemente evitare, grazie a un allestimento prezioso, realizzato con gusto ed evidente divertimento dall’architetto Enzo Pinci, richiamandosi alla tipologia della Wunderkammer, la camera delle meraviglie che nei palazzi di principi e sovrani custodiva gli oggetti più rari e preziosi. I giocattoli esposti, d’altronde, spesso sono oggetti unici e meravigliosi, come la casa di bambole costruita verso il 1890 da un padre amorevole per la sua bambina all’interno di una cappelliera e tutta arredata con delicati mobili di carta.
Oltre la metà dei giocattoli esposti è di fabbricazione tedesca, un quarto svedese e il resto proviene da manifatture francesi, italiane, inglesi e statunitensi. Nell’epoca d’oro del giocattolo, infatti, il luogo di produzione d’eccellenza è la Germania, uno dei paesi europei più tecnologicamente progrediti, mentre l’Italia si è distinta per i giocattoli in legno degli artigiani della Val Gardena e per le bambole Lenci.
L’esposizione si conclude con un suggestivo video di Francesco Arcuri realizzato con i giocattoli della collezione, che così sembrano animarsi, complice la colonna sonora del filmato, prodotta utilizzando le registrazioni campionate dagli stessi giocattoli.
Accompagna la mostra un agile catalogo, pubblicato da Palombi, a cura di Emanuela Lancianese e Amarilli Marcovecchio, con contributi, oltre che dei due curatori, di Maria Vittoria Marini Clarelli e Filippo Tuena.

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