Come Lady Welby... - ..... tanto invisibili quanto indispensabili
Giuliana Dal Pozzo Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2007
Per mesi, per anni l’abbiamo vista sempre di spalle o, al massimo, di profilo. Seduta su una sedia, ferma, composta, serena. Perché l’attenzione non doveva essere per lei, ma per quell’uomo steso nel suo letto da anni che non poteva muoversi, fare il minimo gesto se non aprire e chiudere gli occhi, che respirava con una macchina e si nutriva attraverso un tubo di gomma inserito nell’addome.
Ora quell’uomo era stanco delle sue torture e chiedeva di essere liberato, sottraendo il suo povero corpo diventato una prigione al dominio degli apparecchi che gli assicuravano una esistenza vegetale.
La donna invisibile
Lei, la moglie, era lì, accanto al letto, che traduceva ogni suo movimento degli occhi trasformandolo in parole, parlandogli, accarezzandolo, tenendolo tranquillo. Così, mentre il marito faceva del suo dolore una battaglia politica, lei stava in ombra, una figura ‘invisibile’ ma essenziale come quella di tante altre su cui la responsabilità di accudire dei malati gravi. In molti casi infatti, gli ospedali rimandano indietro, dopo un certo tempo, chi non è più in grado di autogestirsi, e tutto ricade sui familiari, per lo più donne. Esse devono affrontare, quasi sempre in solitudine, scene di violenza da parte di schizofrenici, o di malati che vedono il proprio corpo ridotto a una macchina incomprensibile. Capita perciò che mogli, madri e sorelle, già gravate del peso della conduzione domestica e del lavoro esterno, si debbano trasformare anche in infermiere specializzate.
Il tempo rubato
Chi ha avuto la sventura di fare la fila in un ufficio dell’Inps in attesa di una pensione di invalidità per un congiunto, avrà sentito tante volte i racconti di donne costrette magari a tenere aperto un negozio o a fare salti mortali per rispettare l’orario d’ufficio e nello stesso tempo impegnarsi a non lasciare solo il padre inabile, o di madri di ragazzi autistici che corrono da un asilo del mattino a quello del pomeriggio nell’intervallo del loro lavoro, di figlie di ‘allettati’ che devono imparare a gestire la vita di un invalido grave. In genere, questo tempo in più è rubato al sonno, alla vita. Quando poi si tratta di malattia mentale, alla fatica si aggiunge il pericolo, un inferno dove raramente il soccorso può venire dall’esterno e in tempo. Sulla donna, insomma, si scaricano tutti i pesi sociali, e sempre più lei si trova ad essere perno centrale tra genitori e figli, tra malati e sani, magari mantenendo contemporaneamente i genitori anziani e i figli disoccupati.
Fannullone?
Tutto questo va ricordato nel momento in cui la discussione politica arriva ad accusare le donne di essere delle fannullone perché vanno in pensione qualche anno prima degli uomini. Non basta mettersi la coscienza a posto lodando lo spirito di sacrificio femminile in modo che le cose rimangano come sono e si prosegua a contare su mogli, madri e figlie come fossero eterne assistenti sociali. Confidando sul loro amore, sulla loro pazienza e sul loro coraggio. Il meglio di noi.
(27 febbraio 2007)
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