Cultura/ Libri. Marina Piazza - Il grande valore del tempo, il tempo dell’essere, il tempo da dedicarsi, nell’ultimo saggio di Marina Piazza, sociologa ed esperta di genere
Bartolini Tiziana Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2005
Immateriale eppure pervasivo nella sua carenza quotidiana, il tempo banalmente evocato è quello che ‘manca’, che ‘passa e sfugge via’. Impossibile trattenerlo, difficile definirlo. Marina Piazza si avventura nelle sue pieghe e analizza, con la sensibilità della sociologa e dell’esperta di genere, quella parte del tempo sempre più preziosa e ricercata. E’ il tempo per sé, un lusso - l’unico- fruibile indipendentemente dal censo e dalla classe sociale. E’ uno spazio interiore che non coincide necessariamente con il tempo libero, ma che può realizzarsi leggendo un libro o semplicemente oziando. La dimensione del tempo per sé non ha nulla a che vedere con la semplificazione estiva messa in vetrina da rotocalchi patinati debordanti di consigli su come e perché ritagliarsi spazi intimi, con tanto di consigli di esperti o saccenti vari. Si tratta di altro, di una dimensione intima e profonda che ciascuno/a sperimenta e ricerca e che varia nel corso della vita. Il tempo per sé per Marina Piazza coincide con il ‘tempo dell’essere’, in una dimensione che si pone in antitesi perfetta con l’imposizione alle esistenze di milioni di occidentali di un uso della vita scandito da logiche competitive che richiedono un movimento continuo e convulso, teso al risultato nell’unico parametro riconosciuto, quello lavorativo e produttivo. La lentezza vissuta come ‘troppo vuoto’ in contrapposizione al ‘troppo pieno’ materiale può scompensare, ma se ricercata come tempo per sé diviene un patrimonio inestimabile a cui l’individuo può ricondurre il senso della propria esistenza.
Le donne, maggiormente allenate alla disputa con i tempi sovrapposti e contrastanti richiesti loro dalle multiple funzioni che svolgono, sono più sensibili alla valorizzazione del tempo per sé e hanno sperimentato molto. L’autrice si avvale di questo vissuto e accompagna la sua ricerca sulle varie modalità in cui è vissuto il tempo per sé con alcune testimonianze del quotidiano raccontato al femminile. Da questa sorta di “vivisezione” muovono acute riflessioni e si avvia una concettualizzazione della dimensione del sé in relazione ad un tempo ‘pensato’ e non semplicemente ‘trascorso’. C’è il tempo dell’esperienza e della ‘natura’ intesa come congiunzione e quello delle relazioni (sociali, di amicizia, di conoscenza, di sessualità) o semplicemente ci sono spazi dedicati a ciò che piace, ‘quando il tempo libero si trasforma in tempo per sé’. I tempi definiti ‘stridenti’ della solitudine e del lavoro possono diventare gradevoli spazi intimi o divenire addirittura piacere assoluto a dimostrazione delle infinite possibilità di declinare il tempo per sé, che -raccomanda l’autrice- non bisogna smettere mai di ricercare perché è un’attività che permette “una messa a punto interiore”. Non è un lusso l’ozio o il tempo investito così, ma la possibilità di trovare risorse ed energie per ‘movimenti di automodificazione’ necessari, come scrive Nina Berberova, ‘per raddrizzare la linea generale dell’esistenza”.
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