Domenica, 14/11/2010 - Sabato 13 novembre Aung San Suu Kyi, già insignita del Premio Nobel per la Pace, è sta liberata ed è stata accolta dalla gioia di migliaia di birmani che l’attendevano davanti alla sua casa di Universitry Avenue a Rangoon. I giovani indossano magliette con messaggi di sostegno a lei e al padre, il generale Aung San, padre dell’indipendenza birmana ucciso quando lei aveva due anni. Questi ragazzi nel 1990 - quando Aung San Suu Kyi con la Lega Nazionale per la Democrazia (Lnd) ottenne una schiacciante vittoria elettorale annullata dai militari - erano piccoli, ma hanno compreso l’importanza del messaggio che questa donna rappresenta, e la considerano una leggenda vivente. Da sette anni era agli arresti domiciliari ed è stata privata della libertà negli ultimi 15 anni, avendo lei scelto di non andare in esilio ma di restare nel suo Paese. Le sue prime parole sono state di speranza: “Lavorando uniti, possiamo raggiungere l’obiettivo”, pronunciate con una calma che accentua la sua forza intrinseca. Per salutare questa bella notizia prendiamo in prestito le parole di Guido Rampoldi (La Repubblica, 14 novembre 2010): “Aung San Suu Kyi oggi è la più rispettata icona internazionale della libertà... Parte del suo carisma è la grazia naturale, regale, in cui si sovrappongono figura esile e volontà titanica, femminilità e qualità di condottiero. Nel suo Paese molti la considerano una sorta di divinità materna, e in questo colgono l’unicità di quelle donne che quando una società collassa, così come è collassata la società birmana sotto l’oppressione di una dittatura tra le più corrotte del pianeta, rappresentano una sorta di nucleo biologico, primordiale, che non distoglie mai gli occhi dall’orizzonte del futuro”.
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