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Il lirismo della pura contemplazione

Il lirismo della pura contemplazione

Poesia/ Maria Luisa Spaziani - “Come il cervello ha il lobo di destra e quello di sinistra, così la nostra civiltà ha il maschile e il femminile”.

Benassi Luca Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2005

Maria Luisa Spaziani è nata a Torino nel 1924. A dodici anni scopre la figura di Giovanna d’Arco e se ne innamora follemente: «Quando ho scoperto che è esistita una donna come Giovanna d’Arco ho scoperto il mondo: è stata la mia grande educazione incontrare in un’unica persona dei valori così straordinari, le punte estreme della semplicità contadina, l’alta illuminazione morale e religiosa, la capacità di incarnare un’azione pratica, l’amore di patria, il carisma straordinario. […] Per me Giovanna d’Arco è semplicemente la poesia; è la donna come dovrebbe essere dopo ogni femminismo riuscito, e cioè una creatura che abbia le stesse potenzialità di un uomo ma che agisce autonomamente, secondo il suo personale destino, secondo i suoi gusti, le sue scelte, in stretta simbiosi con l’universo maschile. Come il cervello ha il lobo di destra e quello di sinistra, così la nostra civiltà ha il maschile e il femminile. È assolutamente impensabile, se non pagandola con tutte le crisi della nostra storia, che uno prevalga sull’altro, e brutalizzi l’altro». La figura di Giovanna d’Arco, che sarà oggetto di poesia solo nel 1990 con le ottave di Giovanna d’Arco, è anche l’occasione per la poetessa di iniziare lo studio e la lettura del francese; attività il cui approfondimento la condurrà alla carriera accademica e a quella di traduttrice.
A diciannove anni dirige la rivista «Il dado» avendo tra i collaboratori Vasco Pratolini, Sandro Penna e Vincenzo Ciuffi. Nel 1949 incontra Montale al teatro Carignano a Torino. Da quell’incontro si sviluppa un’amicizia profonda, testimoniata dalle 360 lettere di Montale poi donate al Centro Studi Maria Corti di Pavia, e favorita anche dal successivo trasferimento a Milano della poetessa. A partire dal 1953 la Spaziani si sposta per lavoro tra Parigi, Bruxelles e Messina, città che hanno influenzato le scelte poetiche e arricchito la sua poesia di un respiro nordeuropeo. Rispetto alle impostazioni contemplative ed ermetiche iniziali la poetessa ha raggiunto esiti maturati nel segno di un lirismo capace di ridare spessore agli oggetti e alle occasioni attraverso una lingua cristallina e potente. Una poesia dei luoghi e dei viaggi, in grado di rendere conto del meraviglioso disegno della vita. La Spaziani oggi vive a Roma dove dirige il Centro Studi Eugenio Montale e il premio collegato.
Maria Luisa Spaziani ha esordito come poetessa nel 1954, con Le acque del sabato, cui seguono Il gong (1962), Utilità della memoria (1966), L'occhio del ciclone (1970), Transito con catene (1977), Poesie (1979), Geometria del disordine (1981), La stella del libero arbitrio (1986), il poema-romanzo Giovanna d'Arco (1990) e I fasti dell'ortica (1996). Nel 2000 è uscita per Mondadori la raccolta Poesie 1954-1966 e per Marsilio i racconti di La freccia. Nel 2004 la Bulzoni ha pubblicato Teatro comico e no. Docente di Lingua e letteratura francese all'Università di Messina, la Spaziani ha scritto libri di critica e alcuni volumi dedicati al teatro francese dal '700 al '900.


Da Le acque del Sabato (1954)
Ricordo una stagione

Ricordo una stagione in mezzo ai colli
immensi, affaticata dal soffiare
della notturna tramontana. Un gelso
gemeva negli strappi, così alto
che talora il suo grido mi svegliava.

Ieri nel ritornarvi non sembrava
passato altro che un giorno.
La tramontana ci infuriava intorno.
Contro il cancello, intatta, era restata
una mia antica rosa morsicata.


Da Utilità della memoria (1966)
L’antica pazienza (a mia madre)

Tu che conosci l’antica pazienza
di sciogliere ogni nodo della corda
e allevi un pioppo zingaro venuto
a crescere nel coccio dei garofani,
lascia ch’io senta in te, come la sorda
nenia del mare dentro la conchiglia,
la voce della casa che il perduto
tempo ha ridotto in cenere.
Ma è cenere il pane scuro, sacro,
-quello che alimentavi col tuo soffio
nel forno buio della guerra- e reca
imperitura in sé la filigrana
dei tuoi ciliegi dilaniati.
L’allegria rialza la sua cresta
di galletto sui borghi desolati,
come il lillà che ti cresce alle spalle
passo a passo, baluardo sul massacro.
Raccogli ancora e sempre il pigolante
nido abbattuto dal vento di marzo
e ripara le falle della chiglia.
Nessuno è senza casa se l’attende
a sera la tua voce di conchiglia.


Da L’occhio del ciclone (1970)
***
Dicono i marinai, quegli ormai vecchi
lupi di mare che sugli usci fumano
pipe portoricane, che fra tutti
i ricordi tremendi dei tifoni
e l’ululo di morte dei naufragi,
nulla atterrisce più di quella calma
che per ore si crea al centro stesso
della tragedia: l’occhio del ciclone.
Il mare è un olio, brillano sinistre
Luci che paion di bonacce, e affiora
Tranquillo il tonno a respirare. Eppure
quella è una gabbia, quello è un trabocchetto,
lì la morte è in agguato: ché più lungi,
a cento metri o forse meno, infuria
l’uragano più nero. Così avviene,
vero? troppo sovente per noi tutti,
ragni fra i mozzi delle ruote. E avvenne
anche a Fabrizio quando conversando
con la graziosa vivandiera, seppe
-più tardi e con tragico suo scorno-
che Waterloo, la massima avventura,
si era svolta lì intorno.


Da Transito con catene (1977)
Poetica

Angelo del giudizio scendi, parola sdrucciola
(perché questo tu sei, o solamente o anche),
vieni con me fra gli olmi alti del Luxembourg

Vita segreta, luce che tanta luce accendi
fatta di niente e tutto, Elena sugli spalti
che infiamma gli uni e gli altri, che volge in gloria il lutto,

tu verità che menti, ossatura e illusione,
tu rima, due begli occhi per un unico sguardo,

esorcisma d’inizio, suggello del traguardo.


Da La stella del libero arbitrio (1986)
A Montale il 12 settembre 1981

Tu ti cancelli e subito in altre forme ti annunci,
falsetto sapienzale di nebbia allegra,
antica palma adolescente, tremula
in un bemolle di acque strane.

La tua scomparsa è scandalo, è messaggio
che sconvolge interiori meridiani,
coinvolge il futuro e trascina
pitòsfori, bufere e termitai -

Potrà mai dileguarsi il tuo passo
per chi eredita quegli impervi segreti?
Il meglio della seppia è l’osso.
Il resto è per i cuochi.


Da I fasti dell’ortica (1996)
Il calore giusto

Fa’ lievitare il verso come il pane
nel forno al suo calore giusto. Senti
che anche il verso emette il misterioso
profumo della cosa riuscita.

Vocali e consonanti si alleano,
s’incatenano e fondono. Ne esce
lo spiritello d’Aladino e danza
su e giù per la stanza.

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